Bloccata in una magistrale/incubo senza fine
Salve. Vi scrivo per avere un orientamento su cosa fare. Sono bloccata nella mia vita universitaria ormai dal lontano 2017, quando dopo una triennale estenuante e senza nessun vero momento di pausa e di riflessione mi iscrivo alla magistrale come una sorta di dovere da compiere, di destino ineluttabile. Ormai i miei familiari avevano deciso che dovessi fare l'insegnante - ignorando la mia volontà e i miei dubbi al riguardo, al punto tale che forse credevo di volerlo anch'io -, sicché mi butto, trascinata dalla corrente del "tanto non puoi fare altro con quella laurea se ti limiti alla triennale". Inizialmente mi sento un po' spaesata, trattandosi di corsi dall'impostazione totalmente diversa da quella a cui ero abituata, ma la curiosità prevale e il primo semestre sembra andare bene. Presto però sorgono i problemi. Comincio a sentirmi stanca di frequentare le lezioni, disinteressata, apatica; vado avanti per pura inerzia. Non riesco a studiare, anche in un ambiente privo di distrazioni di qualunque tipo; di conseguenza non do esami se non uno, che passo per miracolo. Al secondo anno ho un vero e proprio breakdown con ideazioni suicidarie. Anche il corpo ne risente: entro ed esco dall'ospedale un giorno sì e l'altro pure. Allarmata, mia madre accetta finalmente di mandarmi da uno psicologo, che tuttavia non mi è per niente di aiuto - ricordo che mi disse, con fare parecchio spazientito: "Prima pensa a finire la magistrale, poi risolvi la crisi esistenziale". Cosa?! Se il problema è proprio che non riesco a finire! Alla lunga si dimostra anche inappropriato - e squallido - nei miei confronti, così decido di non andarci più e passare a una psicologa. Con lei nei primi tempi mi trovo bene, mi sento ascoltata e compresa riguardo la mia storia familiare (ci vorrebbe un altro post solo per quella: tra violenze, abusi psicologici, povertà, abbandono...c'è il materiale per un'epopea), ma arrivate al problema universitario sono di nuovo davanti a un muro: mi fa vergognare tremendamente e sentire in colpa con l'argomentazione che devo muovermi a finire e devo pure smetterla di lamentarmi perché "oggi il lavoro è un lusso e c'è una caterva di gente che darebbe qualunque cosa per fare l'insegnante". Dettomi nella stessa seduta in cui, disperata, le ho confessato di avere da tempo quelle idee sul togliermi la vita. Ne esco peggio di prima. Partecipo solo a un altro paio di sedute dopo quell'evento, poi mi defilo. Nel frattempo si arriva al periodo del primo lockdown. Con una forza di volontà che non mi spiego - ero felice di non dover vedere più nessuno? - riesco a dare tutti gli esami che mi mancano, uno dopo l'altro. A questo punto quindi resta solo la dannata tesi di laurea. La mia salute fisica e mentale, tuttavia, si deteriora ulteriormente e sopraggiungono, per la prima volta nella mia vita, gli attacchi di panico. Non riesco a mangiare, rifiuto il cibo come se qualunque boccone mi potesse uccidere; arrivo al sottopeso. Mia madre dunque mi costringe ad andare da uno psichiatra, che mi prescrive antidepressivi e ansiolitici a seguito della diagnosi di "ansia generalizzata con forte tendenza alla somatizzazione". Ne vengo buttata giù come in un baratro. Non ho la forza di fare nulla, io stessa non sono più nulla. Passo le giornate a letto, mentre di notte sono tormentata da insonnia, incubi, palpitazioni. Gli unici momenti di sollievo in quell'inferno mi arrivano quando assumo le benzodiazepine, tanto che finisco per diventarne dipendente. Con grande fatica ne esco e smetto di assumere psicofarmaci.
Siamo al secondo lockdown. Prometto alla relatrice di scrivere il primo capitolo della tesi e inviarglielo. Inutile dirlo, non riesco a mettere nero su bianco neppure un rigo e sparisco dai radar. Mi do a un'altra dipendenza, stavolta, quella affettiva. E in essa sono ancora invischiata.
La mia famiglia ha esplicitato in più occasioni di disprezzarmi in quanto fallimento sia dal punto di vista umano (i miei atteggiamenti che non si confanno a una ragazza perbene mi hanno resa indegna ormai del loro amore) sia universitario/professionale. Mia madre, tormentata dal salvare le apparenze e dal liberarsi al più presto di me, mi pressa quotidianamente, a volte in modo aggressivo, a volte giocando col mio senso di colpa, sperando così di spronarmi. Ma non ce la faccio.
Inevitabilmente ogni santo giorno mi alzo e mi dico che quindi sono una persona orribile, ingrata, pigra e viziata; perché non riesco a essere normale, un adulto funzionale? Perché non ce la faccio né a smettere definitivamente con la magistrale né a continuare per portarla a termine, seppure per nulla convinta di essa? Probabilmente ho paura di quello che dovrebbe venire dopo in un caso o nell'altro, penso, per cui mi ostino a vivere in un limbo fatto solo di dolore e disprezzo per me stessa. E mentre i miei coetanei vanno avanti, costruiscono le loro vite forti del sapere chi sono e cosa vogliono, io sono qui, verso la fine dei miei vent'anni, a torturarmi, a diventare qualcosa senza forma: non so chi sono (difatti modello la mia personalità per piacere alla persona con cui sto in quel momento) e non so affatto cosa voglio. Quando finii il liceo ed ero piena di speranza per il futuro la mia prima scelta fu la facoltà di lingue: volevo rapportarmi ad altre culture, andare all'estero, lontano dalla mia famiglia disfunzionale; poi mi sono fatta influenzare proprio da quest'ultima e ho abbandonato, in quanto mi è stato detto: "Tanto non andrai da nessuna parte! E' troppo pericoloso, tu non hai idea di che mondo c'è fuori! Non sei capace di badare a te stessa neppure qui, figurati all'estero. Finirai male. Scegli qualcosa di più tranquillo ed economicamente sicuro. Poi non vorrai mica lasciarci da soli, dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per te". Il risultato si è visto. Adesso non saprei neppure se ho davvero voglia di riprendere quella strada. Non so niente di niente. Ho il vago desiderio di tornare in terapia e capire se oltre all'ansia generalizzata c'è qualcos'altro che mi procura tanta sofferenza e mi blocca (un disturbo della personalità, forse?), ma non posso permettermelo al momento. Come dovrei muovermi?