Quando siamo diventati così soli?
Quando siamo diventati così soli? Lo siamo sempre stati o ci ritroviamo a valle di molti fallimenti a non riuscire a costruire rapporti significativi con nessuno?
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Nel nostro contesto, mentre aumentano le opportunità di incontri virtuali tra individui, pensiamo al numero crescente di piattaforme per cuori solitari o piattaforme per la ricerca di professionisti come quella che sto commentando, è difficile trovare un incontro soddisfacente con il altro. Allo stesso tempo, non è facile trovare nel proprio territorio contesti di aggregazione e socializzazione che facciano una proposta competente e interessante.
Perché ci sentiamo sempre più soli?
L'incontro con gli altri non è mai stato facile, è sempre stato mediato dalle emozioni (dal nostro modo di simbolizzare noi stessi e l'altro) e da culture storicamente e contestualmente situate.
Oggi, la cultura dell'individualismo estremo in cui si cresce, il mito del successo dei singoli piuttosto che dei gruppi, ci fanno ritrovare un po' più incompetenti nei rapporti sociali e quindi un po' più esposti a frustrazioni e fallimenti. Ma facciamo un passo indietro.
Quando si parla di solitudine è utile chiedersi: è un dato di fatto o un'esperienza? Cioè, quello che succede a me è la stessa cosa che succederebbe a qualsiasi altra persona o ha qualcosa a che fare con la mia emotività?
Alcuni bambini possono avere una buona vita sociale, ma emotivamente si sentono costantemente esclusi, soprattutto da se stessi e dalle proprie emozioni. In altri casi, l'effettiva condizione di “vivere da soli” di alcune persone non era affatto determinante o prescrittiva di quelle emozioni associate alla solitudine. Renzo Carli scrive nel 2021 sul Journal of Clinical Psychology:
Il "fatto" si identifica con lo stimolo contestuale che "provoca", induce e organizza unilateralmente ciò che sentiamo emotivamente. L'esperienza, invece, si confronta con la polisemia collusiva che attraversa le nostre simbolizzazioni emotive del contesto, e con la conseguente elaborazione emotiva del contesto stesso. Se l'emozione è l'unica risultante dello stimolo contestuale, il modello prevede la nostra ovvia e unica dipendenza dagli stimoli contestuali sulle nostre emozioni provate. Se invece l'emozione si costruisce elaborando simbolicamente gli elementi del contesto, allora il nostro adattamento al contesto è il risultato di un'elaborazione emotiva e collusiva del contesto stesso.
Il fatto, quindi, appiattisce la realtà, omologa le persone nei sentimenti che dovrebbero provare in un certo contesto. Le simbolizzazioni emotive, invece, rendono l'esperienza della solitudine o di altre emozioni peculiare di ogni individuo e quindi interessante da esplorare.
Quando ti senti solo cosa dici? In effetti, la risposta è tutt'altro che univoca. Ciò che accomuna le persone che provano questa sensazione è la fantasia dell'inesprimibilità di questa emozione, un'emozione che sembra impossibile da condividere.
L'esperienza sembra vivere una condizione di cui ci si vergogna, che innesca una progressiva e lenta emarginazione delle relazioni sociali. Chi si sente solo, non ne parli. Fino a raggiungere contesti lavorativi competenti e con emozioni che permettano di mettere in gioco i sentimenti. Per questo è necessario il lavoro psicologico in percorsi di analisi individuale finalizzati allo sviluppo delle abilità sociali attraverso un percorso di recupero delle proprie emozioni, dei propri vissuti.
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