16 anni di relazione clandestina
Quando l'ho conosciuto ero sposata, avevo quarant'anni, figli ancora piccoli, un matrimonio insoddisfacente, ma una vita complessivamente serena, vuoti colmati con amicizie, impegni, interessi. Lui arriva come mio capo: anche lui sposato, figli piccoli, moglie a casa, una donna molto diversa da lui, approdato al matrimonio per aver riconosciuto in questa donna non affinità, ma affidabilità e dolcezza. Se non mi avesse conosciuto, avrebbe continuato, anche inconsapevolmente, a cercare una donna che colmasse i vuoti (non vi parlo del suo ego e delle sue inconfessate frustrazioni, sono un'intuizione che mi è emersa più tardi). Mi ha corteggiato per mesi, non me ne rendevo conto perchè non interessata, non curiosa di lui e di avere altre storie. Viene allo scoperto, mi parla d'amore, mi rivela un universo di sentimenti, mi commuove e mi disvela la possibilità di essere finalmente felice, l'amore al centro di tutto. Aspettami, mi dice: otto anni, finchè i figli non siano grandi abbastanza da farmi sentire liberato dalle mie responsabilità. E' stato un legame forte, lui sempre vicino, attento, innamorato. Ho tentato, spinta tante volte dall'insofferenza e dal bisogno di vivere in trasparenza, tante volte di allontanarmi da lui: non me l'ha mai permesso, mi ha sempre cercato, mi ha sempre riportato a sè con il suo amore irrinunciabile. Una sbandata sua per una donna seducente e irraggiungibile ha segnato una pausa al nostro rapporto: ma è tornato da me più prepotentemente, riconoscendo ancora in me la donna più vicina e la sola compagna possibile. Era acerbo, ho capito, l'ho perdonato come farebbe una moglie che vuol salvaguardare un legame duraturo e importante. Dopo 8 anni di relazione sempre molto intensa (ci tengo a dire che non ci vedevamo clandestinamente, se non in occasioni di trasferte per lavoro, non è stata una storia "inquinata" da stratagemmi, bugie e ricerca del piacere) è dovuto ritrasferirsi al nord ma la nostra relazione non ha subito battute d'arresto. Ha comprato casa alla sua famiglia, ma sempre , incessantemente, vicino. E sempre con l'obiettivo di venire da me non appena avesse avuto solidità finanziaria e figli più autonomi emotivamente. Non ha mai rinunciato al suo ruolo di buon padre e di buon marito: il suo senso di responsabilità verso la sua famiglia non ha ammesso alcuna deroga, ma non mi ha lasciato mai sola e non mi ha mai prospettato nulla di diverso dal nostro obiettivo futuro. Il mio matrimonio invece non ha retto: incapace di fingere, ho trascorso anni di logorio feroce, mio marito, pur sapendo da subito che ero innamorata di un altro, è restato tenacemente attaccato alla sua casa, obbligandomi infine ad andarmene io: per onestà e senso di colpa non ce l'ho fatta a penalizzarlo anche su questo. Ho perso tutto. La mia casa, il mio mondo, le mie consuetudini, le mie relazioni. I ragazzi sono restati col padre, per non lasciarlo da solo. Io mi sono divisa tra due case e tra tantissimi sensi di colpa e vuoti di ruolo. Lui lontano ma sempre vicino, anche finanziariamente e sempre con la prospettiva di venire da me. Di anni ne sono passati più di 16, sono una donna matura. Ho aspettato, con la fiducia alimentata dal mio e dal suo sentimento. I presupposti si sono tutti verificati: figli grandi, maggiore serenità finanziaria. Ho sostituito il mio paziente silenzio con una richiesta di maggiore concretezza. Il risultato è che, pian piano, senza scossoni violenti, senza rotture clamorose, quest'uomo si è alla fine dichiarato incapace di lasciare sua moglie, fino a dirmi che ora si sente narcotizzato e considera tutto "altro" da se stesso, anche io sono "altro". Nel non detto, leggo che sono diventata una minaccia al suo equilibrio. Ora preferisce restare chiuso nel suo silenzio, fa a meno di me. Noi siamo fisicamente distanti, abituati a stare lontani, più facile per lui adattarsi alla mia assenza che per me, che al nostro amore e al nostro futuro ho dato tutto e sono rimasta sola e psicologicamente indebolita. Credo che avrebbe dovuto preparare lentamente il terreno per venire da me. Non lo ha fatto e oggi abbandonare la famiglia gli appare - e in sostanza è - uno strattone violentissimo e inatteso per tutti, un dolore che non è capace di reggere e di imporre. Ma non posso accettarlo. Non posso accettare che il dolore sconfinato che io ho attraversato per andare verso la nostra meta, il dolore che ho fatto subire alla mia famiglia (i miei figli hanno avuto entrambi bisogno del sostegno di psicologi) resti in una bolla sospesa, ignorato, inutile. Mentre la sua vita scorre normale, nella menzogna, nell'ignoranza e nell'indifferenza dei traumi e del dramma mio, dei miei figli, di tutti quelli che ne sono stati coinvolti. Io credo che, pur non volendo più venire da me, lui debba trovare il coraggio di parlarne, di raccontare, di fare pulizia per rispetto a me e a chi, con me, ha portato il peso di una scelta che era nostra, della responsabilità di avermi guidato nella direzione del "noi". Io sono spinta dal bisogno di far dilagare il mio dolore, perchè ne siano coinvolti tutti quelli che devono sapere, perchè non resti dimenticato il mio sacrificio, il sovvertimento di tante vite. E perchè lui si prenda, infine, le responsabilità delle scelte che ha fatto. Non posso accettare che finisca nel silenzio. Grazie.