​Sportello pedagogico e rischio di sovrapposizione con la figura dello psicologo

Data l'enorme diffusione di professionisti dell'aiuto (in primis counseling e pedagogisti) e l'attuale tendenza all'apertura di sportelli all'interno di istituti pubblici e privati, credo si

16 MAR 2018 · Tempo di lettura: min.
​Sportello pedagogico e rischio di sovrapposizione con la figura dello psicologo

Sportello pedagogico e rischio di sovrapposizione con la figura dello psicologo

Data l'enorme diffusione di professionisti dell'aiuto (in primis counseling e pedagogisti) e l'attuale tendenza all'apertura di sportelli all'interno di istituti pubblici e privati, credo sia circa utile precisare la differenza di competenze fra il pedagogista e lo psicologo all'interno del contesto scolastico.

Riprendo il discorso sulle competenze (secondo ovviamente il mio personalissimo parere) perché, durante il mio percorso di studi in pedagogia (scienze dell'educazione prima e dirigenza scolastica e pedagogia speciale, dopo), sia in ambito storico-pedagogico, sia nelle diverse declinazione pedagogiche (sociale, speciale, generale, ecc.), non ho mai incontrato il determinarsi del pedagogista come figura atta ad intervenire per risolvere problematiche soggettive di natura esistenziale, emotiva, relazionale, ecc.

La pedagogia, risfogliando i testi storico/pedagogici, da Franco Cambi (Storia della Pedagogia edizione Laterza) a Giovanni Giraldi (Storia della pedagogia, la Feltrinelli), appare sempre come disciplina umanistica, culturale, da sempre impegnata a riflettere su come trasmettere le conoscenze ritenute fondamentali per il proseguimento di una determinata civiltà, su come insegnare al fine di attuare una vera e propria promozione sociale, in modo da aiutare le persone ad emanciparsi socialmente e culturalmente. La pedagogia, in sintesi, è la disciplina che, da sempre, si pone il problema di cosa sia importante insegnare, come farlo, a che scopo, preoccupandosi quindi di formare educatori ed insegnanti competenti in grado di attuare le giuste pratiche educative.

Anche quando si declina come pedagogia speciale, lo scopo è sempre quello di riflettere su quali competenze l'insegnante o l'educatore debbano acquisire, affinché sia possibile attivare didattiche idonee atte a consentire al soggetto di apprendere in modo efficace, nonostante il peso della disabilità (su questo punto si sofferma Trisciuzzi nei due testi "pedagogia clinica" e "didattica speciale", delle edizioni Laterza). E' sempre chiaro quindi il messaggio che la riflessione pedagogica è su cosa, come e dove (i luoghi dell'educazione) insegnare, non si fa mai portavoce di come intervenire in termini di riabilitazione (intesa come cura di una problematica di natura emotiva, relazionale, motoria, cognitiva, ecc.), anzi, cerca all'opposto di porsi la domanda: "come favorire l'emancipazione culturale e sociale delle persone, nonostante il peso della disabilità"?

Diviene curioso allora capire come sia emersa la necessità di voler inquadrare la figura del pedagogista (studioso e teorico della scuola, della formazione lungo tutto il percorso della vita, delle problematiche legate alle condizioni che spesso rendono difficile il percorso dell'emancipazione socio-culturale degli individui) in un ruolo che di fatto non è il suo, tipo: esperto nell'ascolto attivo per problematiche esistenziali negli sportelli pedagogici (competenza non propria della disciplina pedagogica ma appartenente alla psicologia umanistica, agli studi di Rogers, Maslow, ecc.), dispensatore di interventi clinici atti a modificare un comportamento (che guarda caso sono poi in fondo le metodiche tipiche della psicoterapia cognitivo-comportamentale) o addirittura consigliere per la risoluzione delle problematiche familiari (prendendo spunto in qua ed in là dalla terapia familiare).

Credo invece che la pedagogia sia una disciplina estremamente seria e che non possa essere "umiliata" relegandola all'interno di un ruolo che assomiglia ad una semplice una cassetta del pronto soccorso; sono convinto che la pedagogia sia fra le discipline più importanti per la riflessione seria ed attenta sulle problematiche legate all'emancipazione socio-culturale dell'uomo. Ecco perché non posso che essere d'accordo con il professor Giovanni Genovesi quando afferma: "... si cerca di accreditare la fondatezza e il valore del discorso e della operatività pedagogica nel porsi come forma particolare di aiuto, come prendersi cura di qualcuno o, meglio, di una persona, magari attraverso suggerimenti, offerte di particolari strategie e metodi per aiutare l'individuo a risolvere i suoi problemi. La pedagogia non può in nessun modo essere identificata con una serie di interventi in questa direzione, interventi che non hanno nulla a che vedere con l'essere di una scienza.

La pedagogia non riscatta il suo passato di prescrizioni autoritaristiche e di normatività ossessiva cercando oggi di accreditarsi come un serbatoio di filantropismo all'insegna di un pronto interventismo che mai potrà caratterizzarla. (…) Liberata da qualsiasi forma di "pronto intervento" per risolvere problemi o portare aiuti ai bisognosi, la pedagogia non può in nessun modo costituirsi come associazione professionale quale, per esempio, la psicologia, la psicoanalisi, ecc.

Il pedagogista, in effetti, non è altro che uno scienziato che fa ricerca e non può, almeno nell'immediato, risolvere i problemi di nessuno.

Essere convinti del contrario, ossia che consultare un pedagogista può risultare utile per trovare una soluzione, sia pure provvisoria, ad un nostro problema esistenziale che esuli da quello di avere illuminazioni e sollecitazioni sul fare ricerca in pedagogia, significa contribuire ad allargare la schiera di coloro che impediscono il costituirsi della pedagogia come scienza.

Concludendo questa considerazione, ribadisco che pensare ad una professione pedagogica o di pedagogista che non sia quella della ricerca è un grosso impedimento per procedere nella strada dell'attività scientifica." ( Genovesi Giovanni, Prolegomeni alla pedagogia come scienza, Aracne editrice, Roma, pag. 66, 67).

Penso che sia opportuno che la pedagogia torni a riflettere sulla scuola, le agenzie formative, le competenze degli insegnanti, invece di porsi come sostituta della psicologia o come prontuario di risoluzione di casi difficili; ritengo che l'insegnamento e l'insegnante come figura professionale rappresentino i pilastri fondanti della società senza i quali non ci sarebbe né emancipazione, né pensiero critico ma solo libero sfogo di bassi istinti. Non è possibile in nessun caso pensare, per me, che possa essere riduttivo per la pedagogia dedicarsi alla riflessione circa i valori dell'educazione, le buone prassi per l'insegnamento e i luoghi per favorire l'attività di apprendimento, i quali, tutti insieme, rappresentano realmente le fondamenta della nostra società e la speranza per il futuro.

Dott. Andrea Guerrini

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Dott. Andrea Guerrini

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