Mangio, dunque esisto: cibo e senso di sé

Funzione del cibo, iper-empatia e senso di sé nelle anomalie del comportamento alimentare e nell'obesità.

20 OTT 2016 · Tempo di lettura: min.
Mangio, dunque esisto: cibo e senso di sé

«Mangiare è ritenuto da tutti l'atto più banale che ci sia. Eppure […] Serve a definirci più di qualunque altra cosa. Ci definisce come esseri umani, appartenenti a una certa epoca, cultura, categoria sociale, famiglia e, in definitiva, come individui unici e irripetibili» (G. Apfeldorfer).

Mangiare ci definisce innanzitutto perché il cibo plasma il nostro corpo, ne determina la forma attraverso il peso. L'immagine del corpo è l'immagine mentale che ci facciamo del corpo, inseparabile dal nostro stare al mondo. Noi siamo il nostro corpo, non abbiamo un corpo. Pertanto tutto ciò che altera la nostra immagine corporea, altera profondamente la nostra identità.

Anomalie del comportamento alimentare

Quando si parla di disturbi del comportamento alimentare, si pensa subito all'anoressia e alla bulimia, oppure alla "moderna" ortoressia (sindrome caratterizzata dall'ossessione per l'alimentazione sana). In verità sono moltissimi gli stili alimentari che possono assumere carattere compulsivo. Ecco di seguito alcuni esempi:

- la "night eating syndrome", propria di chi si sveglia e non riprende sonno senza aver consumato un pasto in uno stato di dormiveglia;

- il grignottage, ovvero il mangiucchiare piccole quantità di cibo, soprattutto dolci e grassi, quindi alimenti altamente calorici, durante buona parte della giornata;

- l'iperfagia prandiale, ovvero l'assunzione di grandi quantità di cibo durante i pasti in preda ad una sorta di frenesia.

Spesso questi stili alimentari si associano a sovrappeso ed obesità.

Spiegazioni scientifiche

Moltissime sono le teorie psicologiche e mediche che hanno tentato di inquadrare e definire la causa delle anomalie del comportamento alimentare.

Per quanto riguarda l'ambito psicologico, si è evidenziato il ruolo de:

- l'oscillazione fra il bisogno di relazioni affettive e la paura della fusione con l'altro;

- la mancanza di empatia del genitore nel rapporto con il figlio durante i primi anni di vita;

- lo stress, non solo inteso come evento traumatico ma anche come susseguirsi di piccoli eventi stressanti nel quotidiano;

- la difficoltà a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, in particolare la collera;

- le relazioni familiari invischiate, caratterizzate da iperprotettività e doppi legami, oppure caotiche.

Ciò che emerge con chiarezza è che non esiste una causalità lineare (del tipo causa > effetto) fra questi elementi e le anomalie del comportamento alimentare, né una categoria potrà mai descrivere in modo esaustivo il modo di stare al mondo delle persone.

Obesità e riconoscimento di sé

La persona obesa vive in un mondo in cui tutto è fatto per i magri, dagli abiti ai posti a sedere nel cinema, nel bus e nell'automobile, e ciò destruttura l'immagine del corpo.

Non solo. Anche l'esperienza sensoriale che la persona obesa fa del proprio corpo ha delle sue specificità: il peso del corpo è vissuto in modo più intenso, alcune zone sono sentite più di altre (quelle soggette a frizione o appoggio), il movimento è accompagnato dal sentire la forza di inerzia e alcuni movimenti diventano talvolta impossibili.

Se l'esperienza della propria fisicità non è piacevole, la persona tende a disinvestire il proprio corpo, cerca di entrarvi in contatto il meno possibile, riduce al minimo le esperienze che possano in qualche modo farle sentire il corpo, non se ne cura.

Inoltre, se gli altri fanno da specchio per l'identità personale di ognuno, ciò non avviene per la persona obesa che fa fatica a riconoscersi nei corpi degli altri, percepiti come troppo diversi dal suo, e allo stesso tempo disinveste sul proprio corpo che vive come una massa indifferenziata, una zavorra talvolta. Il cattivo riconoscimento di sé genera quindi spesso un super investimento del mondo esterno.

Iper-empatia e funzione del cibo

Poiché quello che riguarda sé è assai spiacevole, alla persona obesa spesso non resta che investire sull'esterno: ella è di frequente molto attenta agli altri, capace più della norma di cogliere emozioni e mettersi negli altrui panni, in altre parole è iper-empatica [1].

Questa bellissima dote ha però un doloroso rovescio della medaglia perché la persona con un senso di sé incerto, al contatto con l'altro, si trova invischiata e risucchiata dai suoi bisogni o vissuti, percepisce il rischio di essere "divorata".

Ella non si sente più, arriva ad essere talmente lontana da se stessa da aver bisogno di qualcosa che la riporti in contatto con sé, per sentire di esistere. E questo qualcosa è il cibo.

Il cibo, la sua ingestione, generano sensazioni corporee e pertanto ristabiliscono un senso di interiorità: la pienezza, talvolta anche il dolore addominale (come accade ad alcuni iperfagici prandiali), dà prova alla persona della sua esistenza.

Ecco perché accade che le persone iper-empatiche, spesso molto impegnate nella vita di tutti i giorni (grande investimento sull'esterno che tiene occupata la mente), alla fine della giornata e in preda alla stanchezza, cedano a comportamenti alimentari scorretti come le abbuffate: l'assenza di riferimenti interni e la lontananza da quelli esterni lascia spazio al vuoto, un vuoto che va riempito.

Ma il cibo ha anche funzione auto-consolatoria quando la persona si sente inadeguata rispetto a se stessa, oppure serve come tentativo di chiusura che protegge dall'invadenza del mondo (l'eccesso ponderale crea spessore fra l'io e il mondo); mangiare può anche rappresentare uno spazio di libertà in un mondo di costrizioni (come spesso accade nei casi di anarchia alimentare o stili alimentari con eccessi).

Cogliere il significato e la funzione che il cibo ha per la persona è fondamentale per dare senso alla difficoltà che ella ha spesso nel cambiare stile alimentare e nel dimagrire.

Difficoltà nel controllo del peso

La persona obesa spesso non si identifica col proprio corpo e si sente come schiacciata dal peso del grasso che nasconde il suo vero Io. Ella nutre dunque l'aspettativa che, dimagrendo, risulterebbe più amabile e riuscirebbe ad amarsi.

I tentennamenti nelle diete possono in questi casi essere motivati dalla paura di rinunciare a quest'illusione: dimagrendo la persona si esporrebbe alla possibilità di confrontarsi con una realtà insostenibile, col rischio di sperimentare angoscia e depressione.

Non solo. Nel caso della persona iper-empatica, che vive il mondo senza riuscire a mettere una distanza di sicurezza fra sé e gli altri e che è per questo sempre esposta al pericolo dell'invasione, rinunciare a ciò che la distingue (il sovrappeso) può risultare pericoloso in quanto alimenta l'angoscia del dissolvimento, della confusione fra sé e il non sé. In ogni caso, non esistono ricette uguali per tutti.

Ciò che è importante, per i professionisti impegnati nel sostegno alle persone con anomalie del comportamento alimentare, è adottare una visione ampia che consenta di cogliere la complessità dello stare al mondo della persona, per intervenire proprio laddove serve, a garanzia di un risultato.

Note

[1] Non tutte le persone iper-empatiche sono obese né tutte le persone obese sono iper-empatiche. L'iper-empatia è comunque una caratteristica personale che sovente si associa a problematiche di dipendenza, sia essa da cibo, da sostanze, da gioco, ecc.

Bibliografia

  • Apfeldorfer G., 1993, Mangio, dunque sono. Obesità e anomalie nel comportamento alimentare, Marsilio ed.
  • Ricca V., Mannucci E., Rotella C.M., 1996, Il comportamento alimentare nell' Obesità, EDRA ed.
  • Rotella C.M., Ricca V., Mannucci E.,1997, L'obesità. Manuale per la diagnosi e la terapia, SEE ed.

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