Offese e senso di colpa
Salve, le scrivo per ricevere un parere in merito a quanto accadutomi pochi giorni fa. Ero in terapia con uno psicoterapeuta di indirizzo cognitivo-comportamentale da circa un anno a causa di disturbi legati a doc, insonnia, problemi di natura affettivo-relazionale. Nella prima parte della terapia la frequenza con cui ci si vedeva era 1 volta a settimana. Nell'ultimo periodo avevo chiesto di diradare la frequenza a 1 volta ogni 10 giorni e poi a 2 volte al mese, perché stavo meglio, perché non avevo più possibilità di economica di andare 4 volte al mese (60€ a seduta) e perché ero entrata in una fase di stallo. La terapia mi aveva aiutata a risolvere i problemi che mi rendevano la vita impossibile, ma altre problematiche affettivo-relazionali riguardavano tempi molto lunghi e non vedevo come la terapia potesse accorciarli dal momento che io stessa sentivo l'esigenza di fermarmi e ritrovare un mio equilibrio e, perchè no, di darmi del tempo per elaborare e non necessariamente "velocizzare" un processo di risoluzione che, magari, io stessa non mi sentivo pronta ad affrontare nell'immediato. Insomma, stavo relativamente bene così.
Il terapeuta, conoscendo il rischio che si corre quando si sente di star meglio e si è portati a diradare le sedute, mi ha avvertita che questo mio ridurre a 2 volte al mese rischiava di compromettere la riuscita del percorso, portandomi a star nuovamente male e che non era ancora il momento giusto per allenatore la presa, bensì bisognava battere proprio allora che il ferro era caldo.
Mi ha anche precisato che, in caso di ricadute, non avrei dovuto attribuire la colpa a lui e alla terapia, ma alla mia decisione di diradare.
Ovviamente, il mio senso di colpa e di responsabilità spropositato ha creato un conflitto in me e mi sono quasi sentita "costretta" a continuare. Con il passare del tempo si è insinuato in me il dubbio che potesse esserci un interesse economico del terapeuta alla base e mi sono trovata dinanzi ad un bivio. Fidarmi ciecamente del terapeuta o non fidarmi.
Con sincerità gli ho fatto presente il mio dubbio provocando ovviamente rabbia, grossa delusione e la decisione da parte del terapeuta di interrompere il percorso in quanto venuta meno l'alleanza terapeutica a seguito della mia mancanza di fiducia in lui. Mi ha fatto presente che non era il tipo di persona che stava con l'orologio alla mano durante le sedute, facendomi spesso sforare di qualche minuto, che rispondeva educatamente ai messaggi non appena ne aveva possibilità, pur in realtà invitandomi solo a parlarne in seduta e ad aumentarne la frequenza in caso di bisogno. Ovviamente la discussione ha assunto toni accesi e si è conclusa in malo modo.
Gli ho inviato un messaggio di scuse, avendo capito che l'offesa lo aveva riguardato sul piano professionale ed anche personale. Gli ho chiesto scusa per i toni (sono impulsiva e spesso dico cose offensive in modo troppo diretto). Gli ho però fatto capire che la mia non voleva essere una accusa al suo modo di lavorare, in quanto sempre corretto. Era piuttosto un atto di sincerità che denotava una mia mancanza o incapacità di fidarmi totalmente di questa figura professionale. Non mi ha più risposto, probabilmente non ritenendomi degna neanche di parola e questo ovviamente mi porta a dedurre, come sempre, che io sia una cattiva persona, indegna di ricevere perdono e magari neanche una risposta a delle scuse (buona o cattiva che sia, ma civile) e meritevole di essere esclusa e isolata da tutti.
Che poi, in fondo, è il motivo per cui sono andata in terapia. Non è la prima volta che metto a repentaglio un rapporto umano per delle offese ritenute insostenibili dall'altra persona. Ma è un mio tratto radicato, ho la necessità di essere trasparente magari rischiando di ferire o di perdere una persona dicendo la verità o manifestando un dubbio, piuttosto che proseguire nella finzione. Ed in questo caso non potevo portare avanti la terapia con questo conflitto interiore. Ragion per cui non mi pento di aver fatto presente il mio dubbio, ho fatto ciò che ho ritenuto giusto e le mie scuse non erano affatto miranti a voler riprendere il percorso di terapia. Tuttavia, ho offeso una persona e pertanto me ne sono rammaricata. Quel che mi chiedo, a questo punto, è: perché io sento la necessità di scusarmi con umiltà ma, dall'altro lato questo non viene neanche apprezzato? Perché una persona deve poter decidere che io merito di sentirmi in colpa eternamente per questa o qualunque cosa e che non merito neanche un chiarimento, specie se proprio un terapeuta che conosce questo mio lato "aggressivo"-impulsivo? Perché io dipendo dal perdono altrui (come fosse quello di un Dio infallibile) e non sono in grado di perdonare me stessa (ancora una volta mostruosamente colpevole, vergognosamente imperdonabile)?
La ringrazio per il consulto.