"Solo i matti (non) vanno dallo psicologo": le origini di un paradosso

La credenza che si debba essere matti per andare dallo psicologo non solo è infondata, ma persino paradossale.

21 OTT 2019 · Tempo di lettura: min.
"Solo i matti (non) vanno dallo psicologo": le origini di un paradosso

Come mai la credenza che si debba essere matti per andare dallo psicologo non solo è infondata, ma persino paradossale?

Da sempre è convinzione diffusa e abbastanza radicata nel senso comune che le persone che vanno dallo psicologo siano "i matti", parola altisonante che sta a indicare persone con una grave compromissione del funzionamento personale e che non avrebbero quell'equilibrio interiore di cui il consesso della società civile si fa portatore.

Non approfondiamo in questa sede la definizione di follia mentale, né ci soffermiamo sul fatto che (vale almeno la pena di ricordarlo) le malattie sono sempre figlie di un'epoca e dei suoi valori sociali, per cui i cosiddetti "matti romantici", quelli che hanno fatto breccia nel nostro immaginario cinematografico e letterario come sognatori, geni incompresi e visionari ("genio e sregolatezza"), ormai non esistono più, avendo ceduto il passo a tipologie di manifestazione clinica meno visibili, di cui spesso non notiamo neanche la presenza finché non si manifesta per qualche motivo: dipendenze, problemi alimentari, disturbi psicosomatici, psicosi latenti compensate da farmaci, spesso offrono l'opportunità di camuffare problemi psicopatologici per anni, convivendo con una routine quotidiana tutto sommato funzionale, prima che raggiungano dimensioni evidenti per il mondo circostante.

Poniamo invece qui l'attenzione, sinteticamente, su alcuni aspetti che rendono completamente infondata l'idea che lo psicologo sia solo "per i matti":

  1. in generale vale il principio per cui maggiori risorse psichiche una persona ha, migliore sarà la sua consapevolezza di aver raggiunto un momento critico che richiede la consultazione di un professionista della salute: spesso chi manifesta problemi di rango più grave fatica a riconoscerli, a prenderne coscienza e ad ammettere che ha bisogno di aiuto, per cui facilmente non si rivolgerà mai ad un clinico finché la situazione non prenderà il sopravvento su di lui;
  2. in continuità con il punto precedente, talvolta chi ha gravi difficoltà "proietta" sul mondo esterno e sulle relazioni significative i propri problemi (sul partner, i figli, i colleghi di lavoro…): porta avanti l'idea che "non sono io che ho problemi, sono gli altri che sono sbagliati" e spesso assume dei comportamenti maltrattanti che fanno soffrire più le persone che lo circondano che non lui stesso (è questo il caso per esempio dei soggetti narcisistici e manipolatori). Ancora una volta, non sarà la persona in questione a chiedere aiuto, ma quelle che vivono intorno a lei, perché lei è convinta di non avere alcuna questione aperta da affrontare. Non vale il principio che "chi non entra mai in crisi è più sano", perché chi non entra mai in crisi fa spesso entrare in crisi gli altri;
  3. affrontare un percorso di psicoterapia richiede la volontà di esplorare il proprio mondo interiore e un minimo di conoscenza dei propri stati affettivi, una sorta di "alfabetizzazione emotiva", che a volte si apprende nel processo di crescita familiare e a volte si può invece recuperare nella psicoterapia stessa (Target e Fonagy parlano di "mentalizzazione"), per cui è proprio chi matura gli strumenti emotivi più solidi e costruttivi che riesce a portare avanti un percorso duraturo e creativo a livello psicologico. Non vale il principio per cui "chi supera le crisi in fretta è più sano e più forte": generalmente, una crisi significativa richiede tempo per essere affrontata e solo quando è attraversata autenticamente porta un risvolto trasformativo per la persona.

Citando Heidegger, gli esseri umani sono "essere-nel-mondo", per cui il mito dell'autosufficienza, di "bastare a se stessi", di cavarsela sempre e comunque da soli, diventa spesso un alibi per mantenere in vita un ancestrale ideale di onnipotenza a cui alcune persone, più di altre, faticano a rinunciare: sono proprio quelli i quadri di grave compromissione, quelli che più difficilmente entrano in dialogo con la realtà esterna o si mettono in discussione; quelli che in uno studio clinico non entrano finché non toccano il fondo e, a volte, neppure allora.

La psicoterapia perciò non è un percorso riservato ai "matti": non solo perché lo psicologo non riceve soltanto pazienti gravi, ma anche perché è più difficile che i veri matti si rendano conto di aver bisogno di aiuto. Per dirla con un ironico ma veritiero ossimoro: è necessario essere sufficientemente sani, per potersi prendere cura dei propri problemi.

È necessario essere sufficientemente forti per poter affrontare le proprie fragilità.

Articolo scritto dal Dott. Daniele Prezzi psicologo psicoterapeuta, iscritto all'Albo degli Psicologi della provincia di Trento

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Scritto da

Dott. Daniele Prezzi

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