Una bussola in psicoterapia

Per capire come lavora uno psicoterapeuta, per orientarsi in un mondo che sembra astratto e non comprensibile ai non addetti ai lavori, qualche indicazione sul viaggio forse più affascinante

25 LUG 2019 · Tempo di lettura: min.
Una bussola in psicoterapia

"la theorie c'est bon, mais ca n'empeche pas d'existe"

(Charcot)

Il terapeuta è un ricercatore e deve saper accogliere la diversità tra teoria e pratica che in terapia possono non dialogare in modo funzionale. La complessità dell'uomo e delle situazioni determina il fatto che il terapeuta si muove sempre in un terreno sconosciuto, dove prova ad orientarsi con la sua bussola personale, costruita da teorie e modelli di riferimento, e dai contenuti del suo mondo interno.

"La capacità di ricordare quanto ha detto il paziente deve andare di pari passo con la capacità di dimenticare, sì che ogni seduta sia una seduta nuova, vale a dire una situazione ignota, da indagare psicoanaliticamente, senza essere troppo offuscata da preconcetti e concetti erronei. D'altro canto, l'analista ha pure bisogno di tutta la conoscenza del paziente e di tutte le scoperte ed il lavoro dei propri predecessori. Ciò rende più urgente l'esigenza di una struttura solida, di un tessuto teoretico che possa però venire usato con flessibilità e che renda più facile scorgere le deviazioni dalla teoria dovute al bisogno di alleviare la rigidità della struttura teoretica."

(Bion, 1972, pp.79)

Qualsiasi sia il paradigma di riferimento del terapeuta, dobbiamo pensare che sia una finzione e che l'obiettivo primario è capire il paziente, è comprenderlo per arrivare a costruire un percorso di conoscenza e cura.

"..una teoria inconscia, intrinsecamente privata, sviluppata sul materiale del paziente piuttosto che con le teorie ufficiali cui aderisce consciamente." (Sandler)

Il percorso con il paziente si potrebbe paragonare ad un "viaggio" che inizia dalla psicodiagnosi, con la quale facciamo una fotografia del paziente, la "mappa geografica" che il terapeuta deve usare per muoversi, valutando in quali zone procedere e far luce, non è detto che siano tutte; il nostro compito è accompagnare il paziente, rispettando i suoi tempi, riconoscendo le sue risorse e le sue resistenze, non dobbiamo guidarlo nel "viaggio". Il mutamento del paziente deriva grazie alla sua opera.

"..si può condurre un cavallo fino all'acqua, ma non si può costringerlo a bere…"

Per semplificare e chiarire la pratica terapeutica si può suddividere la terapia in tre fasi, non si tratta di momenti segnati in modo netto, il tempo delle fasi è elastico e dipende dallo stile di vita del terapeuta e del paziente, tanto che a volte bisogna ripercorrere alcune fasi per poter andare avanti.

1 fase: esplorativa

In psicodiagnosi il terapeuta ha un approccio razionale e il paziente si fida e si racconta, in terapia il terapeuta è impegnato in una relazione empatica, in cui il paziente si affida.

Tale condizione è possibile se il paziente sente di rispecchiarsi negli occhi del terapeuta, che mantenendo la giusta distanza sente il paziente in modo autentico e non giudicante, e lo introietta. Nella complessa costruzione dello stile di vita che ogni individuo opera in modo creativo e unico, Bion sosteneva che è necessario approcciarsi "senza memoria né desiderio".

In questa fase per indagare con più attenzione il disagio e capire il sintomo, bisogna allenare il paziente a parlare di sé, attraverso l'esplorazione dei contenuti che ci porta, e approfondendo la comprensione dei vissuti.

In terapia il paziente spesso vuole parlare del sintomo quindi è necessario accoglierlo, ma non deve essere il focus della terapia il paziente ha bisogno di vedere altro, se lo si asseconda il pericolo è che si identifichi con il sintomo; quest'ultimo è legato al momento presente, ma a noi interessa anche il passato, che è la storia del paziente e le attese e i vincoli, che lo proiettano verso il futuro.

La comprensione della complessità deve essere equilibrata da un potenziamento della normalità, il terapeuta stando dal lato utile della vita deve conoscere anche le risorse del paziente per valorizzarle, lavorarci e potenziarle, non deve arrivare a colludere con il sintomo come fa il paziente, ma deve aprire nuovi territori, perché il paziente possa vedere altre possibilità.

Il sintomo per il terapeuta è un atto creativo ed è da considerarsi parte di un intero, deve andare oltre ai segni esteriori e visibili e deve andare in profondità, con l'obiettivo di cercare il significato unico di quel sintomo per quel paziente, che sarà in relazione all'aspirazione di raggiungere la meta scelta.

Il pericolo sia per terapeuta che per il paziente è il "grasping", ossia l'aggrapparsi al già noto, procedendo in modo automatico, infatti il terapeuta può rischiare di restare ancorato a un modello o una teoria di riferimento, cercando solo conferme alle sue ipotesi e il paziente può opporre resistenza, tentando di restare ancorato al suo stile di vita, portando solo il sintomo e il mondo esterno.

Nella prima fase esplorativa il terapeuta deve andare verso la comprensione dei dinamismi della persona, interiorizzando il paziente, in una logica cooperativa e non fusionale. Se si aiuta il paziente a spostare l'attenzione sul mondo interno e non sugli eventi esterni e sugli altri, lo si può portare a centrarsi su di sé, rendendo evidenti le disarmonie interiori, che compartecipano a tutto ciò che è esterno e può ulteriormente influenzarlo. In questa fase si può ristrutturare la motivazione iniziale che spesso è finzionale e lentamente passare da un'alleanza di lavoro a un'alleanza terapeutica.

"Il terapeuta non deve mancare di curiosità, di desiderio di conoscenza e della capacità di fare ipotesi, ma deve servire alla ricerca e non forzare la barriera di contatto con il paziente interferendo nella narrazione. La ricerca di indizi non deve soffocare la qualità della pazienza, del saper attendere; Ferro parla di casting inteso come quella continua attività che si agita ai confini del pensiero onirico dello stato di veglia di analista e paziente."( L. Grandi p91 "Amore e Psyche")

La terapia usa il metodo narrativo e i contenuti ne sono lo strumento principale, rappresentano una "porta d'ingresso" al mondo del paziente, che imparando a riflettere su di sé, "apre finestre", un primo passo verso la mentalizzazione.

La memoria è impregnata di emozioni, per cui è necessario lavorare sui vissuti per orientare il paziente verso una memoria semantica, facendo domande di approfondimento, di chiarificazione, esplorando dettagli, si possono cercare fatti analoghi, ossia associazioni, oppure fatti differenti; aumentare le mappe mentali permette al paziente di vedere altri percorsi possibili.

Il primo strumento esplorativo è la domanda che si pone al paziente, segnale di interesse ma anche invasiva, per questo è necessario usare cautela e la giusta distanza, il linguaggio deve essere sintonizzato su quello del paziente, devono essere fatti riferimenti al mondo che conosce e che porta in seduta, per poter ottenere una comunicazione efficace.

Se un paziente non riesce ad argomentare, il terapeuta può aiutarlo chiedendo delle rappresentazioni, partendo dall'immaginario e si può poi ricondurre il paziente al proprio sé e ai significati; sempre per aiutare il paziente nella narrazione lo si può condurre su un piano più concreto, ad esempio indagando i luoghi, il tempo o le sensazioni corporee, che rimandano a un linguaggio più semplice e a esperienze originarie.

Quando la risposta è il silenzio, è necessario saperlo leggere, un silenzio può essere disagio, imbarazzo e fornirci informazioni sul paziente, ad esempio le persone "bloccate" emotivamente, fanno fatica a recuperare ricordi e rappresentazioni, quindi potrebbero non rispondere ad alcune domande o non riuscire a raccontarsi.

Per stimolare la produzione di un racconto un altro strumento utile, è la metafora, perché evocativa e stimolante dell'immaginario, tocca aspetti primitivi ed arcaici di ognuno di noi, ma è necessario conoscere il mondo significativo del paziente per poterla usare in modo efficace.

Per esplorare i contenuti, un intervento dominante è la tecnica della chiarificazione, per la quale è sufficiente un'alleanza di lavoro e consiste nel far emergere nuovi elementi, cercando di stimolare il paziente: ad essere più chiaro, a delucidare anche semplici dati, ad essere più coerente e a scoprire come interpreta le situazioni che racconta, i significati che ne attribuisce.

Uno dei compiti del terapeuta è aiutare il paziente a collegare la vita cognitiva con le emozioni, quindi aiutare il paziente ad imparare a identificare e a esprimere i sentimenti, a tollerare e contenere intensi stati di attivazione e a riconoscere, comprendere e persino accettare con piacere le reazioni emotive che in precedenza aveva considerato riprovevoli (Silverman, 1984)

Un'altra tecnica è quella della confrontazione, ossia quella di richiamare l'attenzione del paziente ad osservare un comportamento o un pensiero evidenti, si avvale solo di materiale cosciente e ha una valenza interpretativa, è un primo passo per l'analisi e il cambiamento. Si può usare quando la relazione è avviata e c'è un'alleanza terapeutica, perché possono emergere delle incongruenze che il paziente ci ha portato in seduta, quindi dei conflitti interni ai quali è necessario attribuire un significato, ristrutturarli e restituirli, mettendo il paziente di fronte ad una realtà che non sta vedendo.

Attraverso l'esame di realtà il terapeuta deve ricercare una coerenza interna, per fare questo è necessario indagare se pensieri, sentimenti, azioni e tutte le caratteristiche del paziente vanno verso la stessa direzione. Quando si comprende lo stile di vita anche il sintomo acquisisce un senso, e spesso si evince come sia un espediente utile, per proseguire verso la direzione scelta dal paziente.

La confrontazione con le difese manifeste usate nella vita quotidiana e in seduta, sono un primo passo nell'aiutare il paziente a correggere e modificare le disfunzioni dell'Io, favorisce l'evolversi del materiale del tema centrale della seduta e stimola l'emergere di indicatori di fantasie e complessi inconsci, che verranno affrontati con la tecnica dell'interpretazione.

Questa tecnica è utile nei momenti di stallo e di crisi della terapia, quando il paziente evita le situazioni di vita potenzialmente ansiogene e la propria vita fantasmatica, se il terapeuta non interviene avvalla quel comportamento, quindi deve intervenire sostenendo le conseguenze negative che quel comportamento ha sul paziente e sul contesto. L'utilizzo eccessivo o improprio di questa tecnica può allontanare il paziente, ad esempio se il terapeuta si erige a giudice esprimendo giudizi morali o critiche, può bloccare il flusso del materiale in seduta e rinforzare difese e resistenze.

Se la prima fase non funziona, perché non riesce a svilupparsi non si può passare alla fase intermedia, quella trasformativa, che è determinante per apportare un cambiamento. E' importante dire che non è detto che si passi sempre ad una fase trasformativa, ad esempio nelle psicoterapie di sostegno si resta spesso su un piano conscio e non si ha l'obiettivo di cambiare troppi aspetti del paziente perché non sarebbe utile, in termini di risorse e di relazione per il paziente.

A questo punto della terapia al terapeuta diventa sempre più comprensibile lo stile di vita del paziente, tramite tecniche come la chiarificazione cerca conferme e verifica, lentamente si attua una ristrutturazione della motivazione, da quella conscia si passa a quella inconscia; in questo importante momento è fondamentale e necessario passare da un'alleanza di lavoro ad un'alleanza terapeutica, grazie alla quale il paziente inizia ad affidarsi e a decidere di lavorare su di sé, a capire che c'è una corrispondenza tra mondo interno e mondo esterno, tanto che se nella fase esplorativa il paziente poneva delle domande al terapeuta, nella fase trasformativa il paziente le domande le pone a se stesso; in termini freudiani potremmo dire "dove c'era l'Es metteremo l'Io".

2 fase: trasformativa

Il lavoro terapeutico, oltre alla risoluzione del sintomo, ha in sé una finalità preventiva, di potenziamento delle capacità della persona di affrontare il futuro e di esprimersi nel suo contesto di vita, infatti le risorse che si attivano e si mettono in gioco per risolvere il sintomo, smuovono la globalità della persona, il percorso di cura permette di agevolare l'accesso al Sé creativo, che nei momenti di difficoltà e crisi fa fatica ad esprimersi. La crisi la si può risolvere mettendo in circolo le potenzialità del paziente e mettendo il sintomo all'interno del funzionamento globale, non circoscrivendolo a quel presente in cui si manifesta.

L'obiettivo della terapia è destrutturare l'abitudine, rompere il ritmo che alimenta il sintomo, è faticoso operare un cambiamento soprattutto perché, come ho già detto, il sintomo rientra in un funzionamento che serve a sostenere uno stile di vita.

E' necessario incoraggiare il paziente al cambiamento, incoraggiarlo a credere in una nuova possibilità, aiutarlo a immaginarsi un futuro e a rappresentarselo, facendogli presente che avere un fine funzionale permette di stare più in armonia e che a volte le finzioni sono aspettative irrealistiche.

Il terapeuta deve scardinare le porte chiuse del paziente, aprire possibilità di comunicazione, facendo fluire energie e risorse, per fare questo il terapeuta e paziente devono liberare il Sé creativo, andando verso una maggior flessibilità che diminuisce la paura dell'incertezza.

"L'analisi scioglie la coazione a ripetere; Medusa pietrificata. Libero da un passato paralizzante, il paziente potrà creare nuovi significati e riscrivere la propria storia. Si comprendono e rivisitano gli aspetti rimossi o negati e il passato si libera dal bombardamento delle immagini, sempre uguali, quasi pietrificate dalla coazione a ripetere. Si può andare oltre solo a ciò che si è ricordato, per trovare nuovi spazi ed energie nel presente e nel futuro.

Creatività non è solo la possibilità di aprire spiragli al nuovo, opera, idea o interpretazione del mondo che sia. Il risultato che si prefigge il terapeuta è la ricreazione del mondo esterno e la rilettura degli oggetti interni, nell'ambito della relazione, dell'incontro." (L.Grandi "Amore e Psyche")

In questa seconda fase è fondamentale avere instaurato un'alleanza terapeutica e improntare il lavoro terapeutico sulla cooperazione, attraverso la relazione psicoterapeutica si sperimenta uno spazio di incontro, scambio e d'ascolto dell'immaginazione creativa, un terreno fertile per il suo sviluppo; l'intersoggettività, consentita dalla differenziazione tra terapeuta e paziente, favorisce le relazioni oggettuali e lo sviluppo del Sé.

E' importante tener presente che il fenomeno della resistenza è tipico delle prime sedute, ma è presente anche in questa delicata fase; ognuno di noi fa fatica a cambiare e oppone delle resistenze, restare fermi vuol dire restare nel conosciuto, nell'equilibrio che ci siamo costruiti e che ci dà sicurezza, ma la terapia deve saper intervenire e ri-orientare.

Nella fase trasformativa si restituisce al mondo interno ed esterno la sua complessità, eliminando la logica delle dicotomie perché limita il paziente nelle sue possibilità. Ampliando le immagini degli oggetti interni ed degli oggetti esterni ci si allontana da un pensiero nevrotico basato sulla divisione in categorie, limitato a delle polarità che focalizzano solo alcuni aspetti. Oltre a trascendere le polarità e a comprendere le sfumature, il paziente deve introiettare e fare propri questi aspetti, mettendoli in relazione e con la confrontazione ricercare una coerenza interna di ciò che ha scoperto.

Il paziente deve iniziare a tollerare ed avere compassione per i propri limiti e le proprie fragilità, spostandosi da una logica incentrata sul fuori ad una logica centrata sul dentro; è nostro compito sollecitare la visione di sfumature, di colori diversi, scoprire le ambivalenze, la convivenza degli opposti, tutto questo serve a rompere lo stato di omeostasi in cui l'uomo tende a stare, infatti introducendo aspetti nuovi gli equilibri si modificheranno e il paziente potrà così cambiare le sue finzioni e le sue mete, e quindi il suo stile di vita.

In questa fase del lavoro terapeutico il terapeuta interviene ampliando i contenuti, rendendoli più densi, aprendo risonanze che toccano un piano emotivo, creando collegamenti per dare forma e coerenza, e costruendo significati. Attraverso questi interventi e interiorizzando la relazione terapeutica il paziente aumenta la complessità della sua lettura della realtà, getta luce su aspetti che non vedeva e può iniziare a svelare le finzioni, scoprendo ambivalenze e conflitti interni, che spesso sono di difficile scardinatura.

In questa fase in cui ogni certezza può vacillare è compito del terapeuta incoraggiare il paziente, sollecitando nuove possibilità, collegando pensieri, immagini, emozioni e azioni, consapevole che di fronte al cambiamento le resistenze emergeranno più evidenti.

" la resistenza è solo la mancanza di coraggio necessario a ritornare sul lato utile della vita" ( Ansbascher)

Le resistenze in psicoterapia sono una riluttanza del paziente ad abbandonare vecchi e stabilizzati stili di tipo difensivo che gli conferiscono una pseudo sicurezza, si tratta di un insieme di forze prevalentemente inconsce che inducono il paziente a intralciare la cura a prescindere dal desiderio conscio di cambiare, infatti da un lato la motivazione positiva spinge e dall'altro la paura del fallimento trattiene.

Il terapeuta assumendo una funzione tardiva materna di completa accoglienza e comprensione, permette una maggior libertà di espressione e incoraggia il paziente, che sperimenta fiducia nel terapeuta; attraverso questa cooperazione si stimola un primo tentativo di sentimento sociale; nella strategia dell'incoraggiamento è fondamentale analizzare la tipologia di resistenze al cambiamento, perché sono la chiave per un miglior coinvolgimento empatico e per una maggior comprensione dell'individuo.

Nel percorso di psicoterapia, Adler sosteneva che" il terapeuta deve avere la capacità di vedere con gli occhi e ascoltare con le orecchie del paziente", avvalendosi del suo contributo per una comprensione comune per poi restituirgli l'immagine di sé, mettendolo davanti alla sua autenticità.

La sintonizzazione è considerata il fulcro del cambiamento terapeutico: "il paziente si sente sentito", percepisce nella mente che vi è un'immagine chiara di sé nella mente dell'altro; la sintonizzazione interiore stimola l'attivazione e la crescita del cervello, attraverso modelli di comportamento che si contagiano in modo inconsapevole. Questi percorsi intrapsichici e relazionali sono le basi delle strategie procedurali di incoraggiamento come gli aspetti centrali nel processo di cambiamento. L'esempio e la testimonianza sono più incisivi della parola.

La seduta diviene un luogo di ricerca e di svelamento un'occasione unica per la trasformazione; è necessario considerare la verità tollerabile dal pensiero auto ed etero comunicato e la capacità dell'analista di tollerare diversi gradi di falsità consapevole o inconsapevole e le immancabili distorsioni; il paziente deve essere indotto ad adottare nuove immagini-guida che potranno affiancare le precedenti per poi attuare una trasformazione.

"La terapia non è la distruzione delle finzioni ma l'apertura delle sue pieghe"

La meta iniziale idealizzata è spesso una finzione, e come se fosse una stella polare, indica il cammino del soggetto; scoprire il senso delle mete e le strategie che il soggetto usa per raggiungerle è un obiettivo dell'analisi. Le finalità a cui tendono gli individui sono uno strumento che permette di interpretare il "senso" del sintomo, ma non occorre sempre esplicitare l'interpretazione e lo smascheramento delle finzioni. Lo psicoterapeuta deve "essere con" e"fare con" per accogliere il deficit, il sentimento d'inferiorità e andare verso una compensazione creativa, socialmente utile.

Le finzioni

"…Sotto il profilo della comprensione, è fondamentale la capacità del terapeuta di inferenza empatica nel ripercorrere la strada del racconto del paziente per coglierne le forme simboliche."

I significati simbolici inconsci contengono sia l'autoinganno del soggetto, che accoglie in modo unilaterale ciò che si armonizza con il proprio stile di vita, sia il correttivo delle tendenze presenti della coscienza.

Adler sostiene che il lavoro psicoterapeutico su questi aspetti permette di accedere ai collegamenti soggettivi più profondi che il paziente vuole assegnare alle proprie esperienze passate in funzione dello stato d'animo del presente e di ciò che si aspetta dal futuro.

All'interno della relazione psicoterapeutica, un aspetto particolare dell'attenzione è rivolta allo schema appercettivo del paziente e alla comprensione del transfert, ovvero di tutto ciò che il paziente vive e associa in modo finzionale alla persona del terapeuta, anche se deriva dall'esperienza di una precedente relazione oggettuale.

Il modo di interagire col terapeuta fornisce informazioni sulla personalità, gli stili di attaccamento ed il funzionamento interpersonale del paziente, dal momento che, fin dalla nascita, tutto l'essere del bambino si sviluppa nel contesto delle esperienze con gli altri. Nello stesso tempo, sotto il profilo intrapsichico, il transfert esprime precoci "moduli di legame" interiorizzati, ovvero permette di comprendere in che modo queste relazioni significative sono state inconsciamente registrate all'interno dell'individuo e strutturano la psiche.

Il transfert inteso da Adler ha una prospettiva teleologica, che ha un fine, che va verso un obiettivo di mantenimento del proprio stile di vita e non è da intendersi in termini psicoanalitici classici, come coazione a ripetere di schemi appresi nell'infanzia. Per Adler il terapeuta deve capire la finalità del paziente, dove vuole arrivare? Cosa vuole ottenere? Solo comprendendo il fine il terapeuta potrà lavorare sul cambiamento di relazioni oggettuali interiorizzate e disfunzionali che il paziente mette in atto.

Nella natura del transfert contano le caratteristiche reali del terapeuta e contano inoltre le aspettative del paziente: di poter inconsciamente testare le proprie credenze patogene e i propri patterns maladattivi all'interno della relazione terapeutica, oppure di poter essere risanato dalla presenza di un terapeuta attento, oggettivo, interessato e talora illuminante nei suoi tentativi di comprensione…

Analogamente, si attivano in seduta il transfert del terapeuta, correlato al suo mondo finzionale ed alla qualità delle esperienze relazionali introiettate e il controtransfert; le relazioni transferali e controtransferali del terapeuta correlano in modo significativo con l'esito del trattamento.

Nella decodificazione dello schema appercettivo all'interno dell'interazione transferale-controtransferale si verificherebbe un'espansione della realtà psichica attraverso la mentalizzazione o lo sviluppo della funzione riflessiva: si tratta di percepire se stesso nella mente del terapeuta mentre si sviluppa più distintamente la sensazione della sua separatezza soggettiva." (Andrea Ferrero)

La tecnica dell'interpretazione, forse la più complessa, la più lenta e delicata ha un valore di essenzialità.

Nel senso comune interpretare vuol dire dare una nuova forma, una nuova lettura, potremmo usare la metafora della traduzione, per interpretare/tradurre bisogna conoscere bene il codice dell'altro, il linguaggio dell'altro, la sua cultura, in termini psicoterapeutici il suo stile di vita. Sarebbe riduttivo pensare che interpretare sia solo comprendere, non si tratta di chiudere ma di aprire, alla conoscenza di sé, quindi è un atto che determina un rilancio della terapia.

".. l'efficacia mutativa dell'interpretazione è correlata all'aver ripercorso il mondo simbolico del paziente seguendo la stessa strada, il terapeuta deve accompagnare e il paziente deve fidarsi accettando l'invito ad un nuovo incontro creativo con il deficit e l'inferiorità." (A.Adler)

Le modalità interpretative sono differenti: ne sono esempio le interpretazioni ricostruttive, del transfert, le riletture delle narrazioni; inoltre sono meritevoli di riflessione anche i vari modi di comprendere e integrare l'interpretazione del paziente, si tratta di consentire che tutto ciò che viene ad agitarsi nel campo vada a riabilitare il mondo interno, a promuove trasformazioni e revisioni della storia a posteriori, richiamando una produttiva creatività.

L'interpretazione serve a rilanciare, ma il terapeuta deve capire quale momento è opportuno, stando in ascolto empatico con il paziente, perché sarà lui a portare un'esigenza di restituzione, e solo a quel punto sarà possibile e utile cambiare passo, riorientando la ricerca e aggiungendo piste di lavoro per arricchire il percorso conoscitivo.

La ricerca della verità psichica, con lo svelamento degli aspetti inconsci, è una co-costruzione nella relazione terapeuta –paziente, è alla base del miglioramento nel trattamento, di cui la cura ne è la diretta conseguenza.

"La conoscenza in psicologia clinica non è il riflesso della realtà, bensì è l'esito dinamico ed artistico di una co-costruzione sociale e linguistica della realtà intersoggettiva tra paziente e terapeuta" (L.Grandi)

Il terapeuta deve operare in un'ottica progettuale, il lavoro terapeutico deve mantenere come obiettivo la conoscenza della verità nascosta sostenuta dal Sé creativo dell'analista, che a sua volta attiva il Sé creativo del paziente, ma deve essere teleologicamente orientato alla costruzione di una nuova possibilità.

In seduta è necessario verificare e validare in modo permanente le ipotesi e le congetture, metterle in discussione e confrontarsi con le teorie e i modelli di riferimento, tenendo presente che è necessario verificare anche il livello di conoscenza del paziente. La verità narrativa che prende forma permette di costruire una "buona storia", buona perché con la sua forza retorica ha un effetto curativo; la conoscenza che si raggiunge non è una consapevolezza di fatti assoluti, ma ha in sé la capacità di raggiungere un obiettivo, di facilitare l'azione.

Nel cambiamento gioca un ruolo fondamentale la qualità del legame intersoggettivo tra paziente e terapeuta, l'alleanza terapeutica è il fattore più potente per la trasformazione, al suo interno si produce un movimento di negoziazione e d'incontro, in cui si condivide la comprensione della relazione reciproca e si produce una conoscenza implicita del paziente.

"Lo spazio relazionale è correlato allo spazio interno, perché vi possa essere un insight." (A.Ferrero)

Il terapeuta adleriano dovrebbe avere uno stile autenticamente compartecipativo.

"Il terapeuta partecipa atti­vamente: senza giocare nessun 'ruolo' rigidamente definito, egli mostra calore umano e un genuino interesse verso il paziente ed incoraggia in special modo il suo desiderio di cambiamento e miglioramento. La relazione stessa ha uno scopo: aiutare il pazien­te ad aiutare se stesso" (Helene e Ernst Papanek)

Secondo un noto protocollo di ricerca Menninger Clinic Treatment Intervention Project, gli interventi del terapeuta possono essere divisi in sette categorie lungo un continuum, all'estremo espressivo si trova l'interpretazione e via via verso il polo supportivo vengono considerati la confrontazione, la chiarificazione, l'incoraggiamento a elaborare, la convalidazione empatica, i consigli e gli elogi, la conferma. L'intervento espressivo è un approccio attraverso cui si cerca di indagare e scoprire la relazione paziente/terapeuta: i desideri, i timori, i conflitti e i meccanismi di difesa inconsci del paziente. L'intervento supportivo promuove il funzionamento adattivo del paziente all'interno e all'esterno dell'interazione terapeutica con capacità di fornire: esame di realtà, previsione delle conseguenze, moderazione emotiva.

Il presupposto fondamentale è che ogni psicoterapia psicodinamica contenga tutti questi elementi dentro di sé, ma che si possono distinguere interventi prevalentemente espressivi o supportivi a seconda della tecnica utilizzata e del livello di disagio che il paziente vive:

"sii espressivo quanto puoi e supportivo quanto devi" (51,p.688)

".. non è possibile cambiare il mondo ma è possibile cambiare noi" (Manenti)

Il cambiamento

Cambiare vuol dire organizzare la propria vita secondo quella pienezza che le é propria e che é definita dalla sua natura, vuol dire aver inserito nella propria definizione identitaria un elemento di apertura all'oltre, dove si sottolinea l'apertura e non l'individuazione dell'oltre.

Cambiamento come cammino e non come traguardo raggiunto, non ci si riferisce alla vetta standard a cui si deve arrivare, ma alla ridistribuzione delle proprie risorse e secondo un circolo virtuoso; possiamo individuare quattro livelli di cambiamento possibile:

  • -il primo livello di cambiamento riguarda il modo di gestire l'esperienza stessa così come viene descritta dal soggetto, con la raccolta e osservazione dei dati che la costituiscono il terapeuta cerca, insieme al paziente, di spiegare che cosa sta succedendo e di introdurre reazioni correttive. La rivisitazione di ciò che sta avvenendo innesca modi migliore di agire;
  • -nel secondo livello di cambiamento si tenta di esplicitare il vissuto soggettivo di quell'evento, ossia il modo con cui il soggetto vive il suo problema. Qui la domanda non è più «che cosa sta succedendo?» ma «che cosa vuol dire per te quell'evento?», si vuole comprendere il significato soggettivo dell'evento. Il cambiamento auspicato è nel modo di sentire l'evento;
  • -il terzo livello si focalizza sulle fonti che ispirano il modo soggettivo di sentire l'evento, ossia espone il sistema simbolico del paziente ad un processo di rielaborazione che oggettivizza. La domanda è: «da quali presupposti parti per reagire così come reagisci?», ciò che si vuole rielaborare è l'orizzonte interpretativo o le categorie d'importanza che si usano per dare senso;
  • -il quarto livello è la valutazione dell'orizzonte interpretativo che il paziente usa e che nel livello precedente ha oggettivizzato, la domanda è: «questo tuo approccio alla realtà quanto e come esprime la tua umanità: in modo pieno, riduttivo, tradito?». Siamo al livello della interpretazione, non in senso freudiano, ma come valutazione del tipo di umanità che il soggetto riesce a concretizzare nel suo modo di rappresentarsi la vita.

Queste distinzioni offrono precisazioni utili per la pianificazione della strategia d'intervento, il terapeuta deve essere consapevole a quale livello sta operando, il primo livello mira ad un cambiamento nel modo di agire, dal secondo livello in poi si mira ad un cambiamento inteso come «imparare ad imparare ulteriormente», si auspicano non solo nuovi modi di agire (che potrebbero essere una rielaborazione in forme nuove della vecchia patologia), ma nuovi modi di rappresentarsi il proprio Sé e il reale secondo un processo di movimento progressivo che continuerà anche nel futuro.

Per decidere a quale livello intervenire occorre tener presente quale è il livello di elaborazione del problema attualmente raggiunto dal paziente: a seconda di come lui ha finora potuto elaborare il suo problema, si potrà pianificare un determinato livello di cambiamento. Se la sua è solo una consapevolezza organica («vomito, sto male, ma non so perché») ci vorrà la spiegazione; se è anche emotiva («qui c'è qualcosa di interiore che mi fa soffrire ma non so che cosa possa essere») si può passare al comprendere; se anche intellettuale («ho cercato di capire e secondo me il problema è…») si può aspirare ad una rielaborazione che oggettivizza; se anche razionale («credo che sia così ma la mia spiegazione non mi sembra del tutto adeguata») si può pianificare una interpretazione nella impostazione antropologica finora usata. Non dobbiamo pensare che il cambiamento sia tanto più importante quanto più alto è il livello in cui si opera.

Si cambia anche quando si cambiano le azioni (livello 1): il cambiamento può anche avvenire dall'esterno verso l'interno (e non solo viceversa), per cui cambiando le azioni cambiano anche le strutture che regolano le azioni e le nostre rappresentazioni interne (a patto che la forza dell'inconscio e le difese non siano troppo prepotenti). Non dobbiamo pensare che il cambiamento è tanto più importante quanto più sofisticato è il processo di astrazione intellettuale: senza un insight affettivo non c'è ristrutturazione e ognuno dei livelli di cambiamento (anche il quarto) comporta una novità di sentire oltre che di pensare e agire. L'insight affettivo è come la capacità di "tastare dove si mettono i piedi" senza bisogno di essere esperti sulla composizione del terreno. Il cambiamento inizia sempre dai livelli più "bassi", concreti, materiali.

I quattro livelli di cambiamento ripercorrono i quattro livelli che regolano la produzione di un buon vissuto: raccogliere i dati d'esperienza, ipotizzare possibili risposte, riflettere criticamente su di esse e scegliere la più adatta. Sono anche in armonia con il modo psicologico di pensare che è fenomenologico (osservazione), interpretativo (teoria), metapsicologico (antropologia di riferimento) e veritativo (qualità della antropologia di riferimento).

Il cambiamento può avvenire in modo continuo, passo per passo, attraverso la sedimentazione progressiva di piccole modificazioni comportamentali, in questa modalità, il terapeuta è colui che si affianca al soggetto e lo indirizza verso sbocchi migliori: sostiene, commenta, sopporta il perdurare dei comportamenti sintomatici, li modifica per gradi ... Certamente il cambiamento avviene per gradi ma prima o poi comporta anche un momento di trasformazione qualitativa.

Il cambiamento discontinuo è l'irruzione improvvisa di una novità (di solito in seguito ad un nuovo insight raggiunto o come effetto di un'interpretazione particolarmente azzeccata o nel contesto di una forte relazione trasferenziale), il terapeuta interpreta, confronta, capovolge le prospettive, invita ad un cambiamento di rotta.

Il cambiamento di trasformazione è quello in cui c'è discontinuità perché qualcosa s'interrompe e lascia spazio ad un nuovo livello di funzionamento, ma qualcosa anche continua e rimane, cambia la sua posizione nel tutto. Questo tipo di cambiamento che comporta un processo continuo di ridistribuzione delle forze in vista di un fine e che si può chiamare «cambiare nella capacità di cambiare ulteriormente» è quello che mantiene la persona in uno stato di crescita permanente. A differenza dei primi due, è il frutto della relazione terapeutica: non deriva da pressioni da parte del terapeuta ma è un risultato della loro alleanza.

".. il terapeuta deve cogliere la trama di vita nel frammento.." (Manenti)

3 fase: la conclusione

Per approcciarsi alla conclusione della terapia è necessario richiamare gli obiettivi terapeutici, sia quelli iniziali che quelli inseriti nel corso della terapia, infatti nel percorso di conoscenza del paziente le iniziali formulazioni si possono arricchire; può capitare che rispetto al focus comune di partenza gli obiettivi che ci si era fissati si siano raggiunti con risultati accettabili, ma che si siano evidenziate carenze in altri compiti vitali, su cui non si era pensato di lavorare. A quel punto si può proporre di posticipare la conclusione della terapia riformulando nuovi obiettivi, partendo sempre da una valutazione realistica della motivazione del paziente e del terapeuta e delle risorse per poter lavorare ancora. In caso contrario, anche se il terapeuta individua temi irrisolti che potranno causare problemi al paziente in futuro, deve fare una parte del lavoro e lasciar andare la persona, incoraggiandola a tornare quando si presenteranno e quando avranno un maggior peso emotivo.

Se è il paziente a decidere di interrompere la terapia portando motivazioni plausibili e razionali (denaro, tempo, indipendenza, sta meglio...), il terapeuta deve chiedersi che cosa non ha colto nella gestione della relazione e dei contenuti e nelle richieste implicite del paziente.

Se il paziente e/o il terapeuta non si riescono a interrompere la terapia, bisogna capire il perché, per evitare la collusione di istanze inconsce e consce reciproche. Il terapeuta deve chiedersi quanto si potrebbe ancora realizzare e quanto sarebbe ancora disponibile a lavorare, con quel paziente, considerando i tempi necessari per arrivare ad una conclusione. Importante per ogni terapeuta capire come si sente e il proprio stato d'animo nei confronti della separazione e del paziente.

In base al tipo di terapia la procedura per avviare la conclusione è diversa, poiché in ogni tipologia cambia il genere di coinvolgimento, la durata, le attese e i cambiamenti prodotti.

La fase della conclusione è una fase di collaudo, dove è necessario verificare se il benessere e le consapevolezze che sembrano acquisite dal paziente riescono ad essere tradotte su un piano di realtà, nella gestione delle spinte emozionali e nelle azioni. L'intenzione dichiarata non è l'azione, il cambiamento richiede tempo per essere visibile nei comportamenti, Adler a questo proposito era molto attento alla pratica della vita, e nel collaudo si mette in pratica un nuovo stile di vita. Uno dei tratti principali che emergono in questa fase è l'emergere del senso di responsabilità verso Se stessi e verso gli altri, quindi un potenziamento del sentimento sociale. L'elemento fondamentale del collaudo sta nel decidere insieme di ridurre la frequenza degli incontri per verificare come il paziente riesce a mantenere i suoi progressi e compierne di nuovi assumendosi maggiori responsabilità. Il terapeuta deve accompagnare e aiutare il paziente a ritarare la sua vita, le sue relazioni che cambieranno perché lui è cambiato, il mondo circostante reagirà a questo e il terapeuta dovrà sostenere il paziente in questa fase di rinascita.

"La responsabilità è il cordone ombelicale che ci lega alla creazione" (Buber)

Per le terapie brevi: se paziente e terapeuta hanno mantenuto l'attenzione sul focus e il paziente dimostra di avere una visione più completa del problema, dimostra di avere il coraggio di pensare e progettare modi nuovi e più efficaci di agire, allora si possono riesaminare con il paziente le tappe del percorso fatto insieme, cercando, con attenzione, di verificare se il paziente riesce a mantenere da solo "il circolo virtuoso"; solo in caso affermativo si stabilisce insieme un periodo finale che si può definire "di collaudo finale".

Per le terapie lunghe: è importante porre al centro la relazione che si è instaurata, il terapeuta deve interrogarsi sul tipo di alleanza terapeutica e sul transfert che si è sviluppato.

Si deve procedere tenendo presente l'immagine interna che il paziente ha del terapeuta, l'introduzione del tema della conclusione deve essere fatto solo dopo aver riesaminato le tappe del percorso terapeutico e aver evidenziato i cambiamenti realizzati, sottolineando che in futuro il paziente avrà gli strumenti necessari per affrontare le difficoltà, e anche il coraggio e la capacità di farlo autonomamente.

Il terapeuta incoraggia e autorizza il paziente a separarsi e a sperimentarsi; sarà utile in questa delicata fase dare voce ai sentimenti di perdita, ponendosi un traguardo di arrivo e lasciando aperta l'opportunità di un percorso evolutivo della terapia nel gruppo; infatti la terapia di gruppo può rinforzare il sentimento sociale e consentire un reale collaudo con le capacità acquisite, nella gestione dell'emotività e ampliare la conoscenza di sé e dell'altro, a livello di contenuti psichici e scenari emotivi.

"L'uomo armonico della psicoterapia adleriana, a cui si deve ambire al termine della terapia, deve aver intrapreso un percorso unico e individuale di consapevolezza e conoscenza, nella direzione della responsabilità e con il coraggio di affrontare i propri limiti, imparando a vivere un sentimento di superiorità non compensativo, perché corrosivo dello stile di vita, ma adeguato al senso di realtà.

Il perseverare nella conoscenza al termine del percorso di consapevolezza critica e propositiva può essere identificato con la responsabilità del paziente di agire per sanare una frattura e ripristinare un'esistenza portatrice di significato". (Adler, Il senso della Vita)

Approfondimento

" Il sogno come finzione e atto creativo"

Ogni uomo è naturalmente dotato di attitudine all'immaginazione che, come tutte le altre funzioni psichiche, si inserisce nel flusso di corrente progettualmente orientato dall'inestinguibile spinta dal basso verso l'alto del Sé creativo. In questa ottica anche l'"immaginazione onirica" diventa il ponte soggettivo che collega passato, presente e futuro, con il compito di addestrare il soggetto, anche mentre dorme, a vivere quei sentimenti e quelle emozioni.

«Noi sogniamo e al mattino dimentichiamo i nostri sogni di cui non resta più niente. Ma è poi vero che non resta proprio niente? Restano i sentimenti che i nostri sogni hanno fatto sorgere. Nulla rimane delle immagini, non ci resta nessuna comprensione del sogno, ma solo le sensazioni che esso lascia dietro di sé. Lo scopo dei sogni dev'essere nelle sensazioni. Il sogno è soltanto il mezzo, lo strumento per stimolare sentimenti e sensazioni. Lo scopo del sogno sono i sentimenti che esso lascia dietro di sé» (A Adler).

Il sogno garantisce la costanza dello stile di vita, l'unità e l'indivisibilità dell'individuo anche in momenti così diversi della sua esistenza: il sonno e la veglia.

«In parecchi punti [...] l'interpretazione freudiana ha portato il sogno fuori dal campo scientifico. Essa presuppone, ad esempio, un'interruzione fra il lavoro della mente durante il giorno e il suo lavoro durante la notte."Il conscio" e "l'inconscio" sono posti in contraddizione l'un l'altro e al sogno viene assegnata una sua legge particolare in contraddizione con le leggi del pensiero quotidiano [...]. Nel pensiero dei popoli primitivi e dei filosofi antichi, incontriamo sempre questo desiderio di instaurare una forte antitesi fra i concetti, di considerarli contraddittori [...]. Spesso si crede che sinistro e destro, uomo e donna, caldo e freddo, leggero e pesante, forte e debole siano contraddizioni: da un punto di vista scientifico, però, non sono contraddizioni, ma varietà, sono gradi di una scala [...]. Ogni teoria che tratti il sonno e la veglia, i pensieri del sogno e i pensieri diurni come contraddizioni, è necessariamente non scientifica. Un altro punto che presenta difficoltà nell'originale teoria freudiana è che i sogni vengono riferiti a un background sessuale, il quale è a sua volta separato dalle tendenze e dalle attività quotidiane degli uomini. Se fosse vero, i sogni avrebbero significato non come espressione dell'intera personalità, ma solo di una parte di essa» (Adler).

Alla base di una concezione unitaria dell'uomo, quindi, non possono esservi due forze in contrasto, ma un unico principio dinamico dal basso verso l'alto, da un minus verso un plus, in quanto «colui che sogna e colui che è desto sono lo stesso individuo e lo scopo dei sogni deve essere applicabile a quest'unica personalità coerente». In questo senso il «sogno deve essere un prodotto dello stile di vita e deve contribuire a costruire ed a rafforzare lo stile di vita», rappresentando un ponte gettato verso il futuro «mediante il quale l'individuo tenta di collaudare la sua posizione verso obiettivi attuali o ipotizzati, incoraggiando o scoraggiando determinate linee finalisti che»: colui che sogna si allenerà a giocare il proprio ruolo, preparando la strada affinché si avveri. Le finzioni onirico-immaginative, come tutte le finzioni, sono pragmaticamente utili, in quanto legano l'individuo al proprio passato e lo proiettano attraverso la cenere emozionale residua verso l'avvenire.

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Scritto da

Dott.ssa Patrizia Credidio

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