Sentirsi come un disco rotto
Mi sento come un disco rotto. Lo sono sempre stata. Mi sento in colpa. Qualche giorno fa ho avuto l'ennesima discussione in famiglia. I miei genitori si lamentano del fatto che sono sempre triste, instabile e che tendo ad estremizzare i miei sentimenti negativi di fronte ad un fatto e che devo cambiare questo parte del mio carattere, perché insopportabile per gli altri. E che non devo creare problemi alle altre persone, specie in famiglia con il mio silenzio. In questi ultimi mesi, anche se mi è capitato molte altre volte prima in vita mia, alterno tra momenti di tranquillità e momenti in cui vado in crisi, come chiudermi in silenzio, piangere, essere aggressiva ed irritata o non parlare con nessuno quando sono in casa. Molti giorni mi alzo e piango appena scattano le mie frustrazioni, senza un motivo apparente e ben visibile da mostrare alle persone vicine a me. A volte passo intere giornate chiusa al buio nella mia stanza senza voler fare nulla e uscire e a meditare tutti i modi per cui “dormire per sempre” e porre fine a questi miei disagi. Tutto il mio male viene da dentro e non so come esprimerlo. La mia famiglia non mi capirebbe e non mi capisce. Ci ho provato più volte ad esprimerlo ed è andata sempre male. I miei genitori diventavano ancora più irritati dai miei atteggiamenti, ottenevo risposte che non volevo sentire oppure semplicemente non ricevevo la delicatezza, l'attenzione o la comprensione che speravo. Secondo loro sembro una bambina capricciosa, insoddisfatta e ingrata, perché ha tutto quello che ho bisogno nel mondo e tutto ciò che desidera. Ma non mi sento così. Mi sento sola, angosciata, frustrata, in gabbia e penso che il mio futuro non sarà mai migliore del mio passato e presente.
Mi sento come un disco rotto perché mi sento lacerare sempre di più dentro e non so come esprimerlo alle altre persone. Tutte le volte che l'ho fatto, finivo per essere più frustrata di prima. Quando sono frustrata il pensiero che mi viene in mente più spesso è di volermi cancellare, sparire, staccare definitivamente dal mondo di in faccio parte. A 10 anni pensavo che se fossi morta tutti sarebbero stati meglio perché mi sentivo sola, isolata dai miei stessi compagni di classe, incompresa dalla mia stessa famiglia, stavo male, e tutti erano irritati “dai miei capricci”. A 13 anni appena c'era un forte litigio con i miei genitori mi affacciavo fuori dalla finestra e mi immaginavo sempre di cadere da essa, a 17 anni pianificavo e leggevo sui fogli illustrativi quali effetti mi avrebbero causato se fossi finita in overdose di farmaci appena consideravo l’idea che la mia famiglia volesse abbandonarmi o ripudiarmi. Man mano che crescevo appena stavo male pensavo ad ogni violenza che potessi fare su me stessa. Fino a qualche mese fa per contenere queste mie crisi prendevo il cartone e lo foravo con i oggetti appuntiti e taglienti perché, nonostante avessi il desiderio, non avevo il coraggio di farlo su me stessa per la vergogna. Sto male anche per il fatto di pensarci. Non dovrei farlo, ma questi pensieri mi hanno sempre accompagnata da tanto tempo. Più di un anno fa ho perso una vecchia amica anoressica e ho visto i suoi genitori devastati per questo, mi sento in colpa anche perché non voglio far star male la mia famiglia. Non sono felice e non so che cosa fare per esserlo. Cerco di sorridere, ma appena sono sola o qualcosa va storto ripiombo nella mia angoscia. Ora ho 21 anni e mi pesano. Mi sento di essere intrappolata in una gabbia fatta di aspettative personali deluse e sogni infranti. Non mi sento libera e serena. Ovunque vada queste frustrazioni mi perseguitano, come non aver mai soddisfatto le mie aspirazioni personali, di aver sacrificato tutti i miei desideri per soddisfare gli altri (la mia famiglia soprattutto), la mia solitudine, il dialogo difficoltoso e a volte assente della mia famiglia, come quando sono convinti che tutto stia andando bene e che sono io a voler rovinare tutto quando ho “qualche anomalia” (come quando sono triste o arrabbiata per qualcosa o con loro) e il fatto di non essere compresa del tutto da nessuno. Sono da poco in psicoterapia nel consultorio della mia città, ma certe volte provo sensi di colpa dopo aver parlato con il mio psicologo “dei miei problemi”, perché ne parlo tenendo tutto all'oscuro della mia famiglia e ne parlo con un “elemento esterno” perché non sono in grado di aprirmi con loro.
Sono da troppo tempo in questo tunnel e non so come uscirne. Non so come lasciare tutto questo e sorridere di nuovo e prendere in mano la mia vita e fare tutto ciò che mi renda felice. Mi risulta difficilissimo. Ho sempre vissuto in maniera passiva la mia vita, e anche se ho la possibilità di fare qualcosa che potrebbe farmi bene per me risulta una fatica insormontabile.