Sopravvivere, per paura di vivere

L'uomo moderno sembra affaccendato in una lotta tra quello che crede di essere e quello che è davvero. La nevrosi altro non è se non lotta interiore.

27 DIC 2018 · Ultima modifica: 31 DIC 2018 · Tempo di lettura: min.
Sopravvivere, per paura di vivere

Paura di aprire il proprio cuore all'amore, perché espone alle ferite. Paura di scoprirsi, perché espone al rifiuto. Paura di prendersi un posto, perché espone al rischio di esclusione. Paura di essere pienamente se stessi, perché espone al giudizio. Paura di provare più emozioni di quanto si sia abituati, perché espone alla sensazione di indebolirsi.

A volte questa vita sembra "troppa" e quel continuo affaccendarsi pare essere il rimedio più innocuo per non sentire, come se correre forsennatamente tamponi l'affrontare se stessi: fare di più e sentire di meno, un tentativo di dominare la vita; più azione, meno passione, un tentativo di controllare i sentimenti.

A prescindere da quanto bravi possiamo essere nel contesto professionale, finiamo per fallire verso noi stessi, fallire nella capacità di starci accanto con gentilezza, con compassione. E la percezione di fallimento come persone è un sentimento che alberga in molti di noi.

Sembra che l'uomo moderno sia proprio destinato ad avere paura della vita, ad essere impegnato in una lotta tesa al dominio di una parte di sé sull'altra, dove eludere qualsiasi cedimento sia la meta a cui tendere, nessuna emozione di troppo, volontà ferrea. Decisi a vincere ogni debolezza, non molliamo, annaspiamo con superbia per schiacciare ogni paura, ogni angoscia, pur di non sentirla dentro. E così finiamo per esaurire energie mentali e fisiche.

Spesso non abbiamo nemmeno la percezione cosciente della lotta strenua e mortificante a cui ci sottoponiamo. Pensiamo, anzi, di essere assetati di vita, di avventure, di emozioni, nonostante non ne sappiamo davvero sopportare la portata, non siamo in grado di far fronte a esiti altri dalle aspettative.

L'amore ne è un esempio. Per le innumerevoli relazioni fugaci siamo presenti, per rischiare l'intimità siamo assenti. Così, ci regaliamo un collage di flirt, incontri che non vedono la luce, se non quella di uno schermo, incontri leggeri, dove uno si fa spesso più male dell'altro, incontri fatti di un impegno a tempo, meglio se disimpegno. Eppure, dichiariamo che non vediamo l'ora di innamorarci, di vivere qualcosa di pieno, profondo ed esclusivo. Siamo bravi a parole. In realtà, molti di noi sono terrorizzati: l'amore espone al rischio di mostrarsi senza maschere, né veli, obbliga a correre il pericolo dell'abbandono.

Credo che la vita interiore non abbia bisogno di eroismi, credo che nessuno di noi sia un atto concluso, credo che la strada sia fermarsi, respirare, sentire, avere il coraggio di vivere, non solo di sopravvivere.

Sentire cosa?

La propria angoscia. L'angoscia di esporsi, dell'anonimato, di sentirsi una vittima, di dipendere, dei propri sentimenti, dei propri errori. Sentire profondamente quell'angoscia. Sentire profondamente quel vuoto interiore, perché se abbiamo il coraggio di sentirlo, accettarlo, riusciremo a realizzarci. Se ci diamo il permesso di far fronte a quel vuoto interiore, scopriremo che sotto vi è perfino gioia.

Articolo della dottoressa Luisa Ghianda, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Lombardia

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Scritto da

Dott.ssa Luisa Ghianda

Laureata in Lingue e in Psicologia, ha approfondito prima la psicologia del lavoro poi la psicologia clinica. È counsellor professionista, Direttore di Psicodramma e conduttore di gruppo con Metodi Attivi, ipnologa. Si occupa di sviluppo personale, organizzativo, educativo, convinta che in ogni essere umano ci sia una grande possibilità di trasformazione.

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