L’importanza di non farsi coinvolgere emotivamente nei casi

Per gli psicologi è fondamentale imparare qualcosa che non insegnano in nessuna facoltà e che si ottiene solo con la pratica: il giusto coinvolgimento durante la terapia.

17 LUG 2018 · Tempo di lettura: min.
L’importanza di non farsi coinvolgere emotivamente nei casi

È positivo farsi coinvolgere nei casi? A volte il coinvolgimento può essere troppo o troppo poco. Oggi vi spiego come farsi coinvolgere nella misura giusta nei casi.

Essere psicologi non è un compito facile, anche se c'è chi ancora pensa che per esserlo bisogna solamente sedersi, ascoltare e farsi pagare. Ascoltiamo ogni giorno molte testimonianze, alcune più gravi di altre. Indipendentemente da ciò, tutte comportano un grande bagaglio emotivo e sofferenza. Chi va dallo psicologo ripone la sua fiducia in una persona che non conosce e si aspetta che possa aiutarlo a risolvere i suoi conflitti e ad avere una vita più soddisfacente. Per questo, abbiamo una grande responsabilità nei confronti dei pazienti.

Tuttavia, questo non è il principale handicap dell'essere psicologo. Bisogna imparare qualcosa che non ti insegnano in nessuna facoltà e che si ottiene solo con la pratica: il giusto coinvolgimento nei casi.

Cosa s'intende quando si parla di giusto coinvolgimento nei casi?

Soprattutto quando sei uno psicologo alle prime armi, con poca esperienza, vuoi fare del tuo meglio e, a volte, questo porta a un coinvolgimento eccessivo nei casi e alla fine ti ritrovi a soffrire con il paziente e, di conseguenza, non puoi fare un buon lavoro terapeutico perché hai perso oggettività.

In altre occasioni, al contrario, fai così tanta attenzione a essere corretto e a non sbagliarti che smetti di comportarti in maniera naturale durante le terapia che, di conseguenza, non funziona perché è troppo fredda.

Per spiegarmi meglio, racconterò la mia esperienza personale pensando a quando iniziai a lavorare come psicoterapeuta e al mio percorso per ottenere il giusto coinvolgimento.

Quando terminai l'università, la mia sensazione era quella di non avere la più pallida idea di nulla. Si suppone che quando finisci la facoltà dovresti avere gli strumenti necessari e sufficienti per aprirti uno studio o lavorare per altre persone. Nonostante ciò, io mi sentivo completamente fuori luogo (infatti, attualmente, confermo che l'università da sola non è sufficiente per poter intraprendere la professione e che è fondamentale e imprescindibile specializzarsi attraverso un master).

Per caso, trovai una formazione pratica di due anni dove, sin dall'inizio, sei a contatto con i pazienti e sei costantemente controllato da vari professionisti che analizzano dettagliatamente ogni sessione. Questo tipo di formazione, nonostante la paura di essere sempre nell'occhio del ciclone, mi aprì le porte della fiducia nella mia professionalità. Durante quel periodo, mi insegnarono ad agire in caso di diverse difficoltà e circostanze. Mi insegnarono anche a mantenere le distanze dai pazienti ma, allo stesso tempo, mostrarmi vicina (un compito piuttosto complicato a causa della contraddittorietà).

Tuttavia, quando iniziai a lavorare da sola, osservai che molti pazienti non riuscivano a creare un vincolo terapeutico e abbandonavano la terapia dopo poche sedute. Non capivo il perché, visto che stavo applicando alla lettera tutto quello che mi avevano insegnato. Com'era possibile? Così, passai all'estremo contrario, farmi coinvolgere troppo. Ricordo ancora il paziente con cui mi successe. Era un uomo con leucemia che, sin dall'inizio, mi ispirava molta tenerezza. Probabilmente, per la complessità della sua situazione, perché era solo e io volevo fare tutto il possibile per aiutarlo, mi feci coinvolgere troppo.

Quando uscivo dal lavoro continuavo a pensare a come aiutarlo e, una volta, ero talmente assorta nella seduta che passai due ore con lui, il doppio del tempo raccomandato per la terapia. Tuttavia, un giorno, mi resi conto che non era professionale ciò che stavo facendo (lo chiamai varie volte, come se fossi una sua amica, per chiedergli come stava in ospedale). Riuscii a fermarmi e a cambiare la relazione. Ciò mi ha fatto capire che avevo bisogno di ulteriore formazione. Per questo, iniziai un altro master dove mi aiutarono a farmi coinvolgere il giusto, cioè a essere empatica ma non troppo e, allo stesso tempo, naturale e me stessa (prima cercavo di farmi vedere molto professionale). Arrivare a una via di mezzo è complicato e richiede esperienza.

Cosa puoi fare per avere un giusto coinvolgimento nei casi?

Sia farsi coinvolgere troppo che troppo poco non è positivo per la terapia ed è dannoso sia per il paziente che per te come professionista. Per questo, esporrò di seguito alcuni consigli per raggiungere questo equilibrio.

Stabilisci le ore concrete per la revisione dei casi

All'inizio è normale che il tuo tempo libero si riempia con la revisione dei casi. Pensi a ciò che è successo durante le sedute, ne parli con i colleghi per chiedere un'altra opinione, ricontrolli ciò che è successo durante la terapia e cerchi strategie da applicare con il paziente. È tutto ok, però è importante trovare un equilibrio e non occupare troppo tempo libero con il lavoro. Ricorda che devi staccare dal lavoro come qualsiasi altra persona.

Lavora sull'empatia

Per essere un buon professionista nel campo della psicologia, è imprescindibile essere empatici. È necessario mettersi nei panni della persona e pensare come lei pensa per poter comprendere le situazione che ha vissuto. Tuttavia, quando la seduta finisce, bisogna fare reset. Non puoi iniziare un'altra seduta pensando al paziente precedente. All'inizio, può essere utile lasciar passare un po' di tempo tra una visita e l'altra per poter pensare a un'altra cosa, controllare il cellulare e poi pensare al caso del paziente seguente.

Se hai amici psicologi, cerca di parlare il meno possibile dei tuoi casi

Un conto è avere un dubbio e volerlo risolvere, un altro è vedere gli amici e continuare a "lavorare". Come i medici quando appendono i camici prima di andare a casa, devi fare lo stesso quando finisci la tua giornata. Anche se non esci con psicologi, se vedi altri amici, cerca di essere te stesso, smetti di essere psicologo per un po'.

Cerca di essere naturale con i pazienti ma ricorda che non sono tuoi amici

Il tipo di lavoro ti porta a un certo coinvolgimento emotivo. Nonostante ciò, devi cercare di pensare con oggettività, ossia devi pensare a come aiutare questa persona. Se ti comporti come un amico, non starai svolgendo la tua funzione e il tuo lavoro non sarà buono. Per questo, cerca di seguire il codice deontologico e non saltare gli aspetti etici fondamentali.

Controlla i casi più difficili

Non siamo onnipotenti. A volte, abbiamo bisogno di aiuto esterno. Non avere paura di farlo, soprattutto se credi di essere troppo coinvolto o se hai problemi con qualcuno. L'opinione di un altro professionista ti aiuterà a svolgere un buon lavoro.

Se vuoi ricevere maggiori informazioni sul tema, puoi consultare il nostro elenco di professionisti esperti in psicoterapia.

Traduzione dell'articolo di Encarni Muñoz Silva pubblicato su MundoPsicólogos.

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