Angoscia, attacchi di panico, ansia, ipocondria, voglia di scappare

Inviata da Vic · 21 giu 2020 Ansia

Salve, sono una ragazza di 26 anni e sto vivendo il periodo più angosciante della mia vita. Da due anni soffro di ansia intensa che si è manifestata inizialmente come una gastrite (ora diventata cronica). Pensavo si trattasse di una "semplice" crisi esistenziale, la famosa crisi del quarto di secolo, dovuta al fatto che non sapessi qual era il mio posto nel mondo e ai miei dubbi sul percorso universitario intrapreso, arrivato faticosamente alla magistrale. Non riuscivo più a studiare, mi sentivo addosso da una parte la pressione per continuare a essere perfetta nei miei voti e dall'altra una spinta a dover essere necessariamente, a fine percorso di studi, senza possibilità di scelta, qualcosa che non volevo essere davvero, ossia un'insegnante. Intanto i problemi digestivi si facevano sempre più invalidanti e pressanti e sono stata da un numero infinito di dottori, prendendo medicine di ogni tipo, senza ottenere alcun risultato duraturo. Nel frattempo il rapporto col mio ragazzo storico è andato in crisi e abbiamo rischiato di lasciarci, ma con una prontezza di spirito che non credevo possibile in me ho affrontato la situazione e ci siamo dati un'altra possibilità. Da quel momento però sento che qualcosa è cambiato. Dato che questa crisi è scaturita principalmente da lui, che aveva iniziato a frequentare delle ragazze che gli hanno instillato dubbi sulla nostra relazione (dubbi che evidentemente aveva già e gli saranno stati confermati), e che mi ha comunicato la cosa in modo del tutto inatteso, mentre di mattina mi aveva detto che mi amava, adesso sento come se i miei sentimenti nei suoi confronti si fossero raffreddati, come se non avessi più fiducia in quello che dice di provare e di voler fare con me. Intanto, continuiamo a stare insieme.
A ogni modo, dopo aver avuto l'ennesima crisi d'ansia prima di un esame decido che è il momento di andare da uno psicologo e cercare di risolvere il problema. Ne trovo uno che mi diagnostica l'ansia generalizzata ma non si rivela per niente adatto al suo ruolo e ne esco più demoralizzata di prima. Cambio, vado da una psicologa più empatica e preparata ed è con lei che adesso seguo una terapia cognitivo-comportamentale. Abbiamo evidenziato così la problematica principale della mia vita, ossia la mancanza di ambiente familiare sicuro. Backstory: mio padre era un uomo con disturbi mentali violento e instabile, picchiava mia madre e più volte io e lei abbiamo rischiato la vita. Se n'è andato di casa improvvisamente, poco più di dieci anni fa, e da allora l'ho visto solo una volta, poi è sparito del tutto. Mia madre è una donna segnata dai suoi traumi, anaffettiva nei miei confronti (mai un gesto o una parola amorevole da quando ho memoria, anzi: spesso e volentieri mi ha messo le mani addosso quand'ero adolscente, ma si esprime per lo più con la violenza verbale), sotto psicofarmaci da una vita; un giorno mi odia, mi dice che diventerò folle come mio padre, che non sono abbastanza forte per affrontare le sfide dell'esistenza, un altro diventa mamma chioccia, iperprotettiva, soffocante, e mi fa sentire come se fossi ancora una bambina incapace di badare a se stessa da sola. Il nostro rapporto è sempre stato conflittuale, perché volevo essere libera fin da piccola, volevo fare le mie scelte ed essere indipendente ma non me l'ha mai permesso e mi ha solo affossato e fatto violenza con ricatti psicologici, urla continue anche per un nonnulla e simili. Così dopo un'adolescenza in cui ho cercato di ribellarmi senza grande successo è come se avessi detto "Va bene, è inutile, tanto vale che metto il pilota automatico e mi lascio vivere come vogliono gli altri". Sono diventata passiva, ho iniziato a vestirmi come lei si aspettava che facessi e non come volevo, ho cambiato corso di laurea da lingue a lettere dopo che mi ha costantemente ripetuto che tanto non sarei mai andata all'estero perché è troppo pericoloso per una sprovveduta come me e che avrei dovuto cercare qualcosa di più sicuro. Dopo il cambio mi sono letteralmente tuffata nello studio come ancora di salvezza, non ho vissuto se non per quello; infatti degli anni della triennale non ricordo nulla se non le sessioni intensissime a cui mi sottoponevo, stringendo i denti perché "ormai avevo scelto quella bicicletta e dovevo pedalare" e cercando di prendere sempre il massimo dei voti per sentirmi gratificata e apprezzata almeno in un ambito e per mettere mia madre a tacere facendo la figlia modello. Inoltre si aggiungeva anche la pressione dei nonni, con cui vivo assieme a mia madre e a mia sorella più piccola, e il grosso trauma per mio zio, bipolare e tossicodipendente, che dopo vari episodi di violenza è stato allontanato da casa ma solo per modo di dire perché continua a comparire fuori al cancello, soprattutto in piena notte, per denaro. Poche sere fa ha anche appiccato fuoco all'entrata di casa e solo per puro caso ce ne siamo accorti. Ho aiutato a spegnere l'incendio fingendomi forte sul momento, ma sono ancora molto scossa.
Con la nuova psicologa sto cercando di riscoprire chi sono davvero, di esprimere quella voglia di libertà e di affermazione che mi è stata negata, senza serbare rancore ma andando avanti per la mia strada, in primis finendo la magistrale. Ecco, qui arrivano i problemi attuali. Durante la quarantena - che ho passato coi miei, quindi non proprio serenamente - ho finito gli esami, ma invece di essere felice ho iniziato a sentirmi vuota, inutile, come se mi fosse stato tolto qualcosa in cui avevo un senso. Ho passato tutto maggio senza fare niente, in totale sospensione della realtà, mentre iniziavo ad avere episodi di tachicardia che mi hanno spaventata moltissimo. A inizio giugno ho subito un intervento ginecologico, il primo che abbia mai avuto, ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il ginecologo mi ha prescritto delle siringhe di antibiotico cui ho avuto reazione allergica con conseguente - come ho scoperto - attacco di panico. E' da allora che ogni giorno per me è un tormento. Mi sveglio con la sensazione di un imminente attacco e mi addormento allo stesso modo. Mi sembra di stare sempre male, ho dolori alla testa, allo stomaco, ai muscoli e ogni minima azione richiede uno sforzo sovrumano. Ho iniziato ad aver paura di qualunque cosa, soprattutto di mangiare, perché ho la sensazione di soffocare. Ogni pranzo e cena è un incubo, ma cerco di tirare avanti e mangiare ugualmente.
Mia madre mi ha letteralmente costretta ad andare da un neurologo nonostante il mio rifiuto (viene una mattina e mi intima di vestirmi per fare questa visita); il quale neurologo mi dice che ho un disturbo d'ansia con forte somatizzazione e mi prescrive Cipralex e Lorans per 40 giorni. Non li ho ancora presi. Non volevo affrontare questa cosa coi farmaci, volevo provare a risolvere da sola e con l'aiuto della mia psicologa, ma mia madre e mia nonna mi stanno spaventando a morte ripetendo continuamente che se non li prendo ora la mia ansia peggiorerà e impazzirò finendo come mio padre e mio zio. Io so di non essere come loro, però...è davvero possibile che questo accada? Possibile che non riesca a stare meglio con la sola terapia e che abbia davvero bisogno dei farmaci? La psicologa ha detto che è una scelta che devo fare io senza sentirmi costretta da nessuno - tuttavia, è così difficile...so che se li prendessi adesso sarebbe unicamente per paura di quello che ho sentito da loro.
In questo momento vorrei solo scappare da casa mia, andarmene, poi sopraggiungono i sensi di colpa nei confronti di mio nonno, che ha la depressione e per soli due giorni in cui non ho mangiato con tutti loro è stato malissimo e mi ha chiesto se non gli volessi più bene. Ovviamente è stato straziante. Pure mia sorella costituisce un "ostacolo", in quanto soffre d'ansia come me e mi ripete che la lascerò da sola in quell'inferno - per tutta la vita ha avuto solo la mia presenza accanto -. Mi sento bloccata tra farmaci e non farmaci, tra andare via (ma dove, poi? Non ho un soldo né l'automobile e vivo in una campagna sperduta) e non andare via. So che dovrei agire pensando a me stessa, per una volta, e a ciò che voglio davvero; che non sono responsabile di ogni cosa e di ogni reazione dei miei familiari. Il peso, comunque, è gravosissimo.
Perdonatemi per aver scritto così tanto. Cosa dovrei fare secondo voi?

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Dott. Masucci A.

Dott. Armando Masucci Psicologo a Avellino

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