Selfie e gli altri
Uno è d'obbligo, qualcuno solo in vacanza, diversi al giorno possono comprometterti. Cosa pensano gli altri di te quando pubblichi continui selfie? Cosa ne pensano gli psicologi?
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"Cos'hai la selfite?" dice una mamma sorridendo con gli occhi al cielo a sua figlia adolescente che mangia di fianco a lei, la quale probabilmente sta inviando ai suoi contatti una foto di se stessa e del piatto.Guardo questa scena usuale dal tavolino del bar dell' Ospedale della mia cittadina. La ragazza nemmeno ascolta, continuando a cercare la posa migliore e a scattare, mentre io guardo il telefono per tenere sotto controllo l'ora e ritornare al lavoro. Tutti utilizziamo questi aggeggi digitali per un motivo e per l'altro. La madre le ha fatto una battuta, per indicarle un comportamento ripetitivo, che probabilmente non è la prima volta che vede, eppure lo sapevate che il termine selfite o selfitis (in inglese) esiste sul serio?
Anzi non solo esiste, è un vero e proprio termine coniato dall'American Psychiatric Assosiaction (APA) che indica un disturbo, il disturbo da selfie, di cui sembra ormai soffrire almeno metà della popolazione.Sulla base di alcune ricerche condotte in ambito psicologico pubblicate sulla rivista Personality and Individual Differences, si è evidenziato come continuare a scattarsi foto, o autoscattarsi nel caso dei selfie, sia sintomo di una grossa insicurezza ed una tendenza ad auto percepirsi come oggetti, che possono essere mercificati, quindi venduti, attraverso la fotografia e gli schemi.Spesso sono ragazzi/e che sembrano non solo voler mostrare il migliore lato di sé, ma che eccedono nel farlo, tanto da risultare agli occhi degli altri come superficiali, egocentrici e manipolatori, ovvero mostrano quelle caratteristiche che per i professionisti indicano la cosiddetta Triade Oscura, che li rende poco appetibili e simpatici, quando magari sono solo in emergenza di attenzioni. Questi indici, insieme al quantitativo di selfie scattati in una giornata, hanno quindi reso possibile per l'equipe di psicologi e psichiatri APA stilare 3 stadi di quello che è definita patologia da selfie, cioè questo bisogno quasi necessario e compulsivo presente negli autoscatti:
1. Selfite Borderline: consiste nell'auto-scattarsi foto almeno tre volte al giorno, me senza pubblicarle poi sui social network. Si tratta del livello più lieve del disturbo;
2. Selfite acuta: in questa seconda ipotesi, il soggetto scatta almeno tre selfie al giorno, ma decide di pubblicarli tutti sui social;
3. Selfite cronica: è la voglia incontrollabile di scattarsi fotografie in qualsiasi istante e per tutto il giorno. In questo caso i selfie vengono poi pubblicati in rete almeno sei volte al giorno. Si tratta dello stadio limite e più grave del disturbo.
E voi mi chiederete e i VIP? In effetti, si denota un certa differenza tra autoscatti volontari e quelli fatti per lavoro, c'è anche da dire però, che se una persona non volesse quella vita non la sceglierebbe nemmeno, tuttavia anche loro, a volte, perdono la logica tra quello che sia lavoro e quella che invece è la vita reale, spesso scattando foto di se stessi anche in situazioni intime. Non è tutto oro quel che luccica insomma. Perciò quale può essere la soluzione? I colleghi ci dicono che la soluzione sarebbe quella di limitare la condivisione della propria vita personale solo con le persone più strette e facendo delle condivisioni reali, nella realtà e con persone vere, cercando di affrontare la propria paura dell'intimità, dell'imbarazzo e della vergogna, che non è una paura isolata, ma dell'intero genere umano, dato che è proprio in quei momenti che siamo maggiormente vulnerabili.Pertanto il virtuale ci aiuta a sentirci meno fragili, con una maggiore autostima, ma noi comunque è la nostra normalissima fragilità che dobbiamo accettare.
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