Parole che toccano: il potere delle parole nella Psicoterapia

La parola è lo strumento più importante della psicoterapia. Se il terapeuta riesce a trovare parole che "toccano", allora potrà contattare la parte più intima del paziente.

4 APR 2019 · Tempo di lettura: min.
Parole che toccano: il potere delle parole nella Psicoterapia

«Queste parole mi hanno toccata. Non so dove, ma ho proprio sentito che qualcosa si è mosso dentro. Vorrei abbracciarla», mi dice una giovane paziente alla fine di una seduta in cui, abbiamo, appunto, "toccato" un nucleo doloroso e dato un nome a quel dolore di cui per tanto tempo non si è potuto parlare.

Non credo esista un modo migliore per evocare sia il senso del tatto, sia la vibrazione delle emozioni, sia l'indissolubile legame tra corpo e emozioni.

Non dice "le sue parole mi hanno colpita", dice "mi hanno toccata". Non dice "ho capito", dice "ho sentito". Non dice "grazie", dice "vorrei abbracciarla".

È quello che fa il "linguaggio incarnato" (Quinodoz, 2002), il linguaggio che "tocca" fisicamente ed emotivamente, che non si limita soltanto a comunicare verbalmente pensieri, ma veicola sensazioni e significati.

«L'interpretazione, in altre parole, è un concetto che implica, nella sua essenza la nozione di toccare qualcuno emozionalmente su molti livelli simultaneamente» (Orbach, 2006, p.xvii).

E a questo punto sono io ad essere toccata dalle sue parole. E mi sento in dovere di fare una riflessione sulla scia delle sue potenti suggestioni.

Le parole che toccano hanno il potere di far risuscitare fantasmi corporei, di trovare il senso emotivo di esperienze sensoriali o corporee sedimentate e di creare i presupposti per il lavoro del pensiero, della simbolizzazione e della significazione dell'enigmatico che emerge in seduta grazie all'incremento pulsionale indotto dal setting. Le parole, quelle giuste, quelle che toccano, sono in grado di creare un contatto emozionale forte e di elicitare, oltre che pensieri ed elaborazioni, risposte anche somatiche. Quindi, proprio come dice la mia paziente, le parole, metaforicamente, toccano e possono essere vissute come un equivalente del tocco vero e proprio: da qui la richiesta dell'abbraccio.

Il toccare e il parlare sono convenzionalmente visti come antitetici. Il parlare è associato al pensare, mentre il toccare è visto come una primitiva forma di comunicazione. In una implicita gerarchia dei sensi, in contrasto all'immediatezza del tocco, la vista presuppone una distanza, mentre il linguaggio, al vertice della gerarchia, evoca la non presenza dell'oggetto, lo rappresenta in parole e apre al pensiero e al simbolo. Non dimentichiamo però che le parole fanno parte della vita del neonato fin da subito e costituiscono il suo cibo psichico, che le esperienze precoci hanno fin da subito una dimensione sensoriale associata alla voce della madre: sono i suoni che madre e bambino si scambiano in un momento inaugurale comunicativo; il bambino urla il suo bisogno e le parole della madre significano il bisogno attraverso quella che Freud chiama "funzione dell'intendersi".

Nel rapporto analitico la comunicazione, per scelta contrattuale, passa in maniera esclusiva attraverso la parola e, se comunemente si dice che le parole servono per stabilire un contatto e un'intesa, ciò è tanto più vero nella situazione analitica. Freud stesso, fin dal principio, ha portato l'attenzione sulla parola come strumento peculiare della Psicoterapia:

«Originariamente le parole erano magie e, ancora oggi, la parola ha conservato molto del suo potere magico. [...] Non sottovaluteremo quindi l'uso delle parole nella Psicoterapia» (1915-1917, p. 17).

Freud stesso sosterrà che «Nel trattamento analitico non si procede a nient'altro che a uno scambio di parole tra l'analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta di esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi emotivi. Il medico ascolta, cerca di dare un indirizzo ai processi di pensiero del paziente, lo esorta sospinge la sua attenzione verso determinate direzioni, gli fornisce alcuni chiarimenti e osserva le reazioni di comprensione o di rifiuto che in tal modo suscita nel malato» (p. 201).

Accade che i pazienti non si accontentino delle parole. Il conflitto è complesso, ma può essere elaborato proprio con le parole. Il terapeuta cerca di aiutare a simbolizzare, ponendo su di un piano psichico ciò che il paziente tende ad agire su un piano concreto e, fondandosi sulle sue convinzioni, in particolare su quella che il linguaggio può toccare, mostra la direzione che conduce alla realtà psichica. Il paziente fa delle richieste concrete ("vorrei abbracciarla"), ma è importante andare oltre il dato di realtà e fluttuare dal dato reale al dato simbolico: la risposta che il terapeuta dà deve tener conto del duplice livello.

I gesti che toccano sono riservati a un mondo concreto e reale limitato a persone specifiche e, proprio per questa limitazione, hanno valore; il toccare con le parole colloca il senso del toccare su un piano psichico.

Ci sono pazienti che rimproverano il terapeuta di non ricorrere ai gesti e si lamentano della sua freddezza, ma «sono convinta che sia fondamentale non toccare fisicamente un paziente» (Quinodoz, 2002, p.136) perché il terapeuta è il garante del suo bisogno di integrazione e per questo non dimentica mai l'esistenza di ciò che il paziente ha eliminato. Di fronte alla richiesta di un abbraccio, l'analista non dimentica che inconsciamente ha anche il desiderio intenso di non essere abbracciato affatto e se l'analista esaudisse questo desiderio eliminerebbe il desiderio alla base, dice la Quinodoz. D'altro canto il paziente ha bisogno che l'analista prenda sul serio questo desiderio per cercarne il senso insieme a lui. Infatti, tanto più il paziente sarà sicuro che il proprio desiderio non verrà esaudito, tanto più sarà libero di esprimerlo e trovarne il significato.

Il paziente che sente il bisogno di essere preso in braccio come un bambino di 10 mesi, comunque, non è un bambino e va incontrato con parole che svolgano la funzione di braccia mentali che lo sostengano e che lo aiutino a iniziare a sviluppare una vita psichica. Forse la sua esperienza è stata quella di essere afferrato da urgenti e meccaniche braccia materiali, troppo indifferenti a quello che sentiva, o quella di una mancanza di braccia e quindi di persone interessate alla sua sofferenza soggettiva.

Ma l'analisi non è fatta solo di questi momenti magici. «Non è così. Quanti tentativi e incomprensioni per un'interpretazione che tocca!» (Quinodoz, 2009, p. 18). La difficoltà di trovare le parole giuste sta nel fatto che le persone non sono fatte di un sol pezzo ed è necessario trovare parole che tocchino i loro diversi aspetti, parole che raggiungano le loro diverse parti, comprese le parti folli. La parte folle non è toccata dallo stesso linguaggio che tocca il resto della persona. Poiché non sono le stesse metafore che le parlano e non sono le stesse parole che la toccano, è necessario che l'analista si rivolga a questa parte nella lingua che essa comprende, senza dimenticare di parlare nello stesso tempo anche alla parte più sana del paziente.

Ricorrere a immagini e metafore è un buon modo per avere accesso al paziente, fondamentale per rimettere in moto la capacità simbolica che in alcuni pazienti è compromessa. Il discorso dell'analista non ha bisogno di dare dimostrazioni razionali, informazioni o consigli, il suo scopo principale è quello di mobilizzare l'apparato psichico ("Qualcosa si è mosso"), di avvicinare il paziente al suo mondo fantasmatico, di sciogliere i nodi del pensiero o di costruire il pensiero stesso. Le immagini e le metafore che l'analista usa non devono essere proprie, sarebbe un peccato che imponesse qualcosa al paziente senza partire da ciò che il paziente propone. L'analista deve essere un custode dinamico di ciò che il paziente ha depositato in lui, usare le sue parole, far riferimento a ciò che ha portato nelle sedute precedenti.

Concludo con le parole di Anzieu (1986):

«È solo attraverso il suo discorso che l'analista può toccare il suo paziente [...] L'analista deve trovare parole che sono equivalenti simbolici di ciò che mancava negli scambi tattili tra il bambino e la madre. Attraverso queste parole [...] si può infatti toccare il corpo del paziente» (p. 86).

Articolo scritto dalla Dott.ssa Linda Cervia, iscritta all'Ordine degli Psicologi del Veneto

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Scritto da

Dott.ssa Linda Cervia

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Commenti 2
  • Silvia Pensato

    Molto bello Davvero ben scritto, con quell'uso sapiente del linguaggio che anche qui veicola pienamente le azioni e le trasformazioni, legate al toccare, e al muovere nel paziente, insite nel percorso analitico, sviluppato tramite le parole. (Silvia, Danzaterapeuta)

  • Bencivinni cristina

    Parole sante .. per rimanere nel argomento

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