Perché gli psicologi pensano sempre che io sia borderline?

Inviata da Saretta · 25 mag 2020 Disturbi della personalità

Buongiorno, ogni volta vengo scambiata per borderline. So benissimo di non esserlo, non ho nemmeno tratti. Onestamente penso sia segno di incompetenza dirmi che sono borderline, quando non lo sono per niente. Mi chiedo come è possibile che tutti i terapeuti commettano questo errore. Io di bordeline ne ho incontrati e sono completamente pazzi, te ne accorgi subito. Non hanno il senso di sé. Oltretutto mi dicono che sono borderline solo perché sembro bonacciona, ma per mia esperienza i borderline non sono per niente buoni( questa è la loro impressione nella loro testa bacata) Anche perché io non ho un pensiero dicotomico: non divido in buoni e cattivi e nemmeno io mi vedo buona o cattiva( primo segno che non sono bordeline) a me non frega un cavolo se sono buona o cattiva, non ho ste paturnie mentali. Tralascio i classici sintomi del disturbo borderline ( drogarsi, tagliarsi, non essere costanti sul lavoro, bulimia, paura dell'abbandono) Non ho nessuno di questi sintomi, ma gli psicologi insistono nel dire che molti borderline non si drogano, non beveno, non corrono con la macchina e sono costanti lavorativamente ( per mia esperienza posso assicurare che tutti i borderline che ho conosciuto a livello lavorativo e di studio erano assolutamente incostanti) In pratica io pur non presentando nessun sintomo o caratteristica bordeline, vengo comunque etichettata con questo disturbo. Si creano scenette ridicole. Una volta la psicologa mi disse" lo so che mi credi perfetta e che mi idealizzi, ma anch'io ho dei difetti" beh io l'ho sfottuta allegramente ( come di meritava) le ho detto che l'unica perfetta lì ero io e che semmai le piacerebbe essere perfetta ma è piena di difetti e imperfezioni ( le ho detto che potevo fare pure l'elenco della sua inadeguatezza) e le ho detto di preoccuparsi sull'idealizzazione perché sono fin troppo consapevole che commette errore e non corre il rischio di essere idealizzata. Un'altra volta mi ha detto di controllare i miei impulsi perché le persone come me non li controllano, mi ha fatto vedere il video di bambini a cui era stato detto che se fossero riusciti a non mangiare una caramella per 1 ora, poi gli avrebbero dato l'intero pacchetto. Mi ha paragonato ai bambini che non riuscivano a resistere per più di due secondi. Allora l'ho derisa un'altra volta( come meritava) le ho detto che io non mi sarei mai prestata a un simile esperimento gratis e che avrei preteso immediatamente il pacchetto e quindi la caramella non l'avrei mangiata ( non mi presto a simili giochetti gratis, sono una persona importante) perché avrei negoziato. Poi le ho ricordato che è una fumatrice incallita, e che io invece non ho nessun tipo di vizio e quindi quella che dovrebbe controllare i suoi impulsi è proprio lei, smettendo di fumare ( lei mi ha risposto che con il cavolo smette di fumare e allora io le ho detto di non scassare a me a questo punto) Ecco, ogni volta scenette ridicole su problemi che manco ho. Io sono pure una donna di successo e in carriera, non potrei nemmeno avere una personalità borderline.

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Miglior risposta 31 MAG 2020

Buongiorno Saretta,
L'argomento "diagnosi" è un aspetto molto controverso e dibattuto in ambito psicologico. Spesso fare una diagnosi a un paziente, non solo attraverso i colloqui, ma talvolta somministrando anche test che possono essere utili ad un inquadramento più preciso, perde di importanza e di validità se questa viene COMUNICATA al paziente e non è CONDIVISA con il paziente. Comunicare e condividere hanno due significati molto diversi tra di loro e l'uno o l'altro modo di procedere avrà sicuramente un effetto sulla relazione terapeutica. Quando si comunica una diagnosi non sempre la persona che si ha di fronte è disposta ad accettare quello che le viene detto, perchè sente quella comunicazione come estranea alla sua persona, in questo caso il rischio è di sentirsi "etichettati" e in tal caso la diagnosi non servirebbe assolutamente a nulla, anzi creerebbe solo degli ostacoli alla terapia. Mentre condividere con un paziente una diagnosi (a me personalmente il termine non piace molto, io preferisco parlare di "modo di funzionare") può essere utile se il paziente si sente riconosciuto nel suo funzionamento e questo può favorire la creazione di una buona alleanza terapeutica importante per iniziare a lavorare sugli obiettivi che sono stati condivisi con lo psicologo.
Nel suo caso penso possa essere utile condividere con la sua terapeuta il disagio e mi permetto di dire anche l'irritazione che prova ogni volta che si sente etichettata e non si riconosce nelle sue parole, il rischio se no è che questo diventi un ostacolo per la sua terapia.

Un caro saluto

Dott.ssa Ilaria Passoni

Ilaria Passoni Psicologo a Lissone

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