Prigionieri dei pensieri, la mente si perde tra ripetizioni compulsive. Il labirinto del rimuginio.

Il rimuginio è un pensiero ricorrente che imprigiona la mente in cicli senza fine, generando ansia e togliendo presenza al momento. La Psicoterapia e pratiche di consapevolezza aiutano a interrompere questo labirinto e ritrovare leggerezza

30 SET 2025 · Tempo di lettura: min.
Prigionieri dei pensieri

Ti è mai capitato di sentirti come intrappolato in un labirinto senza uscita, dove ogni strada ti riporta sempre allo stesso punto? Così funziona il rimuginio, un pensiero che ritorna di continuo, insistente, quasi compulsivo, capace di togliere il sonno e la serenità. Ti dici che non serve, che dovresti lasciarlo andare, eppure più provi a scacciarlo, più sembra alzare la voce.

Ogni giorno incontro persone che portano dentro questo peso invisibile. Non si vede, non lascia ferite sul corpo, ma logora con la stessa intensità. È una stanchezza sottile che nasce dal continuo lavorio della mente, da quella corsa incessante che sembra non conoscere tregua.

Che cos'è davvero il rimuginio?

Non è una semplice riflessione. Riflettere è sano, ci aiuta a valutare una situazione e ad agire con consapevolezza. Rimuginare invece significa restare bloccati in un pensiero che gira in tondo, che illude di avvicinarsi a una soluzione, ma che, in realtà, non arriva mai a una conclusione.

La parola deriva dal latino ruminare che significa "rimasticare". Proprio come i ruminanti digeriscono più volte lo stesso alimento, così la mente continua a rimasticare lo stesso pensiero, senza ricavarne alcun nutrimento. È un movimento sterile, che dà l'impressione di elaborare, ma in realtà non produce nulla di nuovo.

Questa abitudine mentale ha radici nella nostra evoluzione. Per millenni l'essere umano ha dovuto anticipare i pericoli per sopravvivere. Rimuginare, in quel contesto, era utile, permetteva di prevedere, di prepararsi, di non farsi sorprendere.

Oggi, però, i predatori non ci minacciano più dietro gli alberi. I "nemici" si sono trasformati, scadenze di lavoro, relazioni complicate, giudizio degli altri, incertezze sul futuro. Così un meccanismo antico, che un tempo ci salvava la vita, oggi rischia di diventare un boomerang che ci tiene prigionieri.

Secondo una ricerca dell'Università di Harvard, Killingsworth & Gilbert, Science, del 2010, la nostra mente trascorre circa il 47% del tempo a vagare lontano dal presente. Quasi metà della nostra vita, quindi, la viviamo in un altrove mentale popolato da preoccupazioni e pensieri ricorrenti.

Il rimuginio è parente stretto dell'overthinking, ma non sono la stessa cosa. Il primo è mirato, prende un pensiero doloroso o legato a una paura specifica e lo fa girare in tondo. Il secondo, invece, è più dispersivo e riguarda tutto, anche le scelte più piccole. Il risultato, però, è simile, la mente diventa una macchina che non conosce interruttore.

È come avere un motore sempre acceso, anche quando non dobbiamo andare da nessuna parte.

Il rimuginio non è nato per farci del male. Anzi, in certi momenti della storia ci ha permesso di sopravvivere. Ma ciò che nasce come difesa, se usato in eccesso, può trasformarsi in una prigione.

I costi invisibili sono tanti:

  • il sonno disturbato,
  • il cuore che accelera senza motivo,
  • la tensione che si accumula nel corpo,
  • l'incapacità di prendere decisioni perché ogni scelta appare catastrofica.

Studi pubblicati su Behaviour Research and Therapy dimostrano che chi rimugina molto presenta livelli più alti di cortisolo, l'ormone dello stress e una maggiore predisposizione a sviluppare ansia e depressione. Il prezzo più alto è un altro: il rimuginio ci ruba il presente, impedendoci di vivere davvero ciò che abbiamo davanti.

Oggi, è molto diffuso, perché viviamo in una società che ci spinge a correre senza tregua e, allo stesso tempo, ci lascia sospesi nell'incertezza. I social alimentano il confronto continuo, vite perfette, successi, traguardi raggiunti da altri che sembrano lontani anni luce dai nostri.

In questo terreno fertile, il rimuginio cresce con forza. "E se non fossi abbastanza?" diventa una domanda che echeggia in silenzio dentro molti di noi.

Gli studi mostrano che tendiamo a rimuginare soprattutto la sera. Quando il mondo esterno tace, il mondo interno alza il volume. È come se i pensieri trovassero più spazio per farsi sentire, trasformando la notte in un terreno privilegiato.

Si può imparare, però, a gestire questo meccanismo. Non significa spegnere la mente, ma cambiare il modo di dialogare con essa.

La consapevolezza è il primo passo, accorgersi che siamo intrappolati in un pensiero inutile ci permette di non identificarci più con esso.

La Psicoterapia offre strumenti preziosi per sciogliere questi nodi alla radice. Aiuta a distinguere tra il pensiero che serve e quello che fa male, a lasciar andare l'illusione del controllo, a ritrovare fiducia nelle proprie risorse.

Tre piccoli gesti concreti che possono aiutare subito:

  • riportare l'attenzione al presente attraverso il respiro o la scrittura,
  • tradurre un pensiero in azione, anche minuscola, per interrompere il ciclo,
  • coltivare momenti di silenzio come spazio fertile, non come vuoto.

In Giappone esiste una parola, yūgen, che descrive la bellezza sottile delle cose non visibili. Un concetto che ci ricorda che anche nel vuoto della mente possiamo trovare nutrimento e trasformazione, se impariamo ad abitarlo.

Carl Gustav Jung scriveva: "Ciò a cui resisti persiste, ciò che accetti ti trasforma". È esattamente il cuore del rimuginio, più cerchiamo di combattere quei pensieri, più essi si rafforzano.

Non è un nemico da distruggere, ma un messaggero da ascoltare. Ci parla delle nostre paure, del bisogno di sicurezza, del timore di sbagliare. Ma ci invita anche a fidarci di più della vita e delle nostre capacità.

La prossima volta che sentirai i pensieri urlare dentro di te, fermati un istante e chiediti: "Sto davvero pensando, o sto solo rimuginando?". Può sembrare una domanda semplice, ma la risposta potrebbe aprire il varco verso una libertà interiore più autentica.

Perché smettere di rimuginare non significa smettere di pensare. Significa iniziare a pensare in modo nuovo. Ed è lì, in quel nuovo spazio, che la vita può tornare a respirare con te.

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Scritto da

Dott.ssa Maria Raffaella Pulli

Bibliografia

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