Salve, sono Rachele, una ragazza di 25. Mi sento dubbiosa, dopo aver visto un film. Forse perché la vita è più importante che la morte? Però penso che anche la morte va parlata, perché anch'essa è molto importante.
Anche perché certe ferite è meglio chiuderle, parlando, che lasciarle all'aperto.
Sto sbagliando, forse, a pensare così?
Sapete, cari miei psicologi, ho visto un film e da lì ho capito che, ormai, la morte è diventata una sorta di tabù, cosa che la società ci insegna a fare: evitare di parlare di morte. Sono ingiusta su sta cosa? O sto dicendo la verità? E che c'è di male nel parlare di qualcosa che ha sempre spaventato l'uomo sin dall'antichità? Sono di nuovo ingiusta?
Saluti.
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2 SET 2015
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Cara Rachele,
non si tratta di essere giusti o ingiusti. Si tratta di parlare di qualcosa che spaventa o almeno " dà fastidio" a tutti e su cui, personalmente, credo che non ci sia molto da dire perchè è solo un dato di fatto.
Si sa che, nella migliore delle ipotesi, si invecchia fino a che ad un certo punto non ci si ammala e alla fine si muore ; credo che non sia tanto importante questo quanto piuttosto il come si vive e cosa si realizza nella vita. Molto più triste è invece la morte prematura che priva di questa possibilità che tutti dovrebbero avere.
Altra questione è quella del soprannaturale e di una possibile altra forma di vita dopo la morte fisica che, per quanto mi riguarda, non può essere nulla più che una speranza.
Cordiali saluti.
Dr. Gennaro Fiore
medico-chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta a Quadrivio Campagna (Salerno)
7 SET 2015
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Cara Rachele, il tuo argomento è molto interessante, ma le persone generalmente tendono a rimuovere il fatto che devono morire, e ricordarglielo le fa" scappare". 0ccorre però anche rispettare i tempi e i modi che ciascuno ha di relazionarsi con sé stesso e con la propria morte. Se per te , in questo momento della tua vita, è così importante parlare della morte fallo, ma solo con chi ne ha voglia. Puoi anche leggere dei libri sull' argomento, credo potrebbero saziare la tua fame di sapere.
4 SET 2015
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Cara Rachele, credo che la sua lettera sia un bellissimo invito alla riflessione. Mi ha riportato alla mente le parole di uno dei miei maestri che invitavano a non evitare la morte, ma "a porla accanto", ad interrogarla. In questo modo la terremo presente e ci potrà aiutare a dare senso alla vita. Morte e vita sono indissolubili ed è follia pensare di cogliere tutto il valore della vita, assaporarla fino all'ultimo se dimentichiamo la realtà della morte. Abbiamo un tempo e piuttosto che farci spaventare da ciò, sarebbe più utile coglierlo come un invito a non sprecarne neanche un pò.
Grazie per la sua lettera,
Saluti,
4 SET 2015
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Buongiorno Rachele, il fatto che le persone evitino di parlare della morte è completamente naturale. Pur essendo essa stessa (la morte) un fatto naturale, credo che non se ne parli principalmente per due motivi: 1) anche se a livello cognitivo sappiamo di dover morire, il nostro mondo emotivo ci dice che siamo "immortali" perché se non fosse così, il sistema si dovrebbe visualizzare come non più integro, e ciò non è possibile per esso; 2) la morte tocca il concetto di durata temporale, ovvero quanto restiamo al mondo. La nostra durata. Ma non è tanto questo l'importante, quanto, piuttosto, durante il nostro esser-ci, cosa facciamo, come ci realizziamo, cosa lasciamo ai nostri posteri di famiglia, siamo stati importanti durante il momento storico in cui c'eravamo? Etc., etc. Queste sono le risposte da psicoterapeuta che mi sono venute studiando io il Tempo e come esso viene vissuto in modo diverso da ciascuno di noi.
Tuttavia, le risposte e paure più comuni sono, forse, altre due: 1) quando moriremo lo faremo lentamente e soffrendo molto? 2) Cosa c'è dopo la morte? Qualcuno o Qualcosa che ci giudica rispetto le azioni terrene o ridiventiamo cenere? Comunque, in realtà, non credo che Lei debba preoccuparsi troppo. Quasi nessuno lo dice, ma tutti ci pensano quasi costantemente, più o meno, in modo esplicito.
Cari saluti,
dott. Massimo Bedetti
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3 SET 2015
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Buongiorno Rachele, credo che si eviti di parlare della morte per due ragioni particolari (fra le tante): 1) parlare di morte implica il concetto di durata e cosa abbiamo fatto durante il nostro esser-ci. Soprattutto lasciamo qualcosa (non solo di concreto, ma, ad es., il ricordo della nostra personalità, di nostre qualità particolari, etc.) ai nostri posteri familiari o abbiamo trascorso una vita come un refolo di vento? 2) seppure sappiamo, a livello cognitivo, che dobbiamo morire, il mondo emotivo ci manda input di immortalità, e questo perché altrimenti, il sistema dovrebbe visualizzarsi come non più integro e coeso. Da un paio di anni mi occupo proprio della percezione del Tempo e di come ognuno di noi ne abbia una diversa dall'altro.
Queste sono le prime due risposte che, da psicoterapeuta mi sono arrivate per prima.
Altre due , un pochino più prosaiche potrebbero essere: 1) quando arriverà il mio momento, sarà una morte veloce o lenta e sofferente? 2) una volta trapassato, ci sarà un Qualcuno o Qualcosa che ci giudicherà in base alle azioni terrene oppure ritorneremo cenere?
Comunque, se fossi in Lei, non mi preoccuperei troppo di questa latitanza sull'argomento, perché, in realtà, ci pensiamo tutti, e molto più spesso di quanto immaginiamo, più o meno esplicitamente!
Cordiali saluti,
dott. Massimo Bedetti
3 SET 2015
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Ciao Rachele,
ciascuno di noi può interrogarsi sui temi importanti della vita, parlare con altre persone potrebbe essere un modo di confrontarsi, ma di fatto quando si è giovani non solo ci si sente invincibili ed "eterni", ma sentire il peso della caducità della vita per alcuni può essere oltremodo insopportabile, proprio perché, come spiegato da altri colleghi, non solo è un argomento di per sé triste, ma anche potrebbe risvegliare lutti mal elaborati...nondimeno quando ci ricordiamo della temporaneità della nostra esistenza iniziamo a farci domande sul valore della stessa e su quanto realizzato fino a questo momento e se le risposte che ci diamo non sono positive, possono subentrare senso di angoscia, inutilità ed ansia.
E' vero è un tabù, quasi che preferissimo pensare che la morte non ci riguardi, perché in questo modo avremo sempre tempo di "rimediare", "fare" o migliorare le cose. C'è una frase che ritroviamo dagli scritti di filosofia alle pagine di facebook "Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo" che può racchiudere un po' il senso di questa discussione: se facessimo così probabilmente metà o oltre delle cose che facciamo quotidianamente, la eviteremmo, e scopriremmo quali sono per noi le cose "importanti" ossia quelle per cui davvero vale la pena vivere.
Allo stesso tempo, dato che realmente nessuno di noi può sapere cosa accadrà domani c'è la necessità di progettare, realizzare o organizzare l'esistenza.
In questa dicotomia è racchiusa la risposta alla tua domanda, il tabù è relativo alla difficoltà di elaborare temi così importanti, pregnanti e "contrastanti" tra loro.
3 SET 2015
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Non è che parlare della morte sia sbagliato. L'uomo è l'unico essere animale in questo pianeta che ha la coscienza della morte. Quello che a me preoccupa, però è che si dia troppa poca importanza alla vita. Ogni giorno assistiamo a scene atroci in cui la vita viene gettata via come se non valesse nulla. Guerre, omicidi senza scrupoli, ecc. E allora parlare della morte, va bene, ma per valorizzare la vita. Questo deve essere lo scopo principale. Perché quello che conta è come vivere meglio, e non come morire. La morte arriverà, questo è sicuro, ma la vita è un dono che va accettato e valorizzato. Moriremo serenamente se avremo vissuto bene senza rimpianti: ecco io parlerei della morte in questo senso. Un saluto affettuoso.
2 SET 2015
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Carissima Rachele,
ha ragione, non c'è dubbio che la morte sia un argomento importante e se lei ha necessità di confrontarsi su questo argomento e' giusto che lo faccia, ma non può certo obbligare le persone ad affrontare argomenti che non sono pronti ad affrontare per vari motivi. La morte e' comunque un argomento con il quale ogni essere umano deve prima o poi confrontarsi, ogni soggetto deve saperci fare con la finitezza della sua vita, ma e' giusto che lo faccia se e come lo desidera.
Lei ha parlato di un film, perché l'ha colpita tanto?
Forse dovrebbe chiedersi perché in questo momento la necessità di parlare della morte e' per lei così impellente.
Potrebbe rivolgersi ad un terapeuta della sua zona, magari analista lacaniano, per comprendere cosa di questo argomento le sta tanto a cuore.
La vita e la morte vanno di pari passo, per certi versi, e vanno considerate entrambe con il giusto peso e valore.
2 SET 2015
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Cara Rachele,
la paura della morte è sempre presente nella vita e, in un modo o nell'altro, filtra azioni, pensieri ed emozioni.
L'essere umano cerca spiegazioni e significati e, tra le faccende della vita, questa della morte è quella più complessa da inquadrare.
Può capitare che le persone preferiscano non doversi confrontare con questa paura. La paura della morte può anche essere considerata una paura di vita, data la stretta connessione tra le due e la loro interdipendenza.
L'uomo teme la morte, dove il sé sembra svanire e cadere nell'oblio e cerca un modo di vivere nonostante la paura. Alcuni coprono la paura aumentando gli eccessi di vita (lavoro, divertimento, sesso, sostanze, sport, estrema regolazione dell'alimentazione...), altri appoggiandosi alla fede, altri, come lei, amerebbero parlarne.