L'identità e le sue rappresentazioni

Questi spunti vogliono analizzare da un punto di vista psicologico, le raffigurazioni artistiche inerenti alla coppia ed in special modo all'unicità e meraviglia del rapporto materno.

15 SET 2014 · Tempo di lettura: min.
L'identità e le sue rappresentazioni
Fermo restando che la femminilità ha sempre evocato diversificate e contraddittorie raffigurazioni estetiche, differentamente dalla rappresentazione del maschile rimasta pressoché immutata nel tempo, gli esempi offerti dall'arte greca, culla della nostra civiltà, suggeriscono tuttavia che la bellezza appartiene parimenti sia al maschile, sia al femminile.

Ed è questa, io penso, la considerazione più vitale e prolifica per un approccio globale al mondo della rappresentazione.

Kenneth Clark nel suo trattato sul nudo, parla della contemplazione estetica della persona amata come preludio della nascita della bellezza ideale. Questa affermazione potrebbe riassumere i problemi sollevati fino ai giorni nostri dalla psicologia della creatività. Oppure, in altre parole, significare che la natura supera l'arte.

La madre ed il seno sono per il bambino appena venuto alla luce la rappresentazione del mondo, ma anche chi l'accudisce: la figura maschile. Quando il bambino nasce, l'unica identificazione è la madre, ma con accanto un padre che veglia. E la figura interiore, fantasmizzata dal neonato è quella dei due genitori combinati e dei loro sessi fusi, che solamente nel tempo, egli potrà differenziare.

Tanto la donna partecipa del maschile, quanto l'uomo del femminile, nonostante le sensazioni cenestesiche primarie della generativita, siano sentite all'interno del corpo femminile o a contatto col seno; un corpo contenente tuttavia un fallo paterno.

E' la fantasia o la sua matrice, il fantasma, che a contatto con la realtà della cura e dell'amore, creerà se stessi, uomo o donna che siano, attraverso l'incrocio, la fusione e la successiva differenziazione della sessualità.

Rifacendoci alla raffigurazione mentale del cerchio da parte del bambino, dopo l'acquisizione del proprio sé, circa a sei mesi di vita, e dello sviluppo successivo di questo disegno-simbolo, che diverrà un viso o un pupazzo e poi il corpo  della madre ed  del padre, Eugenio Gaddini scrive:"Questo lavoro dell'Io allontana sempre più dalla coscienza la prima immagine mentale del sé corporeo.

Lo sviluppo successivo dell'Io e tutti di processi inerenti alla crescita rendono questa immagine sempre più profonda ed inaccessibile. Direi che nella norma, per la coscienza dell'Io, tutto ciò che l'ha preceduta nella mente è considerato come un pericolo rispetto al proprio vivere."

Spingendoci ancora più in là, seguendo questa argomentazione, citando Donald Meltzer, scriviamo:"... se pensate la posizione schizoparanoide non come primitiva, ma come posizione in cui ci si ritira per proteggerci dall'impatto con la bellezza dell'oggetto amato... la posizione schizoparanoide è una posizione difensiva, è sempre una difesa contro il dolore della posizione depressiva... L'essenza stessa della posizione depressiva è questa domanda:" All'interno è bello?".

E' nella posizione depressiva di fatto, che il bambino piccolo verso i sei mesi durante lo svezzamento, riconoscendo la figura materna nella sua interezza comincia ad avere la debole consapevolezza del suo essere separato e al contempo è sempre più forte, la spinta ad esplorare il mondo ch'egli vive come infinitamente nuovo.

Se la cura materna o genitoriale, non è stata sufficientemente buona da portarlo ad un giusto distacco, egli si ritirerà nella posizione in cui ancora non riconosceva il volto materno, ma solamente le due figure genitoriali confuse, domandandosi come asserisce Meltzer se all'interno sia veramente bello e non essendo maturato al punto di separarsi, si chiuderà in se stesso, scindendo la propria personalità per non vivere il dolore che il riconoscimento dell'altro comporta, così come l'amore.

I greci preferirono in generale amare l'efebo, come fosse stato la concretizzazione più accessibile nella realtà dell'Ermafrodito, altamente venerato per l'unione in un'unica figura dei due sessi come possibilità di rimanere sempre vicini o fusi nell'amore, ma "Efebo" è la traduzione del nome greco, Hermes, che significa giovanetto o atleta. Hermes tuttavia, era anche il dio dell'amore e della fecondità.

I greci inoltre ritenevano che la necessità, la Nemesi fosse più forte della bellezza del cerchio e dell 'unione. L'idea della morte li soprafaceva. Se è vero pero, che Narciso specchiandosi, simboleggia la ricerca della bellezza estetica, solamente sublimando l'efebo che è in noi o considerandolo come il dio della fecondità, non ci sarà più la morte di Narciso tramutato in un fiore.

Se non riusciamo quindi a sopportare la bellezza dell'esistenza dell'alterità, è solamente perchè non riconosciamo la potenza della nostra generatività.

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