Ho lasciato la mia ragazza ma non riesco ad andare avanti
Cercherò di essere sintetico: ho posto fine alla relazione di quasi due anni con la mia ragazza perché mi sentivo infelice e oppresso.
La relazione nasce quando la mia ragazza decide di mettere fine alla sua precedente relazione di 5 anni. Con un messaggio. Prima che finisse noi ci vedevamo già e farle porre fine alla relazione non è stato semplice. Tale periodo è durato 3 mesi.
L'inizio di relazione è stato burrascoso. In quei 3 mesi in cui l'ho frequentata ho cercato di conquistarla e quando alla fine lei è venuta da me, io ho subito il contraccolpo. Non me l'aspettavo ed ero logorato già da quei mesi di conquista difficile. L'entusiasmo iniziale era più smorzato e il fatto che avesse lasciato il suo precedente ragazzo repentinamente, mi metteva in difficoltà.
Dopo le titubanze iniziali, la relazione comincia e subito in quinta. Lei vive sola, a causa di genitori separati che hanno deciso di lasciare le loro abitazioni per vivere con i rispettivi compagni e io mi sento in dovere di essere già molto presente, dormire da lei. Ammetto anche che sono una persona molto legata alla mia casa, vivo ancora con i miei non avendo stabilità economica, almeno fino a due anni fa, e l'idea di convivere subito con una persona non era contemplata.
Lei è una ragazza che mostra di soffrire questo abbandono genitoriale, specialmente del padre. Si dimostra da subito una persona estremamente insicura, permalosissima e dovevo stare attento a qualunque cosa dicessi e come lo dicessi. Io sono una persona più tranquilla, ho sì molte insicurezze, ma non ho mai avuto gelosie o atteggiamenti controllanti.
Questi aspetti, perpetuati in modo più o meno forte nel corso della relazione non hanno fatto che far sviluppare in me un atteggiamento evitante, con difficoltà ad esprimere i miei sentimenti, voler passare tempo sempre con lei, sentirmi libero di esprimere il mio dissenso, arrivando a fine relazione a chiudermi dentro me stesso, non cercando più di contraddirla o far valere le mie opinioni o desideri.
Ci sono stati alti e bassi nella relazione, ma io non mi sono mai sentito di darmi al 100%. Organizzavo i viaggi ma non lo facevo con estrema voglia, e più volte durante questi due anni pensavo "tanto un giorno di questi la lascerò".
Mi sentivo di non dare il massimo, temendo che potesse prendersi tutto di me. Più lei si mostrava controllante, più io mi allontanavo "dentro di me" anche se non mancavo di esserci.
Ammetto, inoltre, di soffrire o aver sofferto sempre l'atteggiamento iperprotettivo della mia figura materna e credo che questo abbia creato in me un modo di vivere le relazioni disfunzionale. Questi aspetti li sto guardando meglio ora, affrontando un percorso di psicoterapia a seguito della rottura.
Prima della definitiva rottura, avvenuta due mesi fa, c'erano state due piccole rotture, sempre per gli stessi motivi. Io mi sentivo molto oppresso e non libero di anche dire "torno a casa mia" perché seguivano malumori. Annoto che questi stacchi, rientrati nel giro di un giorno, sono sempre avvenuti per discussioni che avevano a che fare con il mio volermi sentire libero di tornare a casa, ad esempio.
Ribadisco che forse il mio non volermi lasciare andare non ha fatto che contribuire alla sua sfiducia e al suo desiderio di sentirsi amata e voluta. Più volte lei mi esprimeva i suoi sentimenti, che avesse bisogno di me, che ero il suo tutto, mi riempiva di complimenti. Sono sempre stato l'amore della sua vita, ci conoscevamo da piccoli e ora ci siamo reincontrati. Io, al contrario, sono sempre stato parco di parole importanti, finanche il ti amo non l'ho mai voluto dire e mi interrogo. Eppure ho sempre espresso i miei sentimenti nelle azioni, nel mio essere presente per lei e nel lasciarla libera di fare così come desideravo io. Ero felice che avesse il suo lavoro, che uscisse con le amiche.
Una sua amicizia maschile, che poi era in comune, è stata allontanata da lei e da me in quanto resasi responsabile di comportamenti tossici nei confronti della nostra relazione (un amico che ha sofferto l'esclusione dalla nostra storia).
L'ultimo periodo io ho sofferto di una semidepressione a causa del COVID e la conseguente difficoltà nella ricerca del lavoro all'indomani della mia laurea. Questo periodo mi ha buttato ancora più giù facendomi perdere le redini della relazione, in quanto ossessionato dal voler sfruttare ogni giorno per dedicarmi alla ricerca del lavoro. Inoltre avevamo preso un cane che ha dato non pochi problemi e di cui mi sono preso carico io, nelle difficoltà, in quanto lei ha sofferto un down dovuto alla "responsabilità" di badare ad un cucciolo. Io ho tenuto per amore del cane e mi sono sentito fiero di essere riuscito a darle serenità e sostegno in un momento così difficile. Anche lei si è dimostrata amorevole nel sostenermi per la ricerca del lavoro, non risparmiandosi e incoraggiandomi fino all'ultimo.
Purtroppo io, a causa del mio carattere, non ho mai espresso i miei disagi, eccetto quelli per l'autostima a zero per la situazione lavorativa. Ho mancato di comunicazione con lei. Ogni discussione legata alla mia mancanza di attenzioni io ribattevo che era lei ad essere troppo oppressiva e richiedente.
Ho chiuso la relazione in seguito ad una discussione sul futuro insieme, dato che ho ricevuto alla fine una possibilità lavorativa al nord. Lei si è detta pronta a lasciare tutto e trasferirsi con me e io ho sentito che la cosa mi stringeva e ho sfruttato la discussione per chiudere, cosa a cui pensavo già da tempo. Capitava che mi chiudessi in bagno a pensare a quanto fossi triste. Mancavo di assertività, non esprimevo più il mio parere. Lei mi diceva che sembrava che stessimo insieme da 20 anni. Anche l'intimità sessuale deficitava, non avevo desiderio, se non sporadicamente, ma non mi astenevo per non deluderla, anche se poi ne ero soddisfatto e credo anche lei. Il sesso con lei mi appagava, nonostante anche mie defaillance legate alla velocità.
Ad oggi sono due mesi da quella rottura, ci si è visti qualche volta, soprattutto per me che ho cercato di vederla perché mi manca maledettamente e sono in preda ai pensieri, se ho fatto la cosa giusta, se potevo comunicare di più per salvare la relazione. Credo che qualcosa in me non vada e così ho deciso di intraprendere un percorso di psicoterapia. Lo psicoterapeuta sostiene che la mia decisione è saggia in quanto avrei intravisto comportamenti che non avrebbero portato a serenità nel futuro come il suo rapporto conflittuale con membri della famiglia (molto irascibile e litigiosa) o il suo rapporto col cane o una frase offensiva, detta estemporaneamente, nei confronti di mia madre.
Io ho sempre sofferto, oltre che il suo essere insicura e sfiduciata nei miei confronti, la sua permalosità, il non poter scherzare liberamente o prenderla, affettuosamente in giro, non poterle dire "carina" perché era come dirle "non sei bella" quando per me è la ragazza più bella del mondo.
Ammetto pure che a volte, pur non essendo in malafede, ho nascosto conversazioni con mie amiche per paura che lei aprisse discussioni o anche solo mi chiedesse con fare intimidatorio al solo vederle, come già successo, e sono stato scoperto. Quindi così ho minato una situazione già instabile.
In questi giorni l'ho vista e sta ancora malissimo e io con lei. Mi dice che è disposta a non badare all'orgoglio che mi ama moltissimo e che ha capito i suoi sbagli. Anche io ho ammesso che ho compreso certe cose di me e su come affrontare la cosa, ma non sono capace di prendere una decisione. Anche perché sono insicuro, e ho paura di ritornare a provare quei disagi, che forse la mia è soltanto affezione o che forse ho dei disturbi che non mi permettono di stare bene con lei. Inoltre partirò fra qualche mese e ho paura a imbarcarmi in un ritorno che può anche prevedere una distanza.