Universitas Psicoanalisis

Le esse stanno per soggetto sano, per ciascuno con i suoi tempi ed i suoi ritmi. E’ l’università di Totò, di Marilyn, di Vasco, di Gianna, di Duchamp, di Picasso, senza il titolo di dottore.

20 GEN 2014 · Tempo di lettura: min.
Universitas Psicoanalisis
“Parlami e ti dirò se mi piaci”
E’ l’università del soggetto, di ciascuno.
Le esse stanno per soggetto sano, per ciascuno, con i suoi tempi ed i suoi ritmi. E’ l’università di Totò, di Marcello, di Marilyn, di Vasco, di Gianna, di Duchamp, di Picasso, senza il titolo di dottore. E’ inutile aggiungere dottor Caravaggio, ingegner Leonardo.

Non c’è bisogno di un riconoscimento giuridico particolare, di un attestato. Qualcuno fa lo psicoanalista perché attua: cioè perché riesce a portare ad una soluzione di lavoro la condizione di transfert con la persona che domanda. Qualcuno fa l’artista perché ha trovato la misura della propria creatività nell’esprimerla, non perché ha il titolo attribuito dallo stato, ma perché ha titoli da pubblicare, cioè è riuscito a riconoscere ed a trovare i tempi e le modalità per attuarsi. E Alberto ha avuto i suoi e li ha riconosciuti ed espressi, così come Rembrant, o come Freud, come Fontana, come Contri, o Lacan: che abbiano conseguito o meno la laurea non ha molta importanza: né Anna Freud, né Melania Kleine avevano titolo accademico. Allo stesso modo vale per il politico, per il giornalista, come per il cantante, il musicista, il presentatore, l’acrobata o per l’atleta.

Il bambino a cinque anni circa è equipaggiato: grossomodo avrebbe tutti i titoli per poter approdare alla vita: conosce e pratica la legge universale di soddisfazione, sa cosa vuol dire andare a meta con un altro, sa che l’altro è nodale per la sua soddisfazione, ha praticato Edipo con i propri genitori ed affini, sarebbe pronto all’approdo, cioè avrebbe già una mappa, se non avesse timore di perdere l’amore, se non si sentisse in difetto se..., se fosse rassicurato da..., se avesse la forza di..., se non fosse che le ombre e le paure si confondono: che le paure lo costringono a stare nell’ombra, ed i pesi di certi modelli culturali si accumulano sempre più: “hai paura di sbagliare”, “di non essere all’altezza giusta”, e quale sarà l’altezza giusta? e chi lo stabilisce? E’ il caso di rileggere la storia dei fatti psicoanalitici per ricordare che Freud insiste sempre sul fatto che il bambino nasce sano.

Questa questione del bambino sano è nodale rispetto allo sviluppo del pensiero psicoanalitico che ne verrà fatto inseguito alla morte di Freud. Mentre la figlia Anna cerca di aprire, sostenendo con la Tevistoc Clinic a Londra un varco di salute, e dove la Doltò sarà categorica sulla salvaguardia del bimbo, invece nella opinione pubblica prevale il pensiero kleiniano in cui il bimbo alla nascita attraverserebbe prima una fase schizo paranoide e poi quella maniaco depressiva: cioè prevale un pensiero che già esisteva in precedenza, dove sul bimbo occorre intervenire pesantemente e coercitivamente per renderlo presentabile al mondo.

Le diverse S stanno per Soggetto Sano portatore responsabile della propria Storia. Il Soggetto sano portatore responsabile della propria storia ci immette in un universo che non ha più nulla dell’idea di Università del 19esimo secolo, ma s’inserisce in un concetto di svolta generazionale che è molto più vicina a ciò che in ambiti di economia sociale viene definita come le svolta delle generazioni del secondo millennio. Il contesto generazionale attuale delle generazioni inferiori ai 35 anni, le generazioni appunto del 2° millennio, sono caratterizzate da uno sradicamento dal modello economico sociale che le generazioni precedenti non avevano conosciuto: in estrema sintesi uno degli effetti più evidenti è il cosiddetto precariato. L’idea dell’economia sociale dai tempi della nascita della psicoanalisi e fino agli anni sessanta settanta del secolo scorso era caratterizzata da uno stereotipo sociale dove esisteva un impiego lavorativo certo, caratterizzato sulla biforcazione: o dell’impiego pubblico sicuro o di uno sviluppo di un mestiere che portava ad una professione quale abilità specifica di lavoro. Quindi un modello di sviluppo sociale che sfociava, per dirla con un altro stereotipo, nella pensione. Titolo di studio e/o mestiere costituivano l’asse portante dell’idea della realizzazione dell’individuo. Noi l’abbiamo chiamato: “l’uomo vecchio1”.

Oggi quest’idea sta diventando anacronistica, un controsenso sociale: la crisi economico-finanziaria non solo europea si muove all’interno di queste coordinate. Basti pensare che la più importante rivoluzione di questi ultimi trenta-quaranta anni è internet e la rivoluzione relazionale che comporta. Non mi riferisco alla rivoluzione tecnologica di per se enorme, mi riferisco ai suoi effetti in termini di relazioni. Siamo in presenza di una rete di relazioni sociali che l’uomo non ha mai conosciuto prima, con un universo completamente nuovo, dove i parametri precedenti vengono semplicemente stravolti. Ecco, in questo universo si viene a muovere quel bimbo di prima con quel i suo bagaglio di competenze costruitosi nei suoi primi cinque anni di vita, intrecciato attorno alle sue esperienze di affettività.

Questo bimbo col cappello giallo riuscirà a non essere vittima delle ombre lunghe della paura?

Riuscirà a muoversi sulle spinte dei propri desideri o dovrà ancora soggiacere a troppe condizioni che il tribunale Freud sta già denunciando da molti anni?

Rinunce pulsionali di ogni tipo! L’obiettivo dell’uomo realizzato, di un modello di persona di successo è del tutto modificato e non ha più motivo di esistere quale si veniva a prefigurare solamente trent’anni fa. Ma ciò è sufficiente per ritenersi fuori dai duemila anni che la cultura platonica ci ha schiavizzato nel pensiero? E sufficiente credere che si possa cambiare per cambiare? Gli eroi ed i miti non servono se non a far rimanere l’uomo sempre schiavo, soffocato ed appesantito dai macigni della cultura schiavista, ritenuta asse portante di un mondo da rifare a partire dal bimbo dal cappello giallo non più spaventato dalle ombre che un’inutile cultura continua a riprodurre. Infatti non siamo assolutamente fuori da questa cultura vecchia che assume forme e sembianze che si riproducono in ogni tipo di oggettualità: forme a sembianza naturale che non hanno nulla a che fare col pensiero di natura, ma che riproducono solamente in plastica quella platonica natura cosificata del n/s secolo nell’espressione della astratta animalità.

Il cavallo di plastica non è un gioco, ma è uno dei materiali simbolo dei disastri del novecento: oggetto derivato dal petrolio, non biodegradabile, generatore di diossine tossiche. Ancora un prodotto dell’uomo vecchio che con l’inganno suscita coercizione e perplessità. Freud nell’Avvenire di un’illusione ipotizza che si potrebbe pensare ad una nuova regolamentazione dei rapporti umani, per giungere ad una civiltà diversa, che rinunciando alla coercizione ed alla repressione delle pulsioni nell’educazione del bambino verrebbe ad estinguere le fonti dell’insoddisfazione della civiltà.

Freud ci insegna che il bambino sano è la legittima speranza per il futuro; scrive: “forse c’è un tesoro che può arricchire la civiltà e che vale la pena tentare”. Se l’uomo distogliesse dall’aldilà le sue speranze e le concentrasse sulla vita terrena: con tutte le forze rese disponibili riuscirebbe probabilmente a rendere la vita sopportabile per tutti e la civiltà potrebbe essere non più oppressiva. Ma è sufficiente togliere la religione, abolirla per decreto?

PUBBLICITÀ

Scritto da

Gramaglia Dr. Giancarlo

Lascia un commento

PUBBLICITÀ

ultimi articoli su psicoanalisi

PUBBLICITÀ