La genitorialità: quali funzioni dovrebbe assolvere un buon genitore nella relazione con il proprio figlio?

Cos'è la genitorialità? Quali funzioni dovrebbe assolvere un genitore per aiutare il proprio figlio a raggiungere un buon esito di sviluppo? E concretamente, cosa è possibile tenere a mente?

15 MAG 2019 · Tempo di lettura: min.
La genitorialità: quali funzioni dovrebbe assolvere un buon genitore nella relazione con il proprio figlio?

Che cosa s’intende per genitorialità? Quali mansioni dovrebbe adempiere un genitore per aiutare i propri figli a raggiungere un buon esito di sviluppo? E concretamente, cosa bisogna tenere a mente?

Cos'è la genitorialita?

La genitorialità è una funzione della vita umana, una fase evolutiva, parzialmente indipendente da altre aree della personalità, nel senso che si può funzionare benissimo nella vita come partner o come amici, ma non come genitori.

La genitorialità è sia innata che appresa. Ciò significa che la funzione genitoriale è propria dell'essere umano, ma allo stesso tempo risente sia del contesto storico nel quale si è inseriti, che trasmette un determinato modo di essere genitori, sia delle esperienze infantili vissute dal genitore che vengono riattivate nel momento in cui si trova ad educare un figlio. Ad esempio, è possibile ripetere lo stesso modello educazionale ricevuto (se considerato positivo) oppure trasmettere ai propri figli esattamente l'opposto (se per il genitore, quando egli stesso era figlio, quella tipologia di educazione è stata negativa).

Quali funzioni dovrebbe assolvere un genitore per aiutare il proprio figlio a raggiungere un buon esito di sviluppo?

Premettendo che non esiste il manuale del buon genitore, è bene tenere in considerazione le differenti funzioni che un genitore dovrebbe saper assolvere nella relazione con il proprio figlio.

  1. Funzione protettiva: significa fornire protezione fisica, sicurezza, vicinanza, porsi come base sicura, di accudimento tale da permettere poi al bambino la successiva esplorazione del mondo. Solo se il figlio si sentirà sicuro, allora sarà in grado di esplorare l'ambiente e allontanarsi perché sa che qualsiasi cosa succeda, i genitori per lui ci sono e ci saranno sempre. Al contrario, la mancanza di sicurezza e la paura di perdere il genitore possono portare il bambino a manifestare vissuti di ansia e collera. La funzione protettiva si esprime non solo attraverso la presenza fisica del genitore ma anche attraverso l'aiuto che fornisce al figlio nel facilitarlo nella relazione con il proprio ambiente di vita.
  2. Funzione affettiva: fa riferimento alla sintonizzazione affettiva, al desiderio di vivere emozioni positive con il proprio figlio, alla capacità di entrare in risonanza affettiva con lui senza però esserne inglobato e soprattutto fornire risposte contingenti (adeguate alla situazione). Ciò significa essere un genitore appropriato, sintonizzato con i bisogni affettivi del proprio figlio e rispondergli adeguatamente (quante volte una madre si lamenta che il figlio non parla e poi quando parla svolge tre attività insieme contemporaneamente? Oppure quante volte un figlio torna a casa con il viso triste e anziché chiedergli cosa è successo, gli si chiede cosa vuole per cena? Impariamo ad ascoltare e a sintonizzarci con i nostri figli!. Se i genitori riusciranno ad essere coerenti tra l'affetto dichiarato e quello manifestato, il figlio riuscirà a sviluppare l'empatia, la capacità di sintonizzarsi affettivamente con gli altri, mantenendo però i propri confini, senza esserne inglobato.
  3. Funzione regolativa: si riferisce alla capacità del bambino di regolare i propri stati emotivi e l'interazione con l'altro, mettendo in atto delle adeguate risposte comportamentali. Le strategie per la regolazione dello stato emotivo sono inizialmente fornite dal caregiver (solitamente la madre) e sono essenziali per il buon esito dello sviluppo emotivo del bambino. Al contrario, delle riposte genitoriali disfunzionali possono rendere il figlio incapace nel decodificare le proprie esperienze emotive interiori, oltre che sentirsi sopraffatto da esse.
  4. Funzione normativa: riguarda l'importanza di dare delle regole, dei limiti e di dire "no" quando serve, poiché ciò permette al figlio di comprendere le conseguenze delle azioni compiute e soprattutto di comprendere il senso e la coerenza comportamentale manifestata dal genitore che deve essere coerente e condivisa con l'altro genitore (l'importanza di un'educazione condivisa).
  5. Funzione predittiva: fa riferimento alla stimolazione delle abilità e delle attività che il genitore può aiutare a promuovere nel figlio, a seconda della tappa evolutiva in cui egli si trova, preparandolo e aiutandolo altresì a comprendere quale sarà la prossima tappa evolutiva del suo sviluppo (anche qui, un genitore può essere bravo a riconoscere quali attività possono essere funzionali per un bambino piccolo ma non essere bravo ad occuparsi di un adolescente).
  6. Funzione rappresentativa: fa riferimento alla necessità del genitore di modificare continuamente le proprie rappresentazioni in base alla crescita del proprio figlio, evitando di porre richieste irrealistiche. La rappresentazione che il genitore ha di suo figlio dovrebbe rispecchiare ciò che il figlio realmente è, non ciò che vorrebbe che lui sia.
  7. Funzione significante: fa riferimento alla capacità del genitore di dare un senso ai bisogni del bambino, ai suoi gesti casuali, chiamarli per nome, dare un significato alle sue emozioni, con l'obiettivo di renderlo gradualmente in grado di pensare per rappresentazioni.
  8. Funzione fantasmatica: fa riferimento a come il bambino nasca all'interno dei fantasmi familiari dei genitori (ogni genitore si interroga su come sono stati i suoi genitori, come li avrebbe voluti, come sarà come genitore e di conseguenza come vorrebbe che il suo bambino fosse) e quindi alla comparazione del "bambino ideale fantasticato" con il "bambino reale". L'identità del bambino si costruirà proprio a partire dall'incontro di queste due parti (il desiderato e il reale), che se espresse in modo equilibrato dai genitori, lo aiuteranno a conciliare le fantasie inerenti a se stesso con il proprio modo di essere nel mondo.
  9. Funzione proiettiva: riguarda lo scenario narcisistico della genitorialità. Ogni genitore proietta sul figlio molto di se stesso, si dice infatti che nel nostro bambino noi amiamo una parte di noi stessi ("quello che io non sono riuscito a fare lo farà mio figlio"). Questa funzione chiama al genitore la necessità di abbandonare progressivamente l'investimento narcisistico che aveva proiettato nei confronti del figlio, riconoscendolo come altro da sé in modo da lasciarlo libero di essere se stesso e spronarlo così all'autonomia. Il figlio, nelle età successive, sarà in grado di non idealizzare il proprio partner, di riconoscersi in ciò che sentono e vogliono realmente senza compiacere gli altri per rispecchiare le loro aspettative.
  10. Funzione triadica: riguarda la possibilità di instaurare un'alleanza cooperativa tra i genitori stessi, di essere squadra e di lasciare quindi lo spazio anche all'altro genitore di esserci nella relazione con il bambino.
  11. Funzione differenziale: fa riferimento ai due modi di esprimere la genitorialità: la modalità materna e la modalità paterna. Due modalità che devono essere anche interscambiabili e non rigidamente suddivise come in passato (poiché la madre dovrebbe sempre fare un po' il padre così come il padre dovrebbe sempre fare un po' la madre...).
  12. Funzione trans-generazionale: fa riferimento al figlio come essere umano immerso in un continuum di generazioni e alla necessità che egli si senta parte di una storia, di due generazioni (stirpe materna e paterna) che pertanto devono essere accessibili.

Ma in termini concreti cosa significa?

Brevemente queste funzioni nella relazione quotidiana con il proprio bambino, potrebbero essere riassunte attraverso sette pilastri fondamentali.

  1. Amare e trasmettere amore a prescindere da ciò che un bambino fa o non fa.
  2. Aiutare nella decodificazione delle emozioni. Chiedere al proprio bambino come si sente ed aiutarlo a dare un nome ed un significato all'emozione provata.
  3. Valorizzare il proprio bambino quando compie qualcosa di positivo, dirgli "bravo" o fargli dei complimenti, anziché generare senso di colpa per non essere riuscito a raggiungere un determinato risultato.
  4. Ascoltare: i bambini hanno bisogno di essere ascoltati e non essere condizionati nelle loro scelte per rispecchiare le aspettative dei genitori.
  5. Offrire opportunità di apprendimento nel mondo che lo circonda affinché possa diventare autonomo e sicuro di sé.
  6. Adottare regole ferme e condivise con l'altro genitore, imparando a dire di "no" quando necessario anziché essere troppo permissivi poiché la troppa libertà crea insicurezza. Ciò significa anche aiutarlo a capire dove sbaglia anziché criticarlo o punirlo.
  7. Permettere l'accesso alla famiglia allargata di entrambe le stirpi (ai nonni, agli zii, ai cugini...di entrambi).

"Io mi prenderò cura di te, qualsiasi persona tu sarai" - Erikson.

Articolo della Dott.ssa Elisa Simeoni, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Lombardia.  

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Scritto da

Dott.ssa Elisa Simeoni Psicologa Psicoterapeuta

Psicologa, laureata in Psicologia Clinica con il massmo dei voti presso l'Università Cattolica di Milano, in formazione come Psicoterapeuta alla Scuola di Specializzazione “Mara Selvini Palazzoli" di Brescia ad orientamento sistemico-relazionale. In costante aggiornamento anche nel settore legato alla promozione della salute e del benessere, attraverso corsi e seminari.

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