Idealizzazione nel transfert: abbandonarsi o calibrare
Gentili Dottori,
Vi scrivo per un consiglio in merito alla mia relazione terapeutica, sono in cura da circa due anni presso una professionista straordinaria che mi ha permesso di compiere passi avanti notevoli, a trent'anni suonati ho ripreso la mia vita ed i miei studi di psicologia, la mia vera passione, sto superando felicemente abuso da sostanze e fobie varie. Per usare qualche eufemismo potrei dire di ritrovarmi con una personalità egocentrico/vulnerabile, un po' infantile, un po' abbandonica..soprattutto egocentrica. La sintomatologia che ho presentato era ovviamente legata ad altro, inclusi disturbi nella sfera sessuale. I risultati (parafilie a parte, che paiono irrisolvibili) fanno ben sperare, ma vorrei chiedere la vostra opinione riguardo ai miei sentimenti di transfert: sicuramente esporrò la questione alla mia terapeuta già dalla prossima seduta, come faccio ultimamente da quando ho sviluppato fiducia, mi interessa ascoltare qualche parere in più per aiutarmi a capire ed orientarmi meglio. Come vedete un'idealizzazione un po' "parentale" in questo contesto? So distinguere la tipologia di figura, so che non è un'amica (purtroppo!) ma vedo la mia terapeuta come genitore funzionale, contrapposto a quelli poco empatici e piuttosto manipolativi che mi ritrovo (anche affettuosi, per carità, a modo loro). Inoltre identifico la terapeuta anche con la donna ideale, insomma una sorta di mentore/madre/amore platonico contrapposto ad un mondo esterno inaffidabile, che disincentiva l'empatia e la sensibilità.. Ho fatto, tempo fa, anche un sogno (che non ho ancora comunicato, la mia terapeuta non ha un indirizzo psicodinamico e tempo possa dargli poco peso) che in realtà ha facilitato un certo sblocco, il sogno comprendeva tutti questi elementi, dall'erotico all'amorevole. Può essere auspicabile assecondare il transfert in questo caso, continuando ad aprirmi o sarebbe meglio "contenermi" e tenerlo sotto controllo?
Ringrazio anticipatamente