“Similia similibus curantur” nella pratica clinica

Presupposti teorici e applicazioni cliniche della psicoterapia breve strategica nel Disturbo da attacchi di Panico.

5 AGO 2017 · Ultima modifica: 25 GEN 2018 · Tempo di lettura: min.
“Similia similibus curantur” nella pratica clinica

Il principio d'Ippocrate "similia similibus curantur", ossia le cose simili sono curate dalle cose simili, è il meccanismo d'azione della medicina omeopatica applicato anche con successo nella psicoterapia strategica breve sia dal terapeuta nell'utilizzo del linguaggio e della resistenza del cliente, sia da quest'ultimo nello svolgimento delle prescrizioni comportamentali, come in una sorta di relazione biunivoca che trascende in un processo interattivo tra il conduttore terapeutico ed il paziente.

Per esempio, nella cura della sintomatologia ansiosa il terapeuta può valersi di diverse strategie di utilizzazione del comportamento disfunzionale per la sua stessa risoluzione: "recitare" il ruolo del soggetto ansioso adottando il modo d'esprimersi e l'atteggiamento di difesa della persona sofferente, oppure ingiungere al cliente attraverso una prescrizione paradossale di concentrare il malessere in determinate coordinate spaziali e/o temporali, oppure far associare alla percezione dei segnali d'ansia l'esecuzione di un compito secondario tale da spostare l'attenzione e da provocare una reazione inibitoria rispetto il sintomo in questione.

  1. Utilizzo del linguaggio e della resistenza del paziente da parte del terapeuta.L'uso da parte del terapeuta delle categorie linguistiche e concettuali del cliente permette di entrare in sintonia con le sue rappresentazioni mentali e di indurre a modificarle. Tale strategia comunicativa, definita da Bandler e Grinder "tecnica del ricalco", permette, tramite una ristrutturazione delle modalità di espressione verbale usate dal paziente, una modificazione della sua esperienza con l'introduzione di nuove strutture di riferimento, capaci di reintegrare gli aspetti mancanti della sua esperienza e di produrre un cambiamento nel tessuto narrativo della persona. Il cliente possiede un irrigidito sistema percettivo – reattivo che, assieme alla risposta degli altri a tale resistente schema alterato, conduce alla persistenza del problema: per rompere tale circolo vizioso di attaccamento alla disfunzionalità occorre cambiare o bloccare le tentate soluzioni facendo qualcosa di inaspettato, come per esempio usare la resistenza del paziente e magari provocarla, anziché lottare contro di essa. Questa tattica è una reazione inattesa al comportamento sintomatico del cliente che richiede un'immediata riorganizzazione e dunque una modifica del modello di azione e retroazione, a cui successivamente segue una presa di coscienza dell'inadeguatezza delle provate risoluzioni ed una ridefinizione del problema e della situazione.
  2. Prescrizioni comportamentali dirette, indirette e paradossali del terapeuta nei confronti del cliente. Le prescrizioni comportamentali, pur nel loro variabile grado di complessità, risultano essere facilmente accettabili ed eseguibili sia perché si presentano innocue o di secondo ordine rispetto il problema "reale", sia perché richiedono un investimento minimo di tempo ed energie. Utilizzando il principio di similitudine, permettono di far sperimentare alla persona psichicamente disagiata delle concrete esperienze di cambiamento che producono la rottura del meccanismo rigido e pervasivo delle tentate soluzioni.

Le imposizioni dirette conducono il cliente a compiere l'abitudine inadeguata: inizialmente vengono abbinate a suggestioni che, accomunandole alle disposizioni implicite, consentono di aggirare l'ostacolo deviando l'attenzione sullo svolgimento di una richiesta meno importante. Le prescrizioni indirette, attraverso lo spostamento della vigilanza dal problema principale ad uno accessorio usato come "trabocchetto", permettono di affrontare il comportamento disfunzionale passando dalla "porta laterale", distratti dall'esecuzione di un compito secondario: il cliente sperimenta di poter affrontare la condotta anomala e di poter controllare e annullare i suoi sintomi attraverso la riduzione dell'intensità della problematica prodotta dal volgimento dell'attenzione nei confronti di una difficoltà marginale. Le ingiunzioni di condotta paradossali (paradossi) vincolano il paziente all'assunzione del comportamento sintomatico immettendolo nella condizione bizzarra di dover svolgere volontariamente ciò che non è volontario: l'esecuzione intenzionale del sintomo annulla quest'ultimo in quanto lo priva della sua essenza, della sua spontaneità [citazione].

Tali assurde esortazioni comprendono il temporaneo spostamento del sintomo sia nello spazio, sia nel tempo, sia nel significato offrendo l'opportunità di impiegare volutamente il segnale di alterazione, anziché sopportarlo passivamente.Proviamo ad approfondire valorizzando soprattutto il duplice versante di utilizzo e la duplice direzionalità del paradosso, cioè dal cliente al terapeuta nell'appropriazione del suo linguaggio e della sua resistenza, e dal terapeuta al cliente mediante prescrizioni comportamentali che impiegano il sintomo spostandolo nello spazio e/o nel tempo.

Come già descritto, secondo la tecnica del ricalco di Bandler e Grinder, il terapeuta adotta il linguaggio del cliente ponendo attenzione alla sua modalità comunicativa ed al suo sistema rappresentazionale sia per favorire il processo di empatia, sia per tentare di aumentare la consapevolezza nel paziente del suo rigido approccio comunicativo, tale da costituire una resistenza al cambiamento. Per quel che riguarda le prescrizioni comportamentali, nello spiegare come la richiesta di un comportamento disfunzionale per sua natura spontaneo implichi la subordinazione del sintomo a due forze opposte di pari intensità portando alla sua inerzia e nel nostro caso all'annullamento, si può riportare la storia del millepiedi che, interrogato dalla formica sul meccanismo di movimento contemporaneo di tutte le zampe, rifletté sul suo comportamento e non riuscì più a camminare. Anche nel nostro quotidiano talvolta possiamo ritrovarci a pensare a comportamenti che sono attivati automaticamente senza porvi consapevolezza, come nel caso della guida dell'auto la cui contemporaneità e sequenza di azioni sono diventata talmente spontanea da risultare difficilmente spiegabile e la cui riflessione durante lo svolgimento comporterebbe un impaccio se non addirittura un blocco nelle azioni. Dopo l'esposizione della metodologia del principio di similitudine, vediamo la possibile applicazione in ambito clinico. Pensiamo ad una giovane sui 30 anni, caratterizzata da un comportamento piuttosto agitato, irrequieto, da un eloquio veloce, quasi logorroico, con una rilevante mimica facciale accompagnata da un'altrettanta considerevole gestualità, soprattutto delle mani, dalla difficoltà a mantenere un contatto visivo e con certo bisogno di spazio personale protettivo, dunque da un certo "distacco spaziale – fisico" dal terapeuta contemporaneamente ad un''intromissione emotiva – mentale" fatta di gesti e di parole.

La paziente lamenta difficoltà, al momento ancora gestibili, ad andare in automobile ed espone la sua incapacità di doversi fermare ai semafori rossi, al passaggio a livello chiuso, alle colonne, insomma di dover aspettare in macchina: in tali situazioni sente mancare l'aria, le batte forte il cuore, le tremano le mani, fatica a deglutire, ha paura di essere sul punto di morire d'infarto, di impazzire, di perdere il controllo e vuole scappare da questa terribile situazione che la fa star male e la imprigiona come una gabbia da cui vuole uscire. La cliente teme che la situazione peggiori: ha paura che tutto questo le capiti anche semplicemente appena salita in macchina e che addirittura le possa succedere fuori della macchina, semplicemente aspettando di pagare la spesa alla cassa, oppure attendendo il bambino all'uscita da scuola, e così via. Ha paura che questo pesante malessere al momento circoscritto vada ad intaccare ogni aspetto della sua vita rendendola invivibile. La sintomatologia lamentata è sicuramente ansiosa, in particolar modo la paziente sembra soffrire del Disturbo da Attacchi di Panico, o DAP, con componente agorafobica. Riprendendo la procedura metodologica precedentemente esposta, si può utilizzare, dopo un'attenta ed acuta osservazione, il ricalco dello stile comunicativo della nostra paziente, con cui risulterà più immediata la sintonia utilizzando e rispettando le sue stesse categorie espressive e dunque avvalendosi soprattutto della gestualità delle mani, dell'espressività del volto, dei movimenti della bocca, dell'eloquio veloce e così via. A tal proposito potrebbero sorgere dubbi riguardo alla capacità del terapeuta di percepire correttamente la modalità comunicativa del cliente, la veridicità o meno della sua percezione e la difficoltà a non colludere con l'assistito conservando il proprio ruolo di contenimento senza diventare un puro riflesso del cliente. Indubbiamente il terapeuta deve possedere una certa competenza ed esperienza nella programmazione neurolinguistica tale da consentirgli una percezione che, sebbene pur sempre soggettiva e relativa, sia il più possibile aderente e similare a quella del paziente. Per quel che riguarda le possibili prescrizioni comportamentali, si pensa alle eventuali strategie che possono essere utilizzate affinché la signora posso modificare la situazione problematica affrontandola con la percezione che ciò avvenga "indirettamente", cioè focalizzando la sua attenzione sull'esecuzione di compiti secondari rispetto la problematica principale. Per esempio, per distogliere l'ansia dell'attesa al semaforo rosso si può ordinare di azionare un determinato numero di volte i tergicristalli, contare i movimenti e partire solo quando il rituale sia stato completato. Altrimenti si può chiedere alla paziente il percorso fatto per giungere allo studio di psicologia, glielo si fa immaginare e descrivere nei minimi dettagli, chiedendole al prossimo appuntamento di fermarsi al negozio di frutta (oppure un altro negozio, è indifferente) e comperare la più bella, grossa e verde mela che ci sia (ovviamente la merce può essere diversa, dipende dal negozio in questione) per portarla dal terapeuta. Un altro stratagemma può essere di proporre di farsi descrivere il percorso che la paziente effettua con maggior frequenza o in cui incontra più stimoli scatenanti l'ansia, facendole calcolare la sua ipotetica lunghezza in km e prescrivere di effettuare il tragitto facendo un preciso numero di km con un limite di errore sia per eccesso che per difetto di 1 km.

Gli stratagemmi migliori sono insiti nel contesto del cliente e fanno parte del suo sistema di significati: da qui l'utilità e la necessità dell'analisi del contesto e della narrazione di sé della persona, per conoscere e comprendere la trama della sua storia. Se la cliente in questione avesse un figlio che frequenta la scuola materna, si potrebbe suggerirle di sperimentare tutti i possibili percorsi dall'abitazione alla scuola e viceversa, alternandoli nel susseguirsi dei giorni della settimana, oppure sapendo che di solito è colta da ansia ad un determinato semaforo si potrebbe ordinarle di farsi venire da sola il malessere appena si trova davanti al semaforo rosso. In quest'ultimo caso può accadere che all'appuntamento successivo la cliente lamenti un peggioramento del problema, in particolar modo della sua frequenza: ciò paradossalmente è un buon risultato terapeutico in quanto significa che la paziente comincia ad avere un controllo sul sintomo e, se è capace di produrlo, può diventarlo anche nel non produrlo, nell'annullarlo. Un'ulteriore riflessione che può scaturire riguarda la rilevanza della coscienza nel processo di cambiamento: la consapevolezza del problema è sufficiente a produrre un suo mutamento o il suo superamento?

La coscienza è una condizione necessaria, ma in sé non sufficiente a generare un cambiamento. La consapevolezza della nocività e delle conseguenze dannose derivanti dal fumo non impediscono il piacevole vizio della sigaretta … Per effettuare un cambiamento occorre rompere il rigido sistema percettivo – reattivo di conoscenza, rappresentazione e significazione della realtà del cliente che solo successivamente conduce alla ridefinizione della situazione: nel caso della terapia strategica la consapevolezza non è motrice del cambiamento, ma ne è una conseguenza poiché il processo trasformativo riguarda inizialmente le percezioni e le emozioni, poi raggiunge le reazioni comportamentali e solamente infine raggiunge le cognizioni.

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Scritto da

Dott.ssa Marta Dal Santo Psicologa Psicoterapeuta

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