Internet e Psicoterapia: nuove domande di cura?

Il Web porta realmente clienti agli psicologi e agli psicoterapeuti? E se sì, di che tipo? Ovvero perditempo, sprovveduti, illusi o effettivi pazienti? Non si sa con esattezza...

4 FEB 2019 · Tempo di lettura: min.
Internet e Psicoterapia: nuove domande di cura?

Il Web porta realmente clienti agli psicologi e agli psicoterapeuti? E se sì di che tipo? Ovvero perditempo, sprovveduti, illusi o effettivi pazienti? Non si sa, non ci sono studi in proposito, non ci sono ricerche di mercato che hanno indagato questo particolare tipo di pubblicità professionale, per cui non c'è riscontro certo. Certo è invece che prolificano i siti specializzati dove poter far conoscere i propri studi per offrire prestazioni psicologiche e psicoterapeutiche di vario tipo.

Di queste forme di pubblicità, in passato, si sono marginalmente occupati gli Ordini, tentando di disciplinare un po' la materia e raccomandandone sostanzialmente un uso di servizio e di informazione alla collettività. Oggi qualche Ordine regionale promuove corsi per usare più proficuamente il web.

In effetti, compresa la sottoscritta e coerentemente con i tempi, Internet - soprattutto da parte dei colleghi più giovani - risulta venga sempre più utilizzato; oltre che per mettere in rete esperienze, eventi e ricerche inerenti la professione, anche per aumentare la propria visibilità. In particolare, nell'ambito dell'autopromozione professionale, si sono venuti a creare luoghi virtuali (siti web) dove domanda d'aiuto e offerta si possono agevolmente incontrare e dove certe interazioni, ancorché delicate e particolari, risultano immediatamente disponibili e fruibili, nonché anonime, da chiunque.

Ovviamente queste nuove tecnologie, assieme agli altrettanti mutamenti sociali, culturali ed economici, hanno avuto un certo impatto sulla figura dello psicologo e dello psicoterapeuta riuscendo, soprattutto quelli più giovani, ad imporre quasi un nuovo profilo professionale.

È facile osservare come ad esempio, in passato, anche se ci si stava per affacciare al mondo del lavoro come psicologi o psicoterapeuti, nemmeno era immaginabile ricorrere ad uno strumento così potentemente mediatico come Internet per farsi pubblicità. Sarebbe risultato oltremodo antitetico all'immagine stessa del terapeuta, allora particolarmente riservata e al suo setting estremamente rigoroso; forme troppo esplicite di pubblicità (anche solo apparire sulle vecchie pagine gialle) in un certo qual modo erano percepite dalla stessa comunità di psicologi come svalutanti e anche un po' ridicole. Si contava sulla conoscenza diretta e sul passaparola del piccolo gruppo di riferimento.

Oggi, soprattutto per i giovani che iniziano il mestiere (e ripeto, anche per la sottoscritta) le cose non stanno più così e comunque anche chi il mestiere lo fa già da un po', se vuole far conoscere talune iniziative professionali non può fare a meno di Internet. Quindi, poco o tanto, un po' tutti ci promuoviamo online.

Esistono siti web dove viene reclamizzata la consulenza psicologica e addirittura la psicoterapia online; a costi più bassi del normale si garantiscono trattamenti online o telefonici. In realtà, per ora, questi siti che promettono una terapia virtuale sono più presenti all'estero che qui da noi, in particolare negli USA. e in Sudamerica. In Italia, comunque, sulla rete non mancano di certo forme di pubblicità che quantomeno definiremmo fuorvianti. Spulciando su Internet si possono trovare blog decisamente sfacciati dove colleghi e colleghe si propongono, talvolta con foto da social network, come esperti in ogni problema e in grado di alleviare ogni tipo di disagio psicologico. Esistono anche siti dove l'utente ha la possibilità di verificare il proprio grado di salute psichica (stress) rispondendo a questionari e, in base al profilo emerso, viene consigliata all'utente la soluzione più adatta. Questi ultimi non sono siti gestiti direttamente da psicologi o da psicoterapeuti, ma in ogni caso alimentano certamente stereotipi e banalizzazioni del nostro lavoro.

In generale penso che questo tipo di "promozioni" nuocciano alla professione e siano particolarmente squalificanti per gli psicoterapeuti. Dal punto di vista etico e poi clinico credo che in questo modo non si faccia altro che colludere con quel tipo di utenza sempre più "normotica", e cioè orientata al godimento e priva di desiderio e che paradossalmente risulterebbe particolarmente refrattaria a qualsivoglia percorso di coscienza.

Purtroppo, tutto questo è il riflesso di una generazione abituata ormai alla sopravvivenza psichica (C. Lasch, 2008) che scappa dalle relazioni, con una soglia bassissima di tolleranza alle frustrazioni, ben identificata con certi valori consumistici della nostra società dove tutto può essere visto da una vetrina e dove tutto può essere acquistato o rigettato immediatamente.

Si possono costruire grandi fantasie nel cyberspazio, senza che qualche forma di realtà concreta possa disturbare il viaggiatore: basta un modem, una linea Internet e, per qualcuno, il contatto con l'esperto può sembrare addirittura più diretto e reale. Grazie alla protezione della rete la relazione resta impersonale e l'utente può aprirsi e parlare liberamente.

In fondo è su questa stupefacente ingenuità che sostanzialmente si basano i fautori della psicoterapia online, spingendosi addirittura a sostenere la superiorità qualitativa sulla terapia tradizionale che agevola una maggiore libertà da entrambe le parti, arginando timori e imbarazzo di una terapia faccia a faccia bypassando persino la distanza geografica.

Al che l'Ordine degli Psicologi replica: "il problema è, casomai, quello di dare lavoro a tutti gli psicoterapeuti d'Italia, alcuni dei quali si riciclano nella psicoterapia elettronica intravvedendo in Internet una nuova fonte di reddito ma, chi si mette nelle mani di questi analisti del web, rischia di sottoporsi a diagnosi approssimative senza nemmeno sapere se a rispondergli è l'analista in persona o, in sua vece, qualcun altro" (F. Margiocco, Corriere Economia, 2003).

A parte queste estremizzazioni, credo che ormai la comunità "Psi" abbia sdoganato Internet e il mondo informatico e che, in linea di massima, la maggior parte degli psicoterapeuti non disdegni l'uso del cellulare, degli SMS o delle e-mail.

È fuori discussione quindi che con questo mondo si debba fare i conti anche perché un po' di questo mondo si è già pacificamente insediato nei nostri setting e nelle nostre vicende terapeutiche.

I problemi lavorativi della categoria a cui appartengo, come per tante altre categorie di professionisti, sono notevoli e la questione del farsi conoscere e acquisire clientela fra questi.

C'è un bisogno di riconoscimento, c'è la necessità di uno status e poi c'è il sacrosanto bisogno di campare; ed è quindi ovvio che ad esempio, a fronte della straripante offerta di psicoterapeuti, si diversifichino e si moltiplichino le strategie di comunicazione pubblicitaria, pur di acquisire un po' di clientela.

Ma non tutto può andar bene. Basti pensare a chi incomincia e ai meno esperti che, a maggior ragione se utilizzano siti web, si possono trovare particolarmente esposti alla varia umanità della rete o ad accogliere domande di cura spesso inesistenti o impossibili.

Si stima che approssimativamente di 60 domande d'aiuto ricevute via Internet nel corso di un anno, solo 10 di queste hanno dato luogo anche un contatto telefonico utile e solo 6 di questi contatti telefonici si sono concretizzati in un primo colloquio (cfr. Documentazione raccolta dal Dott. Bordese).

Sperimentando personalmente, posso dire che sostanzialmente le domande non si differenziano tanto da quelle che si potrebbero ricevere in un qualsiasi consultorio pubblico dal punto di vista del contenuto: richieste formali di aiuto, di terapia, ma anche semplici richieste di consigli pratici, informazioni, esternazioni di bisogni e anche qualche pretesa.

Quello che stupisce è vedere il modo in cui viene chiesto. Inevitabilmente Internet appiattisce un po' tutto, pur tuttavia certe richieste o racconti sembrano messi lì senza nessun vero interesse, senza soggettività. Invece si intuisce immediatamente che c'è un aldilà di sofferenza che resta confinata in quelle poche impersonali domande intime oltremodo importanti.

Un semplice domandare che non sembra comportare nessuna implicazione per il richiedent. La comunicazione sul web non ammette vuoti, mancanze, sospensioni come quando invece ci si parla veramente.

La domanda molto spesso non supera la soglia del sintomo e forse la risposta più vera dovrebbe incominciare esattamente con una sua falsificazione, cioè interrogandola proprio su come è stata portata ma questo significherebbe mettere in discussione ciò che l'ha consentita, ovvero l'offerta.

Sta qui in fondo la differenza fra chi, desiderando sapere veramente qualcosa di sé attraverso una terapia, un supporto psicologico o una qualsiasi relazione d'aiuto, in un qualche modo rischia qualcosa giocandosi effettivamente nella vita reale e chi invece lo fa non esponendosi affatto da una postazione Internet.

Articolo della Dott.ssa Silvia Pozzi, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Lombardia

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Scritto da

Dott.ssa Silvia Pozzi

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