11 AGO 2016
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Buongiorno Ginevra, posso intuire come può sentirsi in questo momento, tuttavia la invito a riflettere su questo: all'interno della dinamica relazionale con i suoi figli (e non uso il plurale in modo casuale), l'adulto è lei. Lei, nel pieno rispetto delle sue emozioni e fragilità (che rendono con-simili tutti noi esseri umani), ha il "dovere" biologico di fornire sicurezza, supporto, protezione e capacità di organizzazione emotiva ai piccoli. Quest'ultima capacità (l'organizzazione delle emozioni) forse è la più difficile e meno immediata, ma tra le più importanti. Da come ha descritto gli eventi sembra che suo figlio più piccolo sia passato da una fase di totale attaccamento ad uno di quasi totale rifiuto da quando si è rotta la gamba. Mi permetto di dubitare: magari lei ha questo tipo di percezione ma, difficilmente, la relazione madre-bambino si evolve in questo modo così repentinamente. Ad es., prendendo per acclarato (ma è sempre una ipotesi) che il suo bambino, nel periodo del gesso, si sia sentito trascurato, probabilmente le ha fatto capire e comunicato (in modo non strategico, ma emotivamente automatico) il suo "risentimento"; tuttavia, lei è (o dovrebbe essere) sempre il suo riferimento principale, dunque, per dirla semplice, dopo qualche scena di rabbietta, sarebbe dovuto tornare tra le sue braccia. In questo senso, tornando all'organizzazione delle emozioni, sarebbe stato utile accogliere questo suo risentimento, trasmettendo la capacità di "stare" all'interno di una relazione interrotta ma che subito possa essere riparata (comprendo pure che sia più facile da dire che da attuare, visto che genitori si diventa con l'esperienza). Quello che, a mio parere, ci sarebbe da analizzare, sono due cose: uno, appunto, come mai il suo bambino (ma l'altro? Che tipo di relazione avete? Sarebbe interessante capire anche questo) non l'abbia ricercata e, due, il discorso della tata e di quanto tempo stanno insieme. Tra l'altro, può essere che i due discorsi siano contigui? Nel senso, ma siamo sempre sul campo delle ipotesi, può essere che il bambino piccolo già cominciasse a percepirla più lontana affettivamente, prima del gesso, e poi questo, l'abbia resa emotivamente sempre più distante (in modo involontario)? Calcolando che, proprio per sopravvivere, i bambini non possono sentirsi da soli, la tata, facilmente (anche se non intenzionalmente, immagino) ha facilmente colmato una sensazione di vuoto. Se, a tutto ciò, ci si aggiunge la sua attuale modalità relazionale di rifiuto (comprensibile, per certi versi) nei suoi confronti, si può intuire il vostro momento critico. Tuttavia, credo anche che nulla sia compromesso (ovviamente), a patto che lei decida (e, ce la faccia, emotivamente) di prendere la situazione in mano, analizzando quali e quante risorse, soprattutto affettive, riesce a rilevare ed, eventualmente, cominciando a farsi percepire come una base sicura per i suoi figli (in modi diversi per ciascuno). Con il piccolo potrebbe volerci di più, ma alla fine, la madre è lei con tutti i suoi correlati (per il bambino) di imprinting affettivo-cognitivo. Nel caso, tuttavia, percepisse di non avere troppe risorse, a mio modo di vedere, piuttosto che agire in modo poco sicuro (ovvero, ad es., trasmettere sicurezza in modo alternante a seconda di come sta in quel momento), forse è il caso di un aiuto e supporto alla genitorialità (ci sono diversi colleghi esperti in questo campo), in modo che possa ritrovare quella modalità relazionali che già aveva all'inizio con suo figlio ma che poi, nel tempo e per qualche motivo, o non hanno più funzionato o non sono state più ritrovate.
Buona fortuna
dott. Massimo Bedetti
Psicologo/Psicoterapeuta
Costruttivista-Postrazionalista Roma