La "sindrome della brava bambina": mi faccio carico di responsabilità, mi adatto per poi essere trattata male. Come se ne esce?

Cosa ci succede quando viviamo e scegliamo in funzione degli altri? Come possiamo rompere la spirale dell'approvazione ed essere finalmente libere?

15 DIC 2020 · Tempo di lettura: min.
La "sindrome della brava bambina": mi faccio carico di responsabilità, mi adatto per poi essere trattata male. Come se ne esce?

Mi capita sempre più spesso nel mio percorso di trasformazione delle relazioni, di avere a che fare con persone (di solito donne, ma non necessariamente) che vivono quella che prende il nome di "sindrome della brava bambina".

Le caratteristiche di chi vive la "sindrome della brava bambina"

Si tratta di quelle persone che agiscono comportamenti accomodanti, cercando di adattarsi al meglio alle richieste esterne (specie se della famiglia), tendono a mettere in secondo piano i propri desideri dando più valore ai bisogni degli altri. Quest'ultimo comportamento è molto importante perché è quello che costa l'etichetta di "egoista e menefreghista" qualora non venga agito.

Penso, ad esempio, a una donna che gestiva un negozio a livello familiare e che, nonostante venisse trattata male dal cognato e dalla sorella, continuava a non reagire e farsi carico anche delle loro responsabilità.

Le emozioni di chi vive la "sindrome della brava bambina"

Di solito quando si è in questa dinamica le emozioni prevalenti sono due.

  • Ansia: emozione che sale quando l'altra persona appare critica, "musona" o distante. L'ansia spesso si accompagna a domande del tipo: "cosa ho fatto di sbagliato?". La risposta che segue spesso è autocolpevolizzante: "forse non sono stata abbastanza tempo con lei/loro"; "forse non ho dato importanza a…". L'ansia si lega anche alla frustrazione, spesso inconsapevole, di agire in funzioni degli altri e non di sé. Non è raro che da ciò derivino poi gli attacchi di panico.
  • Senso di colpa: un grande classico che entra in gioco quando si "osa" dare più spazio a se stesse. Mi viene in mente una ragazza che lavora all'estero, non ha modo di rientrare in Italia per Natale a causa di problemi connessi al lavoro e dai suoi parenti sta ricevendo messaggi di disapprovazione relativamente ai suoi comportamenti ritenuti menefreghisti verso i suoi genitori. La ragazza se da un lato ha chiare le motivazioni, i bisogni e le emozioni che guidano le sue scelte, dall'altro lato non può far a meno di ascoltare la vocina interna che dice: "egoista e menefreghista". Chiaramente però quella vocina non porta il messaggio di un reale bisogno quanto il messaggio di un forte giudizio.

Le scelte di chi vive la "sindrome della brava bambina"

Ciò che spesso accade è che la persona che agisce questa dinamica si trova a fare scelte più condizionate da come gli altri la vedono piuttosto che in linea con le proprie inclinazioni. Generalmente si tratta di persone che nella loro storia di vita hanno imparato 3 cose.

  • Non si esprime il dissenso e tantomeno la rabbia. Era proibito disobbedire nella famiglia di origine oppure il dissenso veniva visto come debolezza o come problema o ridicolizzato.
  • Si ritiene che quanto sentenziato dagli altri sia più vero di ciò che deriva dal proprio sentire. "Mi dicono che sono single perché ho un brutto carattere ma hanno ragione"; "mi dicono che me ne sto fregando di mia madre per il mio lavoro; ma forse è vero e io non me ne accorgo". E' come se gli altri venissero ritenuti "giudici" più imparziali e quindi più affidabili.
  • Quando qualcuno si arrabbia o si distacca si agisce in modo da fargli cambiare idea sul nostro conto; a volte anche in modo irruento. "Non è giusto che lei pensi che io sono una menefreghista, lei non capisce che ho sempre fatto di tutto per mia madre". Una frase come questa sembra legata all'autoaffermazione di sé, in realtà è sempre nella logica disfunzionale perché ha la finalità di convincere l'altro che si è delle brave persone; l'idea che qualcuno possa pensare male di noi non è ritenuta accettabile.

Quindi come si lavora in un percorso per uscire da questa dinamica?

Di solito nei mei percorsi la dinamica si sblocca in circa 12 sedute individuali o di gruppo.

  • Il primo passaggio è "smontare la dinamica" in modo che le persone si rendano conto di qual è il loro ruolo nell'alimentarla. Spesso queste persone si sentono vittime degli altri o si attribuiscono colpe. La chiave di volta sta nel riconoscere come io senza accorgermene alimenti la dinamica a mio discapito. Qui si esce dalla situazione di impotenza e si entra nella logica di cambiare strategia
  • Il secondo passaggio è quello di comprendere i propri bisogni senza il filtro del giudizio. Facile a dirsi ma è la fase più difficile perché entrano in gioco automaticamente le due parti del sé: quella che vuole auto affermarsi e la "vocina giudicante". Facile scoraggiarsi in questa fase e pensare che forse adattarsi è meno faticoso. È una scelta ma che difficilmente porta benessere.
  • Terzo passaggio: imparare ad esprimere dissenso in modo efficace e costruttivo. Anche qui c'è bisogno di un intenso lavoro da parte della persona e del facilitatore perché si tratta di rompere le vecchie abitudini e crearne di nuove attraverso una comunicazione completamente diversa.
  • Quarto passaggio. Fase più difficile di tutte ma necessaria: accettare che il modo in cui affermiamo noi stesse potrebbe non piacere agli altri. Possiamo ricevere critiche e giudizi. Se prima andare sempre al mega pranzo di Natale ci faceva sentire accettate, adesso se non abbiamo più alcuna intenzione di andarci potremmo ricevere delle critiche e dei giudizi. Così se vogliamo cambiare lavoro, se ci ribelliamo al cognato che in negozio si rivolge male a noi etc.

Affermare se stessi e piacere agli altri non necessariamente viaggiano sulla stessa strada. Il grande vantaggio, però, è che le persone che ci scelgono lo fanno perché ci accettano per come siamo e non per come vorrebbero che fossimo. E inoltre saremo finalmente liberi.

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Scritto da

Dott.ssa Luisa Fossati

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Bibliografia

  • Biondi, M. (2016) Compendio di Psichiatria e Salute Mentale, Roma, Alpes Italia
  • Borgioni, M (2017). La deriva controdoipendente come deriva del nostro tempo. Da persona a persona: Rivista di studi rogersiani. Pp. 73-78.
  • Borgioni, M. (2015). Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all'indifferenza vuota. Roma: Alpes Italia.
  • Caruso D.R. – Salovey P. (2019) Manager Emotivamente Intelligente – Milano -UNICOMUNICAZIONE
  • Dazzi N. – Lingiardi V. – Gazzillo F. (a cura di ) (2009) La diagnosi in psicologia clinica – Milano – Raffaello Cortina Editore

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Commenti 6
  • Stefanis Zanatta

    Grazie x questo articolo mi ci ritrovo molto in queste dinamiche

  • Katia carlesso

    Totalmente azzeccato questo breve articolo. Dovrebbe essere approfondito perché temo che molte donne sono i questa spirale e molte nn se ne accorgono fino al momento dello scoppio in rancore e rabbia. Io 53 finalmente conscia di questo ma in trappola.

  • Daniela Montemurro

    Grazie per questo articolo. È proprio la mia descrizione

  • Vale

    Grazie, articolo gradito. Io sono bloccata in mezzo al secondo passaggio. Nella coppia ho finalmente l'opportunità di affermarmi, ma allo stesso tempo arriva la paura di farlo male.

  • Veronica Cappai

    Grazie mille per questo breve articolo. Mi rendo conto di essere chiusa in questo circolo vizioso, da anni ed anni ed ogni volta che provo ad interromperlo,accade qualcosa che richiama la mia presenza. Ed è per questo che non riesco a pensare ai miei desideri, cedo al ricatto morale per senso di colpa, appunto, ma pur essendo ormai consapevole di ciò, non riesco a modificare in modo produttivo il mio comportamento. Il tempo passa e la gabbia diventa sempre più stretta. Veronica ki

  • Chi

    Ma ci sono donne che dicono :«O lavo i piatti o vado a svolgere le commissioni», pensano come le donne del medioevo; le donne in casa ad occuparsi delle faccende e dei figli e gli uomini a lavorare (come i miei genitori che vogliono che faccia anch'io così). La domanda è: ma l'emancipazione femminile?

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