Dare un senso alla propria esistenza
Salve,
sono un ragazzo di 22 anni e attraverso un periodo di profonda crisi esistenziale.
Premetto che sono sempre stato molto introverso, con una certa difficoltà a stabilire rapporti profondi con le altre persone, prova ne sia il fatto che alla mia età non ho mai avuto relazioni sentimentali. Il mio rapporto col mondo femminile è stato perlopiù a distanza, con innamoramenti non corrisposti o addirittura mai palesati alle interessate. Complice un certo ritardo nello sviluppo di caratteri sessuali secondari (tuttora ho pochi peli di barba) mi sono sempre sentito quasi un bambino rispetto ai miei coetanei, incapace di suscitare interesse nell'altro sesso nonostante un aspetto fisico che ritengo assolutamente nella media. Mio malgrado mi sono ritrovato ad attraversare l'adolescenza senza aver vissuto le esperienze tipiche di quell'età: il primo bacio, la prima volta, gli assurdi sentimenti che si possono vivere solo con l'ingenuità dei 15 anni. Questa sensazione di essermi perso qualcosa di importante mi ha accompagnato per molto tempo, sotto forma di struggente rimpianto. Nel frattempo ho cercato di affrancarmi da quell'immagine di bambino (anche un po' secchione) attraverso la musica: ho iniziato a suonare la chitarra, mi sono fatto crescere i capelli , ho cercato di aggiungere alla mia immagine un po' di anticonformismo. Va detto che io per primo non mi sono mai impegnato particolarmente nel corteggiare una ragazza. Forse preferivo contemplarla a distanza, immaginarla perfetta, dipingere nella mia fantasia attimi di felicità assoluta piuttosto che mettermi in gioco nella realtà, esponendomi a delusioni e fatiche inutili.
Finito il liceo, da studente brillante quale ero, mi sono iscritto a Medicina. In realtà non ho mai voluto fare il medico, ma nei miei ingenui sogni avrei voluto fare il "ricercatore" solo perchè la parola mi affascinava. Ho continuato a rimpiangere l'entusiasmo con cui mi affacciavo alla vita nei primi anni della mia gioventù, avvertendo un lento ma inesorabile ingrigimento delle mia emozioni. Avevo alle mie spalle troppi rimpianti, troppi baci mai dati, troppe occasioni perdute. A 20 anni ho iniziato a sentirmi vecchio.
Il percorso universitario procedeva bene, ma mi rendevo gradualmente conto che le mie romantiche fantasie sul lavoro del ricercatore avevano poca attinenza con la realtà: nella pratica è un lavoro difficile e spesso noioso, e richiede un'abnegazione che io non ho.
E le cose sono andate avanti più o meno così fino al 2014, anno in cui la mia vita ha subito uno scossone di una certa entità. Ad aprile mi hanno diagnosticato una forma di leucemia. Ho fatto diversi cicli di chemio fino al trapianto di midollo da mia sorella, avvenuto a ottobre. Dopo 40 alienanti giorni sono uscito dalla camera sterile, "guarito" ma praticamente annientato fisicamente e psicologicamente. Lentamente ho ripreso a mangiare, camminare, uscire con i miei amici (molti dei quali mi sono stati vicini durante la malattia), suonare, studiare e in genere a fare tutte quelle cose che distinguono i vivi dai morti.
Inutile dire che tutto ciò mi ha segnato profondamente. Se prima, nonostante tutto, ero ancora animato dalla voglia di raggiungere degli obiettivi, di essere felice, di usare il mio tempo terreno per qualcosa di costruttivo, ora ho in me un profondo vuoto. Durante il tempo in ospedale ho pianto, urlato, tirato la testa nei muri. Tuttora sono sotto antidepressivi.
Mi ritrovo a trascinarmi giorno per giorno senza trovare una direzione, più incerto che mai sul mio futuro universitario (ho ripreso, con poca convinzione, a dare esami). Nonostante l'appoggio dei miei genitori, di mia sorella, di tutte le persone che mi sono state vicine, mi sento isolato, una sorta di monade senza legami col mondo esterno. Tutto ciò che ho vissuto mi appare come un'incoerente sequenza di eventi senza alcun legame fra di loro.
E mi chiedo: chi sono io? Come posso riprendere il controllo della mia vita?