Sognare ad occhi aperti...che stress!

A chi non è mai capitato di portare "la testa fra le nuvole", fantasticare su persone e situazioni piacevoli per poi tornare alla realtà. Ma cosa succede quando le fantasie ci ingabbiano?

29 LUG 2015 · Tempo di lettura: min.
Sognare ad occhi aperti...che stress!

A chiunque sarà capitato di trovarsi "con la testa tra le nuvole" o "a sognare ad occhi aperti". Il fantasticare è un'attività piacevole e comune alla maggior parte di noi; si fantastica su persone, eventi, situazioni più o meno complesse; quando si torna alla vita reale, il gusto delle fantasie permane per un istante a mezz'aria, e poi svanisce.

In alcuni casi, però, il fantasticare è così coinvolgente da ingabbiare il soggetto in una rete dalla quale non può e forse non desidera uscire. Qui si insinua il bisogno compulsivo di rituffarsi appena possibile nella fantasia ed allontanarsi sempre più dal mondo reale.

Somer (2002) ha descritto questa condizione (Maladaptive Daydreaming) come una ricca produzione di contenuti fantastici che diventa disfunzionale nel momento in cui interferisce con il funzionamento sociale, lavorativo e scolastico.

Più recentemente, Bigelsen e Schupak (2011) hanno proposto una definizione più precisa del problema affibbiandogli il suggestivo "Compulsive Fantasy" e delineandone le principali caratteristiche. Gli autori hanno studiato 90 soggetti provenienti da varie parti del mondo, autocandidatisi online come "fantasticatori eccessivi".

Quando diventa troppo?

Ai volontari è stato somministrato il "Questionnaire on Excessive Daydreaming" finalizzato a cogliere somiglianze e differenze tra le fantasie dei partecipanti. Dai risultati emergono alcuni dati interessanti: innanzitutto, la struttura delle fantasie è notevolmente articolata, spesso connotata da trama e personaggi (ispirati alla vita privata del soggetto o a film, libri, ecc.) ed emotivamente intensa; i soggetti fantasticano per diverse ore al giorno (da 1 a 10) e hanno iniziato a farlo precocemente; la maggior parte di loro riferisce la frequente compresenza di attività motoria (passeggiare, dondolare, sussurrare, ecc.), maggiormente controllabile del fantasticare in sé, soprattutto in presenza di osservatori.

I "fantasticatori", infatti, condividono il tentativo di celare queste attività ad amici e familiari, finendo per provare isolamento e vergogna. Tali fonti di disagio sono ulteriormente inasprite dalla necessità di accantonare la vita reale per dare spazio a quella fantastica. A differenza dei "normo-sognatori", essi percepiscono il bisogno impellentedi ritornare nel mondo fantastico appena vengono "risvegliati" da quello reale, per poter continuare il processo di creazione. Si tratta di un vero e proprio craving in cui la sostanza è del tutto immaginaria.

Origini di questa abitudine?

Le origini della Compulsive Fantasy sono poco chiare: accantonata l'ipotesi di una reazione ad un precedente trauma (nonostante il 27% sostenga di esserne stato vittima nella propria vita) e di una mancata discriminazione tra fantasia e realtà (il 98% riferisce di non avere problemi a distinguerle) (Bigelsen e Schupak, 2011), potrebbe trattarsi di una modalità di coping che consente al soggetto di allontanarsi dalla ruvidità o dalla noia della vita quotidiana alla ricerca di tranquillità, felicità o eccitazione (immaginando se stesso come una persona più attraente e ricca di relazioni significative; rivivendo la presenza di una persona cara che è deceduta; pensando ripetutamente di avere una malattia grave per sentirsi amato e curato; ecc.).

Influenze sulle fantasie

Similmente a quanto avviene nel Desire Thinking (Caselli e Spada, 2010), le fantasie possono essere condizionate da triggers di duplice natura: stimoli esterni (musica, libri, ecc.) o stati d'animo ed emozioni (noia, rabbia, stress, frustrazione, eccitazione, ecc.); tuttavia, nel caso della Compulsive Fantasy, potrebbe essere più interessante domandarsi cosa è in grado di sospenderla più che scatenarla, poiché pare che le fantasie si attivino automaticamente in un momento di scarso coinvolgimento cognitivo (durante compiti che non richiedono elevato monitoraggio) e vengano bloccate nell'istante in cui il soggetto è stimolato da un'attività interessante. Nonostante l'accesso automatico, la produzione di fantasie non è né inconsapevole né priva di sforzi; ad una prima fase di difficile controllo del bisogno di creare, ne segue una di elaborazione consapevole della fantasia (similmente a quanto descritto in merito alla Elaboration Intrusion Theory of Desire; Kavanagh et al., 2005).

A differenza del Mind Wandering (Smallwood e Schooler, 2006), non vi è una vera e propria impossibilità di portare a termine compiti più o meno complessi della vita quotidiana; la maggior parte dei soggetti riporta di non avere rilevanti problemi di interazione sociale, tuttavia riferisce di preferire il mondo irreale e, per questo, di non percepirsi mai completamente presente nelle attività di quello reale. Il disagio maggiore è, infatti, quello provocato dal senso di colpa dovuto al fatto di "rubare" tempo alle persone vere per dedicarne a quelle irreali.

Stretta relazione con la creatività

Infine, l'attività del fantasticare sembrerebbe essere correlata a creatività ed empatia; il 71% dei soggetti riferisce di avere un talento artistico (musica, pittura, disegno, scrittura) e riuscire ad immedesimarsi nelle vesti altrui.

In conclusione, la fantasia può aiutare a risolvere problemi, può stimolare la creatività ed ispirare opere d'arte e scienza, ma, quando diventa compulsiva, le conseguenze possono essere terribili (Glausiusz; 2011).

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Scritto da

Dott.ssa Irene Desimoni

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