La Concezione dell'Amore

L'amore, come diceva Fromm, è un Arte che si apprende giorno dopo giorno. Tutti possiamo imparare ad Amarci, ad Amare un partner e ad accogliere l'amore dell'altro e della vita

10 FEB 2014 · Tempo di lettura: min.
La Concezione dell'Amore
“Aver fede nelle possibilità dell’amore
come fenomeno sociale, oltre che individuale,
è fede razionale che si fonda 
sull’essenza intima dell’uomo”.
(E. Fromm)
“Viviamo in una cultura dove l’intelletto ha il predominio e dove nella definizione dell’uomo c’è posto per la mente e non per il cuore. ‘Cogito ergo sum’ ha detto Cartesio, e siamo arrivati a un passo dalla distruzione totale ad opera dell’abilità del pensiero. Bisogna affrettarsi a mettere un cuore nella definizione dell’uomo se vogliamo continuare ad esistere e a pensare.

Einstein ha scritto: ‘La nostra epoca è orgogliosa del progresso che ha fatto compiere allo sviluppo intellettuale dell’umanità. La ricerca e la lotta per la verità e per la conoscenza sono fra le più alte qualità dell’uomo, anche se spesso l’onore ne è invocato a più alta voce da coloro che lottano di meno.

Certamente dovremmo badare a non fare dell’intelletto il nostro Dio. Esso ha, sì, dei muscoli potenti ma nessuna personalità.

Esso non può guidare, può solo servire, e non è esigente nella scelta di una guida. Questa caratteristica si riflette nella qualità dei suoi sacerdoti: gli intellettuali. L’intelletto ha una vista acuta quanto ai metodi e agli strumenti, ma è cieco quanto ai fini e ai valori.

Così non c’è da meravigliarsi che questa fatale cecità sia passata dai vecchi ai giovani e oggi affligga un’intera generazione’.

Memori di questo alto insegnamento, noi proponiamo la cultura dell’amore, una cultura dove l’intelletto sia guidato dal cuore, cioè dalla capacità d’amare.

Questa cultura ha quattro capisaldi:
  • la capacità di amare se stessi, integralmente, sino in fondo, con estremo coraggio;
  • la capacità di amare gli altri, perché sono parti di noi stessi, perché completano il nostro corpo e il nostro Io Persona, e amarli non è un dovere né una imposizione che viene dall’esterno ma una ricchezza reciproca e una fonte di gioia;
  • la capacità di apprendere ad amare con un amore come dono, superando l’amore come possesso;
  • "amare significa volere efficacemente il bene proprio e quello altrui”. 
( Rivista Persona n°15;1988 )

Freud parla di amore nei suoi numerosi scritti, ma ne parla semplicemente come di una pulsione di vita, un’energia che chiama Eros, opposta ad un’altra pulsione che chiama Tanatos. L’odio, secondo Freud, deriva da Tanatos: la pulsione di morte.

Non c’è possibilità di scegliere le pulsioni, si possono al massimo spostare su mete diverse, e il solo e unico obbiettivo delle pulsioni è il soddisfacimento, dunque, la scarica della tensione.

Nella cultura cattolica, dominata dal potere e dal timore di Dio, unico detentore di amore, verità e giustizia, l’amore è  vissuto come qualcosa che viene da fuori di noi. Se Dio è così misericordioso da amare tutti gli uomini noi non possiamo fare altrimenti: dobbiamo amare. Anche in questo caso, come nel pensiero freudiano, non c’è spazio per una libera scelta, ovvero, la decisione se amare o odiare.

Per l’Antropologia Esistenziale l’amore e l’odio non sono pulsioni e nemmeno semplicemente sentimenti che dobbiamo, o sforzarci di provare perché l’altro ci ama, o che “purtroppo” non proviamo, ma: DECISIONI. E’ chiaro che l’amore (così come l’odio) è anche un sentimento, ma vogliamo sottolineare maggiormente la capacità decisionale, perché è quella che è maggiormente trascurata e che invece può cambiare la storia.

E’ innegabile che esiste nell’uomo una capacità reattiva di risposta agli stimoli (Io Psichico), ma è altrettanto vero che l’uomo possiede una capacità decisionale e, secondo questa teoria è Io Persona l’istanza che ha facoltà di  decidere se amare o odiare.

Siamo tutti condizionati dall’idea che amare sia un fatto automatico: così come nasciamo, allo stesso modo impariamo anche ad amare; l’amore è qualcosa che ci viene da dentro, un fatto innato, costituzionale.

Dunque la nostra persuasione è questa: non occorre nessuno sforzo, nessun allenamento, l’amore è alla portata di tutti; al contrario, E. Fromm e l’Antropologia Esistenziale concordano nell’affermare che “la capacità d’amare è un’arte”.

    “Amare”, implica una capacità che va sviluppata, che va praticata e appresa col tempo, così come si farebbe con un altro tipo di arte, con pazienza ed esercizio, procedendo attraverso tentativi ed errori.

 “Il primo passo è convincersi che l’amore è un’arte così come la vita è un’arte: se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura, oppure la medicina o l’ingegneria”.

“Amore è interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo”.

( Fromm, 1971; L’arte di amare )

Oggi siamo in piena crisi della capacità di amare. Questo è vero a tutti i livelli, e, cosa più strana e più importante, lo è soprattutto a livello della coppia: Se già questa crisi è in piena esplosione a livello della coppia, possiamo immaginare cosa succede agli altri livelli.

Allora, come possiamo pensare di aiutare noi stessi e gli altri se non affrontiamo in profondità questo problema?

L’amore è un’arte. Ma è questa la persuasione di ciascuno di noi, della massa, che l’amore è un’arte, e che perciò come arte deve essere appresa? No, l’uomo è persuaso che così come si cresce così automaticamente si sa amare; che l’amore è qualcosa che viene dal di dentro, semplicemente dall’essere individui umani, e che non c’è nessun bisogno di dedicarsi con pazienza, con sforzo, con allenamento, a imparare l’arte di amare.

A cosa è dovuta, dice Fromm, questa persuasione che amare è una cosa alla portata di tutti, e che non è affatto un’arte che bisogna apprendere?

Fromm elenca tre pregiudizi:

1) «La maggior parte della gente ritiene che amore significhi essere amati anziché amare; di conseguenza per loro il problema è come farsi amare, come rendersi amabili, e per raggiungere questo scopo seguono parecchie strade».

Sono parole molto semplici, non avrebbero bisogno di essere commentate, ma cerchiamo di approfondirle maggiormente.

L’uomo parte da questa persuasione: che amare significhi essere amati; l’accento non viene posto sullo sforzo attivo che uno deve compiere per amare una persona, perché questo è considerato spontaneo, amare una persona viene considerato un fatto automatico, una volta trovata la persona giusta. Quello che conta è essere amati, cioè nel rapporto che si stabilisce subito tra un uomo e una donna, sia per l’uno che per l’altra ciò che vale è in prima linea come fare per essere amati; e non viene per niente il pensiero: «cosa devo fare io per amare una persona»?

Io aggiungo che dietro questo pregiudizio c’è la persuasione che amare significhi scegliere una persona e voler attrarre questa persona nella propria orbita affettiva. Il pensiero che c’è al fondo è questo: preoccupazione di come fare per essere amati. Se io ho già scelto una persona e dico «voglio amare questa persona e voglio l’amore di questa persona» basta solo questa scelta per darmi la sensazione che sono a posto e che non devo fare più altro. Chi deve fare tutto è l’altra persona. La nostra psicologia è fatta così: una volta che io ho scelto una persona da amare, questa persona non ha più diritto di lamentarsi, ha già il mio amore per il solo fatto che io l’ho scelta. Avendo fatto la scelta non ci preoccupiamo più di come amare, ci preoccupiamo che l’altro risponda all’amore, e quando si tratta di volere questa risposta, allora diventiamo di una pretesa senza limiti nei riguardi dell’altro; se mi ama deve fare questo, se mi ama deve fare quest’altro. Così tiriamo fuori tutto ciò che vogliamo per essere certi che l’altro ci ami.

Ma applichiamo a noi stessi queste considerazioni? No. Spostiamo completamente sull’altro la responsabilità e la riflessione sulla qualità della sua attitudine ad amare, e non mettiamo in causa la nostra attitudine ad amare. Perché per noi è più importante come essere amati, e non come amare.

Per noi c’è già la convinzione che amiamo, dal momento che abbiamo scelto la persona, o per il fatto che ci siamo fatti scegliere da una persona. (Se si tratta di una donna è sempre vero il contrario, perché la donna pensa di essere stata scelta, mentre invece io sono persuaso che è sempre lei in ogni caso che sceglie). Ma ciò che conta è sempre questo: la scelta è fatta, io amo, vediamo come mi ama l’altro, come risponde l’altro alla mia scelta.

Ma ritorniamo su questo bisogno: io devo farmi amare: Quale sarebbe la condizione giusta per farmi amare? Rendermi amabile. Purtroppo non è questa la conclusione a cui arriviamo. Istintivamente la maggior parte di noi pensa piuttosto: devo rendermi attraente. C’è un abisso tra il rendersi attraenti e il rendersi amabili. Se io devo rendermi attraente significa che io devo essere bello, ricco, intelligente, devo avere successo nella vita, ecc.

Rendermi amabile significa rendermi accessibile all’amore di un’altra persona. E per rendermi amabile non devo mettere l’accento soltanto su l’una o l’altra qualità che potrei avere, ma devo mettere l’accento sugli ostacoli che io presento al partner per essere amato; cioè sugli ostacoli che io inconsapevolmente ho dentro di me, e continuamente formano una barriera tra me e il partner, per cui io impedisco all’amore del partner di raggiungermi. In questo senso non sono amabile; ma chi accetta di dire a se stesso che non è amabile? O chi accetta che non è amabile non perché non è alto, bello, importante? L’accento non viene messo mai sulle reali difficoltà della comunicazione nel rapporto interpersonale, come per es. mancanza di umiltà, mancanza di fiducia, mancanza di coraggio, mancanza di disponibilità profonda verso l’altro. Noi non  pensiamo a tutte queste cose, pensiamo a renderci attraenti in tutt’ altro modo, e non nel modo che è l’unico giusto: l’impegno di renderci amabili.

2) Il secondo pregiudizio – dice Fromm – per sostenere la teoria che nulla vi è da imparare in materia di amore, è la supposizione che il problema dell’amore sia il problema di un oggetto, non il problema di una facoltà.

Un’altra persuasione fortissima è che basti trovare la persona giusta e tutto scorre liscio; è soltanto questione di fortuna se uno sa essere amato. La fortuna sarebbe quella di aver incontrato la persona giusta.

Quindi tutta la preoccupazione e l’attenzione è spostata fuori di noi, nell’oggetto d’amore: se sono fortunato nel trovare la persona giusta, allora avrò un rapporto di amore, sarò amato e potrò amare; ma se non sono fortunato nell’incontrare la persona giusta, non ho nessuna colpa, sono uno sfortunato e ciò non dipende affatto dal mio non sapere amare.

Cozziamo dunque, contro un’altra persuasione profonda che c’è in noi: quella di non voler toccare la nostra personalità nelle sue lacune o nelle sue potenzialità che dovrebbero essere sviluppate. Ora, dice Fromm, non si tratta del problema di un oggetto, ma del problema di una facoltà, della facoltà di amare. Noi invece non pensiamo assolutamente che c’è una facoltà di amare che va sviluppata; che va conosciuta, che va esplorata fino in fondo.

Questo è un’altro grosso guaio, che è alimentato dalla letteratura, dal cinema, dal teatro e anche dal dialogo tra le persone: viene continuamente propagandato il colpo di fulmine, l’amore romantico, il grande amore, l’incontro eccezionale.

Fromm non lo fa, ma noi possiamo cercare di spiegarci psicologicamente questo pregiudizio. La spiegazione è facile: fin da quando si è bambini c’è sempre questa attesa di un incontro eccezionale, di un principe azzurro, anche se col passare degli anni cambia il modo di esprimere questa attesa.

A livello più profondo della psiche io penso che questa esigenza vada collocata a livello edipico, lì dove la bambina spera di realizzare quell’incontro unico ed eccezionale col padre che non ha mai realizzato nella sua storia affettiva in famiglia perché la madre gliel’ha impedito sempre. Allora avviene questa trasposizione; quell’incontro che non ho potuto avere con mio padre lo proietto nel futuro e spero un giorno di incontrare questo principe azzurro, quest’uomo eccezionale, che non è altro che la proiezione del simbolo paterno.

Questa spiegazione è valida nel caso che il rapporto edipico non sia stato attuato felicemente come sarebbe desiderabile.

Ma ammettiamo che sia stato attuato. Anche in questo caso l’attesa del principe azzurro sussiste ancora, ma non più come incontro con il padre, ma come l’incontro con quella persona che sarà capace di staccare profondamente la bambina diventata adulta dal padre. Infatti, se la bambina ha avuto pienamente questo rapporto che desiderava, da quel momento la figura del padre diventa una figura eccelsa nella psiche della bambina diventata donna, una figura non facilmente spodestabile. L’attesa del principe azzurro a questo punto interviene come attesa di qualcuno che liberi la donna dal suo legame attuale col padre. Difatti, è possibile al tempo stesso che il momento edipico venga superato dalla bambina perché è stato vissuto felicemente, ma che il distacco (che pure è in grado di fare), lo scatto per attuare in pieno questo distacco, la bambina lo ponga nell’attesa di un personaggio eccezionale.

Ricordate la leggenda della fanciulla, del drago e di san Giorgio che viene a liberare la fanciulla dal drago? Che cosa adombra questa leggenda? Adombra il legame particolare della donna con il padre, - e in questa ipotesi il rapporto della bambina con il padre è stato ottimale -, ma tuttavia resta ancora prigioniera del padre ed ha bisogno di un cavaliere che la venga a liberare da questa dipendenza e schiavitù.

Infatti, nella ipotesi di un rapporto edipico bellissimo, la figura del padre diventa così importante da essere un ostacolo al distacco, anche se il distacco è attuabile. Esiste la capacità di sganciarsi dal padre e di andare veramente incontro a un uomo, ma se la figura del padre è stata davvero eccezionale, allora la donna, per controbilanciare questa figura, anche se è capace di staccarsi, sogna un’altra persona eccezionale. (E’ anche possibile che voglia un uomo eccezionale per rivaleggiare con la figura materna che ha avuto un uomo eccezionale). Se non trova un simile uomo, la donna che da bambina ha vissuto bene l’edipo con un padre eccezionale anteporrà sempre al marito la figura del padre e quindi non potrà amare il partner perché sarà sempre attratta verso la figura del padre.

Riassumendo, la ricerca di un uomo eccezionale può derivare o dal bisogno della donna di affrancarsi dalla schiavitù di un legame troppo intenso col padre, o dalla frustrazione di un rapporto non vissuto col padre.

Posta la capacità di amare, non è che un uomo ami qualunque donna o una donna ami qualunque uomo, c’è sempre una scelta particolare secondo o affinità o complementarietà, o altri motivi. Non è che la mia capacità di amare la possa riversare in assoluto su qualunque persona. Sarò sempre portato a una scelta, e questa scelta non è necessariamente e soltanto comandata da motivazioni nevrotiche o da motivazioni di proiezione paterne o materne. Oltre queste motivazioni, ci possono essere delle motivazioni oggettive, non proiettive, che vengono dalla mia personalità fatta in un certo modo, che cerca una personalità fatta in un certo altro modo. Ci sono dunque delle motivazioni che sfuggono alle motivazioni che derivano dai rapporti affettivi nostri col padre e con la madre? La risposta è sì. Semmai, teorizzando, forse la scelta ottimale è quando ho insieme sia motivazioni proiettive che motivazioni oggettive; cioè personali mie e che non dipendono più dal rapporto che ho avuto con mio padre e mia madre; forse questi due fattori insieme danno l’ideale di una scelta. Faremo in seguito tutto un discorso sulle motivazioni proiettive, quanto intralcino la capacità di amare, quanto la distruggano, quanto la possano contenere, quanto la possano sviluppare. […]

3) Il terzo pregiudizio, dice Fromm, è la confusione tra l’esperienza iniziale di innamorarsi e lo stato permanente di essere innamorati.

Dice Fromm che tra due persone esiste, prima che si incontrino, un mistero, che è dato dalla personalità dell’altro che noi non conosciamo, e che desideriamo conoscere e penetrare. Molte volte si scambia per amore questo desiderio di penetrare nel mistero di un’altra persona. L’innamoramento sarebbe allora la felicità e la gioia di questo cadere del velo, della barriera, che c’è tra me e questa persona che mi è sconosciuta. Nel momento in cui cade questa barriera perché io entro, penetro nella personalità, nell’intimità dell’altro, io sento la gioia di questo penetrare. Quindi, l’innamoramento sarebbe l’incontro con un’altra persona che ci attrae per motivi che spesso noi non conosciamo a livello cosciente, e che noi vogliamo penetrare e possedere. Nel momento in cui avviene questo incontro noi siamo innamorati. Ma nella misura in cui noi penetriamo, in un modo o nell’altro, che è sempre limitato, questo mistero della persona prima sconosciuta, questa persona finisce di essere interessante per noi e finisce anche l’innamoramento.

Dunque, abbiamo questa differenza tra innamorarsi e amare: il rapporto di amore, quando è conseguenza di tutto uno sviluppo e di tutta una maturazione della personalità, è un rapporto che resta duraturo. La presenza di questo elemento della durata è un elemento per accorgersi che esiste qualcosa che è di più dell’innamorarsi, e che possiamo chiamare amore per una persona. Se poi questa durata noi siamo capaci di estenderla fino al massimo della nostra vita, noi chiamiamo questo particolare rapporto una scelta di amore pienamente maturo e pienamente rispondente alle esigenze della nostra persona totale. Diversamente, diciamo che non si tratta tanto di amore per una persona quanto piuttosto di amore per noi stessi, cioè amore per una proiezione di noi stessi, che può essere proiezione di un nostro bisogno o proiezione di una parte della nostra personalità (parte che era rimasta ancora inespressa) a volte soltanto proiettata, a volte veramente incontrata ed amata in un altro, perché così risulti assimilata, integrata e appropriata nella nostra persona.

Questo amore per noi stessi non necessariamente né sempre esclude che ci sia contemporaneamente un vero amore (= amore che vuole il bene dell’altro) per la persona sulla quale abbiamo proiettato noi stessi, pur se questo amore si esplica condensato in un breve spazio di tempo.

Anche se molti non sono in grado di apprezzarla, l’uomo possiede la capacità spirituale di concentrare una durata eterna, o tutta una vita, in poche ore o in pochi momenti.

Ciò accade quando si ama autenticamente (v. il film Breve incontro di D. Lean).

N.B.: conoscere non significa necessariamente possedere, perché posso conoscere rispettando l’altro, donandomi all’altro e ricevendo l’altro in dono. Invece posso voler conoscere cercando di possedere l’altro, di impadronirmi dell’altro. Sono due atteggiamenti diversi.

Dott.ssa Angela Marchi

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Scritto da

Dr.ssa Angela Marchi

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