Precari a tempo indeterminato

Il precariato si è trasformato, per molti giovani, in una condizione psicologica di particolare disagio.

19 NOV 2015 · Tempo di lettura: min.
Precari a tempo indeterminato

In un mondo del lavoro sempre più complesso e privo di ogni certezza l'unica cosa che rimane di stabile è solo l'ansia. Il precariato, infatti, non è più inteso solo come una condizione lavorativa ma anche come un vero e proprio stato psicologico ed emotivo. Una condizione che sempre più persone sono costrette a vivere e che di certo non tende a diminuire.

Fino ad oggi istituzioni e osservatori non sempre hanno compreso la portata del fenomeno. Eppure la sindrome da precariato è una condizione ormai riconosciuta dalla Associazione europea disturbi da attacchi di panico (Eurodap). Dai dati diffusi dall'assessorato alla salute del comune di Milano emergono 47 mila lavoratori in difficoltà di cui 80% con sintomi psicologici riconducibili ad un disturbo da lavoro precario.

Le cifre italiane

E se moltiplicassimo questi numeri per tutte le regioni italiane? Probabilmente ci troveremo di fronte un numero enorme di lavoratori in grande difficoltà psichica.

In una ricerca del 2010 condotta da Eurodap su 300 persone, il 70% del campione ha dichiarato di dovere al proprio lavoro la maggior parte dello stress, di questi il 40% è assoggettato al capo per paura di essere licenziato.

Ma qual è l'identikit del giovane precario?

Si tratta di persone che spesso passano la notte in bianco arrivando al mattino a lavoro in ansia e preoccupati di poter ricevere una cattiva notizia. Soffrono di tachicardia, tensioni muscolari, dolori articolari, gastrite, colite, mal di testa, insonnia.

Sviluppano una grande sospettosità sia verso i colleghi sia verso il datore di lavoro, tutti sono potenziali traditori, il luogo di lavoro si trasforma alternativamente in un campo di battaglia ed in un palcoscenico dove mettersi in mostra. Ma ciò che più spaventa e preoccupa è l'impossibilità di trovare la propria posizione nel mondo, di autodeterminarsi.

A cui facilmente segue una condizione di inutilità e di sfiducia, una demotivazione che a poco a poco logora tutte le risorse dell'individuo. È una condizione che non fa distinzioni tra categorie lavorative colpendo sia i lavoratori dipendenti sia commercianti, piccoli imprenditori e professionisti.

Lo spazio di vista personale e relazionale ne risulta condizionato e le quote d'ansia che si accompagnano all'ambiente lavorativo ed al lavoro stesso determinano una modalità depressiva di rapportarsi con tutto ciò che è esterno al proprio spazio personale di vita.

Siamo pronti a gestire quote sempre più grandi di incertezza? A non alimentare la nostra spinta evolutiva? A rinunciare alla progettualità del futuro? Non credo. Proprio per tale ragione una condizione di "precariato durevole" è dolorosa e innaturale.

E visto che nessuno è immune, possiamo provare almeno a difenderci. Ecco alcuni consigli:

  • qualificarsi come persona prima che come lavoratore;
  • provare a dedicare del tempo ad attività piacevoli ed appaganti;
  • porsi sempre nuovi obbiettivi;
  • migliorare la qualità delle relazioni.

Di certo non renderemo stabile ciò che ormai è instabile ma proveremo a liberarci di tutta quest'ansia dando un senso diverso alle nostre giornate

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Scritto da

Anonimo-136240

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