La crisi dell'adolescenza nella post-modernità, sintomo della crisi della società odierna

La crisi dell'adolescenza post-moderna è l'espressione della crisi di una società che promuove una cultura del narcisismo destrutturata dei suoi principi valoriali: una società del godimento

19 OTT 2021 · Tempo di lettura: min.
La crisi dell'adolescenza nella post-modernità, sintomo della crisi della società odierna

La reale difficoltà della psicologia nel far chiarezza sull'adolescenza, sta essenzialmente nel fatto che non si tratta di un fenomeno assoluto, avulso dai cambiamenti sociali, anzi, gli adolescenti presentano comportamenti diversi a seconda dei periodi storici, vivono le trasformazioni della società e si nutrono di tutto ciò che essa offre. Inoltre, è opportuno segnalare un rischio intrinseco al tentativo di spiegare il mondo adolescenziale da parte degli adulti: Janneau sostiene che "nel voler spiegare i problemi dell'adolescenza in maniera così impaziente, l'adulto mostra con tutta evidenza che, tali problemi non sono altro che i propri". Problemi che, possono indurre gli stessi a proiettare sui giovani le proprie fantasie/desideri, realizzando in tal modo una vera e propria espropriazione del mondo interno dell'adolescente.

Alla luce di ciò, gli allarmanti dati che giungono dall'IPRS e dalla ricerca clinica sull'adolescenza fanno pensare che il dilagante ed abnorme disagio adolescenziale contemporaneo (suicidi, depressione, comportamenti antisociali, abuso di alcol e droghe...) sia il sintomo di una società profondamente malata. Dunque, se è vero che per la sua intrinseca natura i giovani vivono uno stato di sofferenza, data la trasformazione psichica e biologica che li investe, la forma che questo disagio assume è il prodotto delle radicali trasformazioni sociali; la crisi dell'adolescenza post-moderna è l'espressione della crisi di una società che promuove una cultura del narcisismo, destrutturata dei suoi principi valoriali, smembrata della famiglia tradizionale e sottomessa ad una dittatura del godimento.

L'adolescenza

Citando le parole di V. Luciani (psicologo, psicoanalista e direttore del Consultorio Familiare dell'ASUR Marche, nonché docente presso la Facoltà di Psicologia dell'Università di Chieti),dal testo "L'Altra Adolescenza" (2011), " si dovrebbe smettere di continuare a sostenere che nell'universo giovanile, tutto proceda come sempre, che nulla è cambiato, che non c'è più disagio di quanto ce ne fosse in passato." L'adolescenza è cambiata: è necessario prenderne atto proprio perché non è un fenomeno universale avulso dai cambiamenti sociali. Pubertà e adolescenza non vanno confuse, la prima è infatti intesa come fenomeno biologico connotato da cambiamenti neurofisiologici che conducono alla maturità sessuale ed è parte di un processo psicologico e sociale più ampio, quale l'Adolescenza, che acquista connotazioni diverse a seconda di come è concepita.

M. Ammaniti in un interessante articolo sull'argomento, sostiene che quando si parla di Adolescenza è necessario riconoscere e preservare la sua complessità, tenendo conto che in essa convivono due dimensioni: una direzione del processo adolescenziale (processi, dinamiche, tappe, conflitti… che potremmo rappresentare come nucleo del passaggio adolescenziale) e una forma che questa assume, cioè la sua specifica configurazione a seconda degli orientamenti, dei valori sociali e regole anche di tipo educativo che vigono all'interno del gruppo sociale.

Riflettendo sul concetto di adolescenza, è doveroso riconoscere come le varie scuole psicoanalitiche abbiano dato letture interpretative diverse, tutte fondamentali per la costruzione del fenomeno nella sua totalità ma, evitando in questa sede gli aspetti di tecnicismo estremo di ciascuna scuola, è possibile identificare un elemento trasversale che caratterizza la condizione adolescenziale: lo sconvolgimento e il profondo turbamento che investe il corpo e la psiche del giovane (S. Hall 1905/1906 parla di "Turmoil"). C'è in questa tappa evolutiva fondamentale, la necessità di integrare nell'immagine di sé il corpo, che non è solo il corpo sessuato, ma è anche il corpo come strumento di misurazione del reale, come mezzo di espressione simbolica, oggetto di investimenti narcisistici e possibile strumento di offesa e difesa: il corpo come luogo di identità. Aspetti che, seppur non tutti direttamente sessuali, vi sono strettamente connessi. M. Recalcati, a proposito del "Farsi corpo dell'adolescente" scrive: "È infatti proprio nel livello del corpo che si traccia la prima impressionante scansione tra adolescenza e infanzia. L'adolescente assiste al vivo del proprio processo di trasformazione corporea, allo svilupparsi del corpo e degli organi genitali." (M. Recalcati, 2003).

Cosa c'è di più turbante dell'esser spettatore, spesso impotente, degli stravolgimenti che destabilizzano il proprio corpo? Non solo, quello che l'adolescente esperisce è un processo di elaborazione ancor più profondo e radicale: il suo compito consiste nel metabolizzare un lutto, un imparare a fare a meno degli oggetti mentali infantili, di rinunciare al suo essere infante e costruire una nuova identità, un nuovo essere adulto. Il dinamismo del disagio che egli vive, questo tumulto, va considerato come parte integrante del suo processo di emancipazione, una sorta di scotto inevitabile per districarsi dalla dipendenza dalla famiglia e inserirsi con autonomia nella società.

Le trasgressioni esaltate ed esagerate, l'ostentato bisogno di sfidare la tradizione e contrapporsi all'ordine costituto, non disgiunto però da quello, altrettanto intenso di appartenervi, spiegano perché molto spesso il loro disagio ricalchi la crisi dei modelli a cui si contrappongono e che intendono superare. La condizione dell'adolescente, per le sue intrinseche caratteristiche di vitalità e precarietà, segnala con intensità particolarmente evidente l'impatto che le trasformazioni socio-culturali producono sui soggetti; l'adolescente diviene in questo scenario la popolazione target per poter indagare gli sviluppi sociali futuri nella sua totalità (una sorta di indicatore del "disagio della modernità"). I segnali che ci vengono dall'adolescenza e, non solo quelli riferiti al disagio espresso in agiti comportamentali pericolosi, se non francamente devianti, mostrano una perdita di stabilità e coerenza delle strutture identitarie. Nell'epoca post-moderna sono entrati in crisi i fondamenti di verità tradizionali, sostituiti da un'opprimente contingenza, uno tsunami di opportunità senza l'adeguato equipaggiamento, ciò vale sia per la sfera sociale che quella privata. La famiglia nella sua evoluzione, ha smesso d'essere un saldo punto di riferimento; dunque il dilagarsi di fenomeni nuovi tra gli adolescenti, sono solo l'espressione di difficoltà generate dal tessuto sociale che si canalizzano in comportamenti problematici. Riprendendo le parole di uno psicoanalista e pediatra inglese, appare evidente che: "L'adolescenza è un malato normale; il problema non è quello dell'adolescente, il problema è se viviamo in una società abbastanza sana da tollerare la malattia dell'adolescente."

La tirannia dell'incertezza

I teorici del divenire sociale hanno messo in luce un radicale cambiamento di paradigma nella costruzione della soggettività, sia individuale che collettiva. Facendo riferimento ad una delle più illustri teorie critiche sulla modernità, è possibile parlare di "Società Liquida". Zygmunt Bauman, con questa illuminante metafora riconosce ci offre una stimolante riflessione: la morale è la regolazione coercitiva dell'agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo può sottrarsi. Ma a partire dal 900 questo miraggio tramonta, assieme alla fine delle "grandi narrazioni", delle ideologie che sorreggevano il sistema di verità assolute, certe, di una società che poggiava sulle solidità e la stabilità. L'uomo post-moderno è orfano di una morale, un contenitore collettivo e un codice di comportamento sociale assoluto e unico. L'incertezza è l'aspetto che lo caratterizza e s'insinua subdolamente nei meandri dei meccanismi sociali.

Decade la possibilità di costruire una storia personale coerente e lineare, fatta di un progetto di vita unitario e di apparenze forti: mentre prima si sceglieva una professione a partire da uno specifico progetto formativo, ci si sentiva parte di una famiglia, una nazione, un partito.. oggi tutto è messo in discussione . Il venir meno delle certezze consolidate, se da una parte ha determinato un accrescimento del senso di precarietà dell'individuo, dall'altro ha trasformato il campo delle sue appartenenze, non più caratterizzate dall'esclusività ma dalla pluralità. La fluidità delle strutture identitarie danneggia inevitabilmente una categoria "debole" della società, l'adolescente si trova infatti dinanzi l'impossibilità di strutturare la sua identità. Ora, considerando che quest'ultimo , come descritto sopra, possiede per sua natura un'identità ancora informe, immatura.. nel momento in cui si trova in una realtà sociale priva di strutture contenitive, finisce per andare alla deriva, riversando il surplus pulsionale verso condotte devianti e distruttive.

Citando Arturo Casoni (in "Adolescenza Liquida. Nuove identità e nuove forme di cura.", Edup 2008): "la liquidità in quanto tale, non ha forma se non contenuta. La sua forma è data dal contenuto; meglio ancora: un liquido, nel distribuirsi lungo la superficie che incontra, per gravità prima o poi si fermerà, incontrerà una qualche forma di contenitore. Forse questa definizione si adatta anche all'adolescente: colui che è alla ricerca di un accoglimento."

L'universo post-moderno, con la sua informità e liquefazione, non aiuta affatto il transito verso l'età adulta, anzi, sfuma sempre più i confini tra l'età adolescenziale e quella del mondo adulto. Sgretolati gli ideali e le regole di vita, i ruoli sociali certi per cui "…sin da piccoli i bambini sapevano che crescendo, per un periodo definito, sarebbero stati scapoli e nubili, secondo un certo modo ben noto d'essere", tutto è sottomesso alla tirannia dell'incertezza con una dilatazione parossistica della durata dell'adolescenza (periodo tanto che si azzarda l'ipotesi di una fase intermedia, un periodo sui generis tra l'adolescenza e la giovinezza). La condizione di insicurezza e indeterminatezza nei confronti del futuro, dettata dall'esigenza di flessibilità del sistema produttivo del mercato del lavoro, prolunga in modo paradossale il tempo dell'adolescenza, un tempo di attesa in vista della realtà esistenziale a rischio. Ciò viene confermato anche dalle indagini condotte dallo IARD sulla condizione giovanile in Italia: per quanto concerne la permanenza dei giovani in famiglia, emerge che, più che le difficoltà di affrancamento dalla famiglia d'origine, vi sono determinanti di tipo culturale che inibiscono tale scelta quando questa risulta possibile: "ci troviamo di fronte a dei giovani che non si attivano certamente per velocizzare il processo di transizione, la tendenza in atto sarebbe quella di scegliere piuttosto che subire la permanenza in famiglia" (Buzzi C. e all. 2002). L'adolescenza è diventata un'età da saccheggiare fino in fondo, perché tutto ciò che si colloca oltre è percepito come un minaccioso oblio. Paradossalmente, pur avendo rispetto alle epoche passate, un potenziale di scelta infinitesimale di incidere sul proprio destino, gli adolescenti preferiscono lasciarsi cullare dai nuovi imperativi sociali che incitano ad assaporare bulimicamente ogni piacere a portata di mano.

L'imperativo del godimento

Ma, se l'estrema fragilità soggettiva, determinata dal possesso di un corpo invaso dalla pulsione con un'identità debole, è connaturata nella struttura esistenziale dell'adolescente, perché oggi si parla di adolescente in crisi?

La risposta è da ricercare utilizzando la lente critica della sociologia. La società post-moderna non aiuta di certo gli adolescenti a contenere e stemperare la tempesta trasformativa a cui sono sottoposti. Non solo, li pone oltretutto, come sudditi di una soverchiante dittatura del godimento, un inquinamento consumistico senza precedenti.

Dalle analisi sociologiche emerge chiaramente che il principale statuto antropologico dell'uomo moderno, è il benessere individuale che si raggiunge solo attraverso l'abbondanza materiale e l'ebrezza di sensazioni forti, estreme… egli è addestrato a divenire "un instancabile consumatore", a scapito dell'ideale, dei valori, della ricchezza spirituale. Il dissolversi delle utopie ha lasciato il posto ad un edonismo privo di speranze, autistico, "…svincolato da ogni legame con l'ideale (…) s'impone un nuovo culto per il potere delle cose" (M. Recalcati). Ci troviamo di fronte una società che detta un unico ordine: "Godete fino a morire!" (V. Luciani, 2011). Attraverso una spaventosa e massiccia offerta di piaceri che, estendendosi anche alle precoci generazioni pre-adolescenziali, alimentano un malessere sempre più patologico, considerando che l'uomo è per sua natura un essere mancante. È con il dissolvimento di quella collettività, che riconosceva i limiti della propria esistenza e offriva un senso collettivo all'infelicità, riuscendo a far accettare e sopportare i sacrifici, che si è fatto breccia ad una sofferenza sintomatica che, non ha parole per esser detta e si manifesta attraverso fenomeni comportamentali, oggi considerati devianti.

Questa società, più del bisogno, dell'impellenza e dell'urgenza febbrile che del desiderio, dell'attesa e della progettualità, promette l'impossibile e non giustifica le delusioni dell'esistenza.

Gli adolescenti mostrano sintomaticamente gli effetti nefasti di questa cultura del narcisismo, proprio per la loro particolare vulnerabilità strutturale. All'affermarsi della specificità del vissuto adolescenziale, con le sue componenti narcisistiche e l' urgenza individualistica, si aggiunge una società che non ha strumenti per gestire la sofferenza; anzi, offre la possibilità di trovare appagamento alle sue istanze desideranti senza dover usare il pensiero critico, il giudizio, la riflessione etica ed estetica su di sé e su ciò che sta facendo, mirando più semplicemente al "consumo" dell'esperienza gratificante.

Semi (2006) parla di una "decoscientizzazione", cioè un uso del pensiero preconscio a scapito di quello intellettuale, perché ritenuto essenziale e superfluo.

Per dirlo con le parole di Sandro Gindro (1979), "vi è una sopraffazione del desiderio del piacere , a scapito del piacere del desiderio," favorendo l'innescarsi di una sorta di ricerca a corto-circuito del godimento. Questa tendenza non è una caratteristica specifica dell'adolescenza, ma propria degli adolescenti oggi. Essi sono figli di una destrutturazione temporale, sottomessi a una presentificazione dello stesso, ad una febbrile urgenza del carpe diem. In questa enfatizzazione del presente, converge da un lato la loro tendenza adattiva dinanzi una società che non permette di progettare a medio e lungo termine (tutto è provvisorio, liquido..); dall'altro il diktat del piacere immediato, nell'incapacità di tollerare la frustrazione dell'attesa.

Cavalli, che da tempo studia il fenomeno, sottolinea che l'incapacità per le nuove generazioni, di percepire una continuità tra passato, presente e futuro, di considerare il tempo come una successione trapuntata di presenti discreti non connessi tra loro, incide fortemente sull'inconsapevolezza dei comportamenti che attuano , direttamente connesso alla consapevolezza del concetto di rischio. Dunque, la conseguenza negativa più evidente all'orientamento temporale dei giovani è l'attualizzazione di una modalità di interpretazione emotiva dalla realtà che nega il gesto come prodotto di un processo; nega la necessità di un tempo disteso, i riferimenti causa-effetto, i ragionamenti induttivi e deduttivi e rende tutto possibile nello stesso istante: non è più tollerata la frustrazione, il sacrificio del ricercare, il bisogno dell'attesa.. tutto deve essere realizzato immediatamente. Da questa analisi si evince chiarezza sulla fenomenologia adolescenziale, sempre più affine e sovrapponibile alle condotte tipiche del Disturbo Borderline di Personalità; in questo si dispiega la crisi dell'adolescenza post-moderna e il dilagarsi di comportamenti a rischio.

Il tramonto della famiglia

Viene così a designarsi il ritratto del nuovo disagio della giovinezza: mentre i ragazzi sono esposti ad un bombardamento continuo di stimolazioni che, scuotono schizzofreneticamente il loro Io, perdendo la funzione narrativa nel tempo; gli adulti evadono il compito educativo che la differenza generazionale impone simbolicamente e la cui funzione sarebbe oggi ancora più preziosa che nel passato, dove l'educazione veniva garantita attraverso l'autorità. Non che non siano preoccupati, ma la loro preoccupazione è sterile, non coincide con il prendersi cura. Quello che si è constatato con amarezza è che si assiste ad un'alterazione dei processi di filiazione simbolica delle generazioni. "Come un Edipo rovesciato, sono i padri che uccidono i figli, incapaci di tramontare, non sanno delegare, non concedono occasioni, non hanno cura dell'avvenire" (M. Recalcati, 2005).

Mentre nelle generazioni passate c'era una distanza generazionale tra genitori e figli, per cui sussisteva un atteggiamento di rispetto e intimità e di scarsa comprensione, negli ultimi anni si è creato un clima diverso: le figure genitoriali assumono un atteggiamento più amichevole e comprensivo, mentre gli adolescenti continuano ad aver bisogno di genitori con una loro dignità, fermi nel loro compito educativo. La diversità dei punti di vista, la contrattazione, il confronto… sono questi gli elementi che permettono al ragazzo/a di costruire il proprio sé. Era nella dinamica intra-familiare, dalla coloritura decisamente conflittuale che ci si preparava a diventare adulti.

Come già asserito, da alcuni anni, la situazione è andata evolvendo e i segnali che gli adolescenti mandano, questa deriva verso la devianza patologica, è il sintomo di una famiglia fortemente in crisi. Il principale obiettivo sembra quello di tener basso il livello di conflitto, con la costruzione di regole funzionali ad una serena convivenza, molto pratiche e molto vaghe, cessando quasi completamente di trasmettere i valori della storia e del sacro, senza definire il giusto e l'ingiusto, ma solo l'opportuno e l'inopportuno. Si assiste ad una destrutturazione dei ruoli genitoriali: il potere normativo della figura paterna è messo in dubbio ( si parla oggi nella letteratura socio- pedagogica di scomparsa del padre). Allo stesso modo, vacilla la figura materna, conseguentemente alle trasformazioni del ruolo sociale e familiare della donna. Frantuma la rappresentazione di una famiglia basata sulla fermezza di "madre sufficientemente buona" (riprendendo la terminologia di Winicott); una madre che facilita l'emancipazione e la crescita psicologica dei figli, nella misura in cui riesce a mantenere una giusta distanza, fatta di vicinanza e sostegno affettivo, che non significano castrazione dei tentativi esperiti dai figli lungo la strada della separazione da lei ma conquista di autonomia.

C. Sandomenico, direttore dell'Istituto di Ricerca A.P.R.E. , sostiene esserci un fraintendimento di fondo nell'interpretare tali trasformazioni nei termini di passaggio da un paradigma educativo ad un altro: ossia, il ritenere possibile la scissione tra i due aspetti del processo educativo, quello normativo e quello affettivo. L'aspetto normativo è, comunque, sempre presente in un processo educativo: può essere non esplicitato, non legittimato o anche dichiarato assente; ma, proprio in virtù di questa negoziazione della normatività è insito il rischio di esercitare un minor controllo sui messaggi normativi, comunque trasmesso attraverso il processo educativo.

Le nuove realtà familiari investono molto su una precoce autonomizzazione dei figli, funzionali alle mutazioni intervenute nella genitorialità. Ci si rapporta ai figli riconoscendogli capacità di maturità e giudizio decisamente superiori rispetto a quelle accordate dalle precedenti generazioni; ciò comporta il riconoscimento di un ruolo quasi paritetico (qualche volta finanche primario) nelle negoziazioni che riguardano la gestione della quotidianità familiare. La maggiore confidenza reciproca comporta anche una fame di sostegno che non vanno più in un'unica direzione degli adulti ai figli.

Un caso emblematico del fenomeno, riguarda quel precoce processo di adultizzazione dei minori che si verifica in seguito alla separazione tra i genitori: non di rado, accade che il figlio assuma su di sé una funzione psicologica vicariante nei confronti del vuoto lasciato dalla fuoriuscita di uno dei due genitori.

In tal scenario, l'adolescenza non rappresenta più il periodo di ribellione verso il potere normativo dei genitori; all'opposto, spesso, il rapporto genitore/figli subisce in questa fase un'evoluzione che va nel senso di una sempre maggiore complicità, con un allargamento dell'area della condivisione dei vissuti e delle esperienze. La pressione verso una precoce adultizzazione determina nei figli un progressivo restringimento di quella fase di sperimentazione della propria autonomia, in cui i movimenti di allontanamento sono sostenuti dalla fiducia nella presenza di figure genitoriali, che non scoraggiano la contemporanea espressione di bisogni di dipendenza affettiva. Diviene problematica quella fase di individuazione- separazione che, nella vita di ciascuno è presente anche a 2 anni nella cui traumi e disfunzioni, generano nell'adulto il disturbo borderline. È possibile forse intuire un parallelismo con le condotte devianti degli adolescenti, considerando la disfunzione nel processo di autonomia che li caratterizza. La minor disponibilità che i genitori oggi dimostrano verso la gratificazione di quest'ultimi bisogni, porta ad uno spostamento della loro espressione in ambiti più disfunzionali. È questa una delle possibili chiavi di lettura della diffusione tra gli adolescenti dei fenomeni di dipendenza patologica che si presentano attraverso forme variegate: da quelle più classiche – dipendenza da sostanza, forme anoressiche, bulimiche di dipendenza da cibo- a quelle emergenti: dipendenze da gioco, internet.

Quanto detto rafforza l'ipotesi che attraversa trasversalmente questa tesi: è necessario collegare le nuove soggettività adolescenziali agli organizzatori che li contengono. Se ad un'osservazione superficiale alcuni stili comportamentali appaiono come incomprensibili, estranei, fuori norma.. appena si approfondisce l'osservazione, questi ragazzi appaiono come l'ovvia conseguenza delle famiglie che li hanno generati, non solo biologicamente ma anche culturalmente. Ciò che caratterizza l'adolescenza è solamente l'aspetto di maggior evidenza, di estremizzazione talvolta provocatoria, di macroscopizzazione di alcune contraddizioni che albergano tra le mura domestiche, in particolare tra i ruoli genitoriali.

Secondo J. Derrida e E. Roudinesco, nelle "famiglie disordinate" le chiavi di volta per una possibile esplicazione dell'adolescenza liquida. È nella destrutturazione dei contenuti socio- affettivi (in particolare quelli primari, quale la famiglia), che bisogna andare a ricercare il senso.

L'appiattimento affettivo-relazionale dei media

Puntare il dito unicamente contro la famiglia, come generatrice della crisi adolescenziale, risulta essere riduttivo e fuorviante. Gli adolescenti sono inseriti in un background sociale che li plasma e li nutre.

Quello che fin ora è stato definito disagio giovanile è, con apparente paradosso, alimentato dal benessere socio-economico acquisito. La modernizzazione della società, e in particolare l'impero delle nuove tecnologie, hanno modificato radicalmente il modo di vivere e di rapportarsi alla realtà dei giovani; questi infatti, a differenza degli adulti, non hanno dovuto integrare nella loro vita gli strumenti mediatici, sono nati con essi e si sono formati a partire da questa nuova, asettica modalità d'essere. Si parla appunto di "nativi digitali". L'influenza esercitata dai mass-media ha prodotto modifiche radicali nella rappresentazione cognitiva e affettiva dello spazio relazionale ed esistenziale, basti penare alla presenza virtuale dell'altro. Non si vuole sostenere che i media elettronici siano la causa del disagio, anzi, strutturalmente si offrono come strumenti di facilitazione ed adempimento, ma, nelle mani di chi non è equipaggiato, non è cioè affettivamente e psicologicamente pronto (qui si chiama in causa il mancante ruolo a cui le famiglie dovrebbero adempiere), si finisce per farne un uso, abuso distruttivo.

Così, sprovvisti di strumenti evolutivo-affettivi e buttati dentro la complessità mediata dall'elettronica, subiscono una difficoltà ad aderire ad una dimensione profonda, con conseguente appiattimento dei modelli mediatici. L'isolamento e l'ipertrofia ed esclusività delle interazioni virtuali, è la sintomatologia più evidente di quanto detto. assistiamo quindi, ad una sorta di incapacità a riconoscere la presenza dell'altro con il rischio che alcuni autori definiscono di " deumanizzazione dell'universo relazionale" ( Semi8 A.A 2006).

In questo scenario è possibile collocare la miseria affettiva e delle emozioni (che non è generata dai media elettronici, ma ne è influenzata) non può non sortire degli effetti su quell'area così importante per essi, che è l'identità di genere, la sessualità, l'innamoramento, il corteggiamento, il godimento sessuale. Le esperienze di incontro con l'altro sono ridotte e quelle poche sono assunte a mero piacere da consumare; questo fenomeno di miseria, ci fa tornare nella mente la mancanza di codici affettivi in grado di dare uno spessore al vivere.

A conclusione di ciò, ritengo stimolante ed opportuno accennare ad un recente saggio sull'adolescenza contemporanea, dal titolo "L'ospite inquietante", di Umberto Galimberti (2007), riprendendo un altro titolo sull'adolescenza "L'epoca delle passioni tristi" (Benasayag M., Schmit G., 2004) Galimberti sottolinea con forza un aspetto: ciò che caratterizza il disagio adolescenziale contempo0raneo è il nichilismo diffuso, ovvero non un fatto riferibile ad una crisi del singolo, magari con evoluzioni nella psicopatologia, ma una crisi della società, un fatto che riguarda la cultura collettiva e non il soggetto. Senza dubbio, Galimberti, il quale oltre che filosofo attento ai fenomeni sociale e anche psicoanalista, coglie un aspetto veritiero: la crisi culturale che investe la cognizione del mondo degli adolescenti, e sottolinea la necessità di rendere consapevoli di questa crisi gli operatori psy, che rischiano di travisare l'osservato per carenza si strumenti osservativi. Affrontare le modificazioni indotte sulla soggettività delle recenti trasformazioni socio-culturali significa anche e sempre andare ad affrontare ed esplorare un'interazione tra il disagio della normalità e la psicologia franca.

La soluzione è nella prevenzione

Appare evidente che il disagio dell'adolescente è un fenomeno prettamente sociale: è il prodotto di un consumismo narcisistico, di un' appiattimento dell'affettività connaturata nel prototipo di uomo socialmente desiderabile ed efficiente, animato dal bisogno e ignaro del piacere del desiderio, della narrazione di sé nel tempo e nell'incontro con l'Altro. Le conclusioni così sintetizzate delle analisi psico-sociologiche sembrano dipingere uno scenario apocalittico, intriso di sterile nichilismo. Di contro la psicologia, preso atto del fenomeno, ha visto un fermento di studi che ha portato una ventata di positività nel preoccupante buio della crisi adolescenziale, e ha sollevato la proposta di una possibile soluzione: la Prevenzione.

Si parte dal presupposto che tutte quelle condotte devianti, abnormi che rientrano sotto il termine ombrello di "disagio giovanile" abbiano comunque una ragion d'esistere, anzi attecchiscono proprio tra gli adolescenti perché, come illustrato nei precedenti paragrafi, svolgono delle funzioni evolutive primarie: consentono di affrontare la propria indipendenza, di mettersi alla prova, definire la propria identità, essere accettati dal gruppo dei pari e permettono di anestetizzare le caotiche emozioni che li agitano e inquietano; a ciò si aggiunge anche il fatto che queste esperienze limite, saziano l'impetuoso desiderio di sensazioni nuove (Sensation Seeking, Zukerman 1971). Tali condotte devianti, esaltano ed esasperano tutta una serie di vissuti adolescenziali, che non consentano al giovane di sentire, pensare, operare in modo costruttivo…trascinando nel disagio e nell'isolamento anche tutta la famiglia, che si trova impreparata emotivamente a gestire e contenere il problema. Ecco che, da questo punto di vista, la scuola svolge un ruolo fondamentale ed imprescindibile: essa non può esser considerata solo come un luogo di apprendimento, ma deve integrare la sua vocazione educativa con esperti esterni, divenendo luogo di formazione e sostegno anche per i genitori, in relazione ai loro bisogni e necessità.

Per queste ragioni sul panorama della Psicologia della Salute, si affacciano sempre più progetti il cui fine è prevenire e contrastare l'insorgere di queste devianze, sia facilitando una collaborazione tra il personale scolastico e le famiglie, sia dotando gli adolescenti di competenze socio-affettive o life-skills (abilità trasversali, necessarie ad entrare efficacemente in relazione con gli altri, affrontare i problemi e fronteggiare lo stress di vita quotidiana). La scuola, senza dubbio, è il luogo privilegiato per lo sviluppo e addestramento di queste abilità; si propone come spazio di mentalizzazione e rieducazione socio-affettiva. Così, avvalendoci di una delle più potenti agenzie di socializzazione, portavoce di quella fetta della società "sana", si può intervenire non solo su quella fascia della popolazione più sensibile, gli adolescenti per l'appunto, ma il suo intervento benefico può esser esteso anche al contesto in cui il giovane vive e si nutre di modelli. La famiglia, per tutte le ragioni enunciate nelle pagine precedenti, vive un disagio intrinseco alla sua generazione e si trova ora più che mai impreparata e disorientata davanti questi adolescenti spaventati e spaventanti. Attivare degli sportelli d'ascolto intra-scolari è una soluzione che senza dubbio faciliterebbe lo snodarsi di situazioni a rischio. L'intervento che la psicologia propone, garantirebbe la possibilità tanto al giovane quanto alle famiglie di intraprendere un dialogo con sé stessi e tra di loro così da poter affrontare e fronteggiare efficacemente la crisi dell'adolescente post-moderno. Permettendo una metafora figurativa, la funzione mediatrice dello psicologo è quella di districare i nodi dei fili che connettono la matassa della dimensione genitoriale con il groviglio della massa adolescenziale, facilitando in tal senso una comunicazione che è già terapeutica.

Ecco un possibile esempio di Progetto atto a prevenire comportamenti devianti negli adolescenti:

  • Destinatari diretti: alunni appartenenti alle classi prime di una scuola secondaria di secondo grado, insegnanti, famiglia.
  • Destinatari indiretti: scuola, comunità.
  • Obiettivo generale: prevenire il disagio sociale e la messa in atto di condotte a rischio.
  • Obiettivi specifici:

Aumentare le conoscenze degli adolescenti circa il disagio giovanile e le condotte a rischio, le loro cause e le loro conseguenze, sui fattori di rischio e quelli protettivi , come le life skills; Favorire lo sviluppo e il potenziamento delle life skills degli adolescenti; Incrementare le conoscenze circa i servizi presenti sul territorio.

Favorire la comunicazione e il dialogo tra genitori e figli, sensibilizzando i genitori sulle problematiche legate al disagio giovanile e dotandoli di strumenti e competenze atte a contenere e fronteggiare le situazioni a rischio.

  • Metodologia: integrata, che utilizza il gruppo come strumento privilegiato di intervento; che si avvale della psico-educazione (attività di informazione e sviluppo delle competenze eabilità personali, trainig sulla comunicazione, problem solving, decision making per imparare a gestire lo stress, gestire le emozioni e relazionarsi in modo efficace). Anche il focus group si rivelerà efficace, si tratta di discussioni guidate da uno o più moderatori e ha lo scopo di individuare percezioni, atteggiamenti e comportamenti delle persone nei confronti di un determinato argomento, approfondendo e spiegando le motivazioni che li sottintendono (mira a sviluppare la consapevolezza di ciò che è rischioso). L'educazione socio-affettiva sarà realizzata mediante tecniche del Circle Time e Role Playing grazie al quale esprimere le proprie emozioni, sviluppare le competenze emotive e imparare tolleranza e rispetto.
  • Fase1: presentazione del progetto agli insegnanti e al dirigente scolastico con la richiesta del consenso informato da parte dei genitori ( art. 31 del CD) con somministrazione di un questionario su aspettative e bisogni agli insegnanti e di un questionario creato ad hoc sulle life skills per i ragazzi. (1 incontro di 2 ore).
  • Fase2: Informazione: approfondimento della conoscenza scientifica del fenomeno attraverso il contributo di un tossicologo del SERT che spiega le conseguenze a livello fisico, neurale, sessuale dell'uso di droghe e alcol, mentre lo psicologo si soffermerà sulla dimensione sociale e all'importanza dell'integrazione all'interno del gruppo per i giovani, sui meccanismi cognitivi ed emotivi coinvolti nella messa in atto di comportamenti disfunzionali. (2 incontri da 2 ore). Formazione degli insegnanti sulle life-skills e sulle attività da condurre in classe attraverso discussioni di gruppo per aumentare la collaborazione tra insegnanti e studenti (6 incontri da 2 ore).
  • Fase3: incontri di psicoeducazione e training di gruppo sulle life skills utilizzando metodi attivi come role playing, per migliorare la conoscenza di sé, promuovere scelte responsabili, sviluppare stili efficaci di decision making e relazioni interpersonali, intervallati da momenti di educazione socio-affettiva utilizzando la tecnica del circle time che sarà condotta dall'insegnante con la supervisione di uno psicologo (2 incontri al mese di 1 ora per 8 mesi). Predisposizione di 1 incontro formativo, tenuto dallo psicologo sui servizi presenti sul territorio (consultorio, centri giovani, strutture assistenziali), 1 incontro di 2 ore.
  • Attivazione di sportelli d'ascolto volti a offrire colloqui individuali con gli adolescenti e in presenza congiunta genitori/figlio ( 2 ore a settimana). Inoltre saranno attivati incontri di formazione e informazione rivolti ai genitori, finalizzati a sensibilizzarli sulle tematiche del disagio giovanile. Mediante Circle Time e Focus Group sarà possibile confrontarsi sulle modalità di gestione delle problematiche inerenti l'educazione dei figli e la gestione di situazioni problematiche.
  • Fase4: Conclusione del progetto con ri-somministrazione dei test di fase1 per valutare la soddisfazione delle aspettative dei partecipanti e misurare il livello finale di conoscenze, nonché valutare cambiamenti dovuti all'intervento e assemblea conclusiva con presentazione dei risultati (1 incontro di 3 ore).
  • Tempo: 9 mesi.
  • Risorse: (materiali) locali della scuola, materiale cartaceo da ufficio, questionari; (umane) 1 psicologo e 1 tossicologo.
  • Budget: 100 euro ( risorse materiali), 1400 euro psicologo, 800 euro tossicologo.
  • Rischi: atteggiamento ostile e/o non collaborativo da parte degli alunni o insegnanti, stereotipi e pregiudizi nei confronti dello psicologo , imprevisti organizzativi, riduzione del budget in itinere.

Valutazione:

Ex-ante: questionari su aspettative e bisogni, questionario su life skills. In-itinere: incontri di monitoraggio in itinere (osservazioni sul campo durante lo svolgimento delle attività), diario di bordo su cui annotare osservazioni, valutazioni, ostacoli, andamento del progetto. Ex-post: ri-somministrazione test fase1.

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Scritto da

Dott.ssa Clarissa Guercioni

Bibliografia

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