Parlano gli antenati

Se potessimo rappresentarla con un oggetto, probabilmente uno “zaino” descriverebbe al meglio tutta l’eredità che ognuno di noi porta con sé dai propri avi.

13 GEN 2017 · Tempo di lettura: min.
Parlano gli antenati

Se potessimo rappresentarla con un oggetto, probabilmente uno "zaino" descriverebbe al meglio tutta l'eredità che ognuno di noi porta con sé dai propri avi. Questa metafora, già di per sé, evoca un contenitore che può essere ricco di molti strumenti e aspetti utili, ma anche essere nello stesso tempo - se troppo ingombrante - pesante sulle spalle di chi lo porta.

Ognuno di noi è originato da un padre e da una madre, ma nello stesso tempo arriva da nonni paterni e nonni materni, ancora più indietro da bisnonni, trisnonni e così via, fino a generazioni di cui ignoriamo completamente l'esistenza, ma che - inevitabilmente - convivono in noi. I nostri antenati alloggiano dentro di noi, all'interno del nostro Dna ma anche in un insieme di avvenimenti, alleanze, regole, lutti, traumi, riti, segreti, di cui siamo per la maggior parte inconsapevoli. Ogni famiglia è unica, ha una storia peculiare e specifica che permane nel tempo, e che trascende non solo i secoli che scorrono ma anche i luoghi che cambiano e le generazioni che si susseguono. Pensate a quante cose noi agiamo "così" senza pensarci, perché nella nostra famiglia si è sempre fatto in un certo modo da generazioni, anche se dentro di noi non sappiamo perché lo facciamo o non avremmo nemmeno voglia di farlo. Ci sono molte cose che ognuno di noi mette in atto come automatismi, senza rendersi conto che possono pesare o addirittura possono non avere più senso. Eppure il senso evidentemente c'era, per qualcuno prima di noi che ce l'ha tramandato, per i nostri antenati, ma forse non c'è più oggi per noi, che viviamo la nostra vita in un mondo e in un tempo diversi.

Ognuno di noi conosce molte storie legate alla propria famiglia e ai propri avi, sono le storie tramandate, quelle che ci hanno raccontato i nostri nonni e che ormai assomigliano quasi a delle leggende; ma ancora più importanti sono tutte le storie e vicende (e sono la maggior parte) che noi non conosciamo, ma che continuano ad agire in noi "potenziandoci" o, viceversa, togliendoci "energia" (come una sorta di ferita aperta che sanguina e che nemmeno sappiamo di avere). È il grande "libro dei conti" che appartiene ad ogni famiglia e che contiene i debiti e i crediti che vengono tramandati tra le generazioni, nella storia familiare. In fondo nessuno di noi dimentica completamente, l'oblio - almeno per l'inconscio - non esiste. Il male che ci viene fatto, a noi o alla nostra famiglia, o il male che noi abbiamo fatto ad altri, i lutti, i tradimenti, i traumi, non possono essere dimenticati. Questo ovviamente non ha nulla a che vedere con il concetto di "colpa", anche perché un avvenimento che potremmo considerare sbagliato o malvagio oggi poteva essere dovuto semplicemente all'educazione di quell'epoca o di quella famiglia. È chiaro che nessuno può cambiare i fatti del passato, ma possiamo ad esempio essere in grado di perdonare, pur senza dimenticare.

Ogni famiglia ha le sue "patate bollenti" che passa di mano in mano, di generazione in generazione, che sono così ustionanti che vengono passate avanti velocemente per sbarazzarsene, delegando il peso di un debito o di un segreto alla generazione successiva. Si potrebbe semplicemente lasciarla cadere questa "patata", sarebbe forse la soluzione migliore, ma si preferisce di solito passarla ad altre mani, che dunque si bruciano, e così via in una lunga catena. Occorre accettare i propri antenati, per tutto quello che hanno fatto e per tutto quello che hanno subito. Quando ad esempio si viene a sapere che uno dei nostri avi ha commesso dei fatti "inaccettabili", sarebbe giusto - per chiudere questo "conto" - chiedere perdono a suo nome, simbolicamente o "davvero". L'obiettivo è che la "patata bollente" smetta di essere trasmessa alle generazioni future, bruciando altre mani.

Ognuno di noi potrebbe fare l'esercizio di riflettere su ciò che ci fa arrabbiare che riguarda la nostra famiglia vicina o lontana, oppure sulle ingiustizie subite, sulle morti irrisolte o i drammi passati. E dovremmo chiederci, per ognuno di questi fatti che ci muove rabbia o dolore, se c'è la possibilità di perdonare o superare queste emozioni, anche senza doverci necessariamente riconciliare con colui che ci ha offeso o ha offeso chi amiamo. Perdonare infatti non significa per forza riconciliarsi, non si dimentica ciò che è successo, ma semplicemente si molla la presa, ci si alleggerisce di una energia negativa, si rinuncia ad esigere una riparazione, ci si libera del rancore.

In fondo, non esistono famiglie senza segreti, senza rancori, dove tutti i membri sono candidi come angeli o senza scheletri nell'armadio. I nostri genitori e i nostri nonni spesso tentano, pensando di farlo "per il nostro bene", di tenere nascosti ai figli e ai nipoti certi "traumi" : "non ti raccontiamo della guerra perché è stata troppo dolorosa", "è per il tuo bene che non ti diciamo perché il nonno è stato in prigione", "è per il tuo bene che non ti portiamo al cimitero". In alcuni casi le circostanze della vita sono state così difficili che i genitori decidono di non parlarne: alla prima generazione si tratta di un "non detto", alla seconda generazione diventa un "segreto di famiglia", fino che - arrivati alla terza - si trasforma in qualcosa che non si riesce neppure a pensare. La maggior parte delle persone ignora tutto questo, ma continua a portare avanti la "patata bollente" di generazione in generazione, fino a che il lutto viene elaborato. Prima o poi arriva quella generazione dove qualcuno saprà accettare, perdonare, rielaborare o semplicemente restituire ciò che non è proprio. Ciò produce sempre un effetto liberatorio. Soprattutto il fatto di poter finalmente dare "il proprio nome alle cose", rivelare i segreti e muovere le energie, permette alle persone di liberarsi e, in alcuni casi, anche alla loro stessa vita di cambiare.

Ad esempio perdonare un nonno può permettere ad un nipote di sentirsi libero di costruire una propria famiglia o di aprire una propria attività lavorativa. Chiudere i conti con il passato, prendere le distanze dalle azioni che non sono nostre, smettere di assegnare delle colpe o di assumerci responsabilità non nostre, smettere di vergognarci per i nostri e gli altrui comportamenti sono tutte azioni che - in un'ottica psicologica e transgenerazionale -, permettono un passaggio e un processo di crescita: tagliare i cordoni ombelicali, diventare adulti, e scegliere se stessi.

«Non vivo per me, ma per la generazione che verrà», V. Van Gogh

Dott.ssa Sabina Zapponi, Psicologa e Psicoterapeuta dello Studio Itaca

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