Psicoterapia e discipline sapienziali
Rifletto da un po' di tempo sul senso che ha assunto ormai intraprendere un percorso di terapia nella società attuale. Si parla così spesso di "mirare al benessere" e sembra questa espressione si sia trasformata in un luogo comune, in qualcosa di retorico e senza nessuna profondità.
Di quale benessere si parla? Di un minor livello di nevrosi? Di un maggiore livello di adattamento nel contesto sociale in senso lato? E se così fosse, a che cosa aspira tutto questo?
Io ho maturato un grande dubbio a riguardo ultimamente, perché noto che la mancanza di una riflessione a monte di un percorso terapeutico, sia da parte di terapeuta che paziente, potrebbe facilmente (e frequentemente) seminare e coltivare l'idea che la psicoterapia sia un equivalente dell'evoluzione sapienziale dell'intelletto, e non uno strumento per rendere possibile questa ricerca, che dovrebbe necessariamente essere affrontata e seguita attraverso altri ambiti disciplinari come la scienza, l'arte, la letteratura, la filosofia ecc.
Personalmente ho affrontato vari percorsi di terapia, alcuni fruttuosi e altri un po' meno, ma appunto per una diretta e duratura esperienza personale ho maturato questa riflessione. Sento che molto spesso il campo di azione e di competenza di questa disciplina si sfuma nell'immaginario del paziente, in quanto è poco definito anche in quello del terapeuta. A mio avviso questo problema potrebbe dare origine a mostruose decisioni monche di fronte a una questione etica complessa e autorizzarci ad assumere qualsiasi atteggiamento pur di "mirare al benessere" nostro. Un "benessere" che essendo mal definito rimane sempre il punto cieco della persona dietro cui possono nascondersi un'infinità di questioni irrisolte.