Rapporto analista paziente
è ammissibile che nasca una amiciczia fra analista e paziente?
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Cara Rosy buongiorno,
la psicoterapia si basa sulla relazione tra psicoterapeuta e paziente, relazione che si differenzia dalle relazioni di amicizia e dalle altre relazioni (parentali, professionali ecc.) in quanto è una relazione appositamente strutturata allo scopo di favorire il benessere del paziente, di fornire a quest’ultimo stabilità e contenimento.
Lo psicoterapeuta è tenuto a focalizzarsi sul paziente, mettendo da parte i propri bisogni e tutto ciò che concerne la sua sfera personale. Questo, insieme al ruolo di responsabilità che il terapeuta riveste all’interno della relazione col paziente, produce una differenza sostanziale rispetto al rapporto di amicizia e, di fatto una incompatibilità.
Pertanto, nell’interesse del paziente, è opportuno evitare che nasca un’amicizia col proprio analista; qualora questo dovesse accadere sarà bene valutare insieme (analista e paziente) l’impatto che questa amicizia ha sul processo terapeutico e prendere in considerazione l’eventualità di intraprendere una psicoterapia con un altro terapeuta.
Un caro saluto.
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Gentile Rosy, fino a che la terapia è in corso il rapporto terapeuta paziente non si può connotare come amichevole. Forse al up termine si può trasformare in amicizia. Saluti
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Buongiorno...
in qualunque setting analitico (freudiano, lacaniano, junghiano etc...) l'amicizia, intesa come rapporto extra spazio protetto ( che il setting rappresenta) e' pericolosa per il lavoro terapeutico. I maestri storici, tra cui Jung, ha avuto una celebre paziente/amante/ allieva....ma cio' non deve rendere leciti tali rapporti. Se nascono e sono reciproicamente alimentati sarebbe deontologico interrompere l'analisi con invio a collega fidato. Se non reciprocamente alimentati andrebbe discussa tale amicizia/attrazione con il terapeuta stesso, verbalmente o con i sogni.
M.Piotti
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Gentile Rosa,
La relazione tra psicoterapeuta e paziente è un rapporto che si basa su un'alleanza terapeutica volta al benessere psicofisico del paziente. Si tratta di un rapporto esclusivamente professionale in cui non puó esserci amicizia proprio perchè questa potrebbe andare ad inficiare sul percorso di cura finalizzato al raggiungimento di obiettivi terapeutici concordati con il paziente. Per quanto mi riguarda, sono contraria ad un'amicizia anche dopo il trattamento poiché, qualora il paziente in qualsiasi momento della sua vita, avesse bisogno del suo terapeuta, il rapporto avrebbe perso la sua natura.
Saluti!
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Buongiorno Rosy.
Quello che porti è un tema spesso dibattuto deontologicamente. Quello che posso fornirti io è la mia opinione professionale al riguardo: una volta concluso il percorso psicoterapeutico potrebbe capitare che nasca un'amicizia senza nessun danno alla persona e alla terapia; durante il percorso, invece, è preferibile mantenere i due piani di relazione separati per non creare imparzialità di valutazione, per mantenere un'efficacia terapeutica e per evitare che si confonda la propria vita con la psicoterapia. Se servono altri approfondimenti contattami pure su questo sito (caterina scarciglia)
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Gentile Rosy
nel caso ciò succeda, allora non è più analisi e Psicoterapia, bensì amicizia.
Il Codice Deontologico della nostra professione indica che non è possibile prendere in cura amici e parenti per ovvie ragioni di "troppa vicinanza" e coinvolgimento.
Se la Psicoterapia è condotta nel modo giusto si sviluppano elementi di "alleanza terapeutica" che è una forma di complicità.
Si sviluppano anche elementi di unione, tuttavia non si tratta di comune amicizia in quanto i ruoli restano ben distinti e confinati all'interno di quello che è un Setting Terapeutico.
Lo Psicoterapeuta non è un "compagnone" con cui fare cose insieme, con cui frequentare compagnie o ambienti. Anche incontrandosi in posti pubblici lo Psicoterapeuta è tenuto a mantenere una certa distanza e un certo distacco dal paziente.
Non può essere altrimenti se si desidera continuare il percorso di psicoterapia.
Questo è quanto.
Cordiali saluti
Dott.ssa Silvana Ceccucci Psicoterapeuta
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Salve Rosy,
la vera amicizia con l'analista è il filo conduttore del percorso terapeutico nel senso che l'obiettivo intrinseco è quello di trovare il tesoro più prezioso : il proprio amico interiore. Durante tale percorso è non solo possibile, ma auspicabile che questo sentimento venga vissuto sia dal paziente che dall'analista. Se desideri ulteriori chiarimenti, sai come trovarmi. Ciao
Dott.ssa Carla Panno
psicologa-psicoterapeuta
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No, non è ammissibile, è vietato dal Codice Deontologico. Può accadere che il paziente si senta particolarmente vicino al proprio terapeuta visto che si apre a lui/lei, ma il terapeuta deve mantenere la giusta distanza per il bene del paziente. Se il rapporto terapeutico finisce, il discorso è leggermente diverso, ma valutato caso per caso, e comunque non è mai consgliabile.
Cordiali saluti,
Dr.ssa Ferretti
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Gentile Rosy,
la relazione terapeutica, perchè si possa definire tale, parte dal presupposto che terapeuta e paziente sono impegnati assieme in un viaggio alla scoperta del mondo di significati della persona che chiede aiuto; il terapeuta è un compagno di avventure che è costantemente impegnato a comprendere il mondo delle costruzioni psicologiche della persona che si rivolge a lui.
Quello che in terapia si cerca di favorire è, tuttavia, un'esperienza relazionale diversa da quelle che normalmente la persona vive nella quotidianità.
Quando questa relazione sfocia in qualcosa di simile all'amicizia, probabilmente nel processo terapeutico stanno intervenendo degli elementi che possono minare il lavoro.
Se attualmente è seguita da un collega e si interroga su questo tema, le consiglio di parlarne in seduta con lui; potrebbe essere un elemento molto utile da chiarire per il buon andamento del suo percorso.
Cordialmente,
Dott.ssa Ilaria Giuntini
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Cara Rosy,
il rapporto terapeutico dovrebbe rimanere sempre un rapporto professionale. Quetso non è solo sancito dal nostro codice deontologico ma è alquanto importante ai fini del lavoro stesso, sia per il paziente che per il terapeuta.
Un caro saluto,
Dott.ssa Valentina Mossa
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