Influenze di natura motoria, cognitiva e affettiva del cervelletto

È stato ampliato il vocabolario funzionale attribuibile al cervelletto, sottolineandone il coinvolgimento nel coordinamento e nella gestione delle funzioni motorie, affettive e cognitive.

23 AGO 2022 · Tempo di lettura: min.
Influenze di natura motoria, cognitiva e affettiva del cervelletto

L'ambito motorio

Il cervelletto è una struttura tanto affascinante quanto complessa. Posta nella zona occipitale del cranio, adiacente alla zona pontina del tronco encefalico, si presenta come un riferimento modulare, che ha portato la scena scientifica degli ultimi vent'anni ad approfondire sempre di più le specifiche coinvolte nei vari circuiti di cui fa parte. Solo recentemente, infatti, è stato ampliato il vocabolario funzionale attribuibile al cervelletto, sottolineandone il coinvolgimento non solo nel coordinamento e nella gestione delle funzioni motorie, ma anche delle funzioni cognitive superiori.

Da qui emerge, dunque, un quadro complesso che i protagonisti della ricerca hanno approfondito, individuando i margini del funzionamento tipico e del disfunzionamento sintomatologico specifico. Partiamo dalle nozioni classiche: le conoscenze sul cervelletto sono radicate nell'ambito sensorimotorio. Già dagli inizi dell'Ottocento, la letteratura riporta studi lesionali dove deficit posturali e del movimento volontario vengono messi in evidenza a seguito di ablazioni a carico delle strutture cerebellari (Rolando, 1809).

Successivamente, l'evoluzione del frame teorico ha portato a sviluppare nuove proposte relative al ruolo del cervelletto. Vengono quindi considerati i domini della coordinazione motoria spontanea, della regolazione di riflessi e delle modificazioni on-line dei processi motori (vedi Dow & Moruzzi, 1958; Manto et al, 2012). L'ambito sensorimotorio dunque si ramifica, e l'analisi degli ambiti pertinenti fa emergere numerose influenze cerebellari. In ordine, e più precisamente, il cervelletto sembrerebbe essere coinvolto in primo luogo nel controllo del movimento oculare e nel controllo della stabilità di fissazione. A proposito, studi sui primati hanno dimostrato come la regione emisferica intorno al VII lobulo fosse legata al movimento saccadico e di inseguimento, in particolar modo sono state individuate le strutture del flocculo e del paraflocculo: Ohki e colleghi (2009), con uno studio su primati, hanno evidenziato come, in un compito di visual-tracking, dopo una lesione unilaterale cerebellare intorno all'emisfero VII, il primo movimento saccadico di inseguimento riscontrato nel loro campione sperimentale fosse meno preciso rispetto al loro campione di controllo sano; allo stesso tempo, anche la velocità del movimento post-saccadico dei macachi con lesione cerebellare risultava più lenta.

Questo studio propone un punto di vista relativamente recente ma già nel 1981, Zee e colleghi studiavano lesioni cerebellari nelle scimmie rhesus. Sempre in un compito di visual-tracking, gli autori misero in evidenza come deficit generali della fluidità della saccade, del riflesso vestiboloculare e nella soppressione del nistagmo vestibolare conseguissero a lesioni bilaterali del flocculo e bilaterali parziali del paraflocculo. La letteratura però non si ferma all'evidenza sperimentale sui primati. 

È presente anche una quantità significativa di studi sulla popolazione umana. Sono state osservate, infatti, lesioni e/o disfunzioni del cervelletto legate alla presenza di fenomeni come nistagmo "gaze-evoked", PAN (Periodic Alternating nystagmus) e SWSI (square wave saccadic intrusion), testimoniando la connessione funzionale tra cervelletto e stabilità di fissazione (vedi Manto et al, 2012). Altri studi lesionali hanno ricalcato il coinvolgimento del cervelletto sul dominio oculomotore: in pazienti con lesioni estese al cervelletto è stata riscontrata una maggior variabilità dell'accuratezza, una situazione di dismetria e una mancanza maggiore di responsività a nuove stimolazioni (Straube et al., 2001, vedi Manto et al., 2012).

Oltre che nel controllo oculomotorio, il cervelletto sembrerebbe implicato anche nel controllo dell'articolazione verbale. A livello funzionale è bene sapere che si trova coinvolto nel network subcorticale relativo all produzione verbale, insieme ai gangli alla base, adibito a forme più complesse di articolazione (es: suoni, parole linguisticamente rilevanti e frasi di senso compiuto) (Jürgens, 2002). Proprio per questo, una compromissione cerebellare comporta una condizione clinica caratterizzata da sintomi nella produzione motoria, lentezza dell'articolazione, appiattimento della prosodia, irregolarità del ritmo, classificata come "disartria atassica" (Darley et al., 1975; Holmes, 1917).

Il controllo cerebellare si estende poi anche alla prensione. Evidenze in letteratura hanno sottolineato come soggetti con deficit cerebellari mostrino difficoltà nel controllo dell'attività prensoria (Nowak et al., 2007). Rost e colleghi (2005) hanno testato pazienti con lesioni cerebellari e soggetti sani in un compito di movimento ciclico verticale nel quale i partecipanti dovevano tenere in mano un oggetto a tre velocità differenti. I pazienti hanno mostrato una forza di prensione maggiore rispetto ai soggetti sani. Ancor prima, però, Fellows e colleghi (2001) avevano individuato come danneggiamenti al nucleo dentato e alle cellule del Purkinje avessero ripercussioni anomale sulla componente predittiva relativa alla forza di prensione. Studi lesionali hanno anche sottolineato, infine, la relazione tra cervelletto e timing del movimento. Pazienti con patologie cerebellari, in particolare con lesioni alle regioni superiori, hanno mostrato difficoltà a produrre movimenti con intervalli temporali regolari (Ivry, 1997; Harrington et al., 2004).

Previsione?

Abbiamo approfondito il ruolo del cervelletto ed espanso il concetto di controllo che lo vede legato alle proprietà sensorimotorie. È indubbio, però, che già affrontando questo ambito riverberi una responsabilità più cognitiva, solo accennata nel capitoletto precedente a proposito dell'abilità di predizione della prensione. Per comprendere questo passaggio è necessario introdurre il concetto di controllo feedback (FB)e controllo feedforward (FF) (Kandel et al., 2000). Il movimento volontario è un'attività finalizzata, suscettibile all'apprendimento.

L'attività nervosa responsabile del movimento volontario si avvale di due meccanismi: il controllo FB e FF. Il controllo FB consiste nel paragonare le informazioni sensoriali con il modello di azione che stiamo implementando in modo da regolare il movimento. Interviene principalmente per il mantenimento posturale e per l'afferramento, ma è' un sistema limitato che dipende dalle condizioni esterne e può presentare ritardi nell'esecuzione, nionchè correzioni inappropriate. Il controllo FF è di natura anticipatoria, ovvero che agisce prima che le perturbazioni diventino operative. Agisce sia a livello posturale che generalmente sul movimento. Influenza anche il FB in quanto si serve sia della componente sensoriale che quella cognitiva. Dopo aver vissuto un'esperienza motoria, nel momento in cui vengono eseguiti movimenti simili, si preattivano circuiti adibiti in modo da preparare l'azione. I due sistemi lavorano in maniera sinergica e si pongono su un continuum.

Afferrare al volo di una pallina, ad esempio, parte con l'input visivo e la preparazione anticipata dei muscoli coinvolti nella presa. Una volta presa la pallina, il feedback sensoriale delle caratteristiche della stessa ricalibra, in base all'errore, la forza dei muscoli in gioco. Ia letteratura scientifica ha evidenziato la forte relazione tra il cervelletto e meccanismi predittivi FF dell'azione. Nello specifico, il consenso teorico sembrerebbe quello di un modello predittivo interno sensomotorio, utilizzato nell'apprendimento di associazioni volte al controllo FF, nella risoluzione di ambiguità sensoriali o nella previsione di segnali sensoriali (Angelaki et al., 2004; Blakemore et al., 2003; vedi Bastian, 2006). In pratica, la previsione del cervelletto avverrebbe anche relativamente a copie efferenti dei comandi di movimento oltre che sulla base di informazioni sensoriali.

Uno studio relativamente recente ha fatto luce sulla capacità di apprendere nuovi modelli forward. Miall e Jenkinson (2005) hanno, infatti, impostato un paradigma sperimentale di eye-hand tracking in neuro-imaging. Sono stati studiati gli effetti a lungo termine dell'apprendimento di pattern di coordinazione occhio-mano durante prove di tracking. Durante l'esperimento, gli effettori coinvolti (occhi e mano) si alternavano una posizione dominante: in alcune prove di tracking gli occhi guidavano la mano, in altre la mano guidava gli occhi. L'attivazione cerebellare si presentava precocemente nel processo di apprendimento, in concomitanza con errori nell'attività di tracking.

Questo ha portato gli autori ad ipotizzare che l'informazione derivata dall'errore fosse poi utilizzata per acquisire nuovi modelli di coordinazione occhio-mano. Dopo quattro giorni di pratica, l'attivazione cerebellare avveniva in relazione all'effettore: il cervelletto prevedeva lo stato di un effettore in modo da guidare l'altro. Non solo: l'attivazione cerebellare cambiava da siti specifici per gli occhi a centri specifici per la mano, corroborando l'ipotesi secondo la quale venissero effettuate previsioni sull'effettore guida in modo da gestire quello dipendente. Altre importanti informazioni arrivano sopratutto dai pazienti con lesioni. Nella maggior parte della casistica clinica, l'individuo con disfunzioni cerebellari perde il controllo predittivo ma mantiene relativamente intatto quello reattivo.

Morton e colleghi (2006) hanno misurato simultaneamente entrambi i tipi di controllo durante un compito sperimentale dove veniva chiesto a soggetti con lesioni cerebellari e controlli sani di camminare in un "semi" tapis-roulant. Questo particolare tapis-roulant poteva essere impostato su due velocità diverse contemporaneamente. Soggetti sani aggiustavano la deambulazione in base sia a cambiamenti rapidi di velocità che a cambiamenti graduali della postura delle gambe, adattando il ritmo alla velocità attesa. I soggetti con lesioni cerebellari effettuavano normalmente cambiamenti di ordine reattivo ma presentavano l'incapacità (o la difficoltà) di effettuare aggiustamenti di natura predittiva. Non solo. Il paziente cerebellare non sembrerebbe in grado di aggiornarsi in base all'errore (Maschke et al., 2004). Kakei e colleghi hanno ulteriormente approfondito questo aspetto in uno studio recente (2019) dove vengono individuate due componenti del controllo del movimento: una predittiva (F1) e una "correttiva" basata sul feedback sensoriale (F2). Analizzando le performances di pazienti con lesioni cerebellari e soggetti di controllo in uno smooth pursuit task dell'articolazione del polso, sono emerse difficoltà da parte dei pazienti cerebellari nella componente predittiva del movimento. Non sono emerse differenze significative con i controlli nella parte correttiva. Il mantenimento di un normale controllo FB è stato approfondito da Zimmet e colleghi (2020) per sfruttare le abilità preservate dei pazienti in ottica riabilitativa. E' stato visto come pazienti con atassia cerebellare migliorassero nel controllo del movimento attraverso alterazione del suo feedback visivo in realtà virtuale.

Processi non-motori

Abbiamo cominciato ad introdurre le modulazioni cerebellari a cavallo tra i domini motori e cognitivi, grazie al

. Recenti evidenze scientifiche hanno calcato questa visione, proponendosi di approfondire la fine complessità di elaborazione propria dei processi definiti, invece, non-motori (Strick et al., 2009). Un esempio a tal proposito è costituito, infatti, da quelli associativi, come nel caso del condizionamento classico. Sono stati portati avanti numerosi progetti sperimentali finalizzati allo studio del processo di condizionamento classico, attraverso l'osservazione di specifici riflessi della palpebra (apparato dell'eyeblink-conditioning, EBC) in risposta a stimoli condizionati.

Gli studi sono stati condotti sia sugli animali (Gormezano et al., 1983; Gruart et al., 1995; Gruart et al., 2000) che su soggetti umani (Evinger et al., 1991). Il coinvolgimento del cervelletto nei disegni sperimentali che presentano EBC è però cresciuto grazie al lavoro di Thompson e colleghi (1986), i quali hanno proposto l'esistenza di un circuito tronco-cerebellare responsabile della generazione e del controllo del riflesso condizionato della palpebra. La letteratura sull'uomo, d'altro canto, corroborerebbe questa proposta grazie alla rilevazione di un ritardo del riflesso condizionato EB a seguito di lesioni cerebellari. Nello specifico, pazienti con deficit cerebellari dovuti a degenerazioni o episodi lesionali presentavano un pattern alterato di apprendimento, resistente anche ad esposizioni ripetute (Topka et al., 1993; Daum et al., 1993). Differenze nelle caratteristiche dell'impairment derivavano probabilmente dalle caratteristiche specifiche del tipo di lesione.

Questa prospettiva scientifica, che ha studiato la responsabilità del cervelletto nel timing e nell'espressione della risposta condizionata, ha incontrato però ostacoli a livello funzionale. I neuroni del nucleo interposito cerebellare si attiverebbero, infatti, dopo l'insorgenza della risposta condizionata della palpebra. Il comportamento osservato ha portato Gruart e collaboratori (2000) a proporre un coinvolgimento indiretto del cervelletto, adibito al sostegno del processo di cui sopra, anziché alla sua generazione. Le cellule del nucleo interposto funzionerebbero, appunto, da modulatori. E dunque indubbio che il cervelletto rappresenti una componente attiva nel processo di condizionamento ma rimane ancora vago il suo ruolo specifico. La conseguenza che una disfunzione cerebellare ha sull'acquisizione condizionata è ancora oggetto di discussione. Da una parte è possibile che dipenda dalla bassa intensità dell'associazione (Welsh et al., 1992), dall'atra è stata avanzata l'ipotesi che le strutture cerebellari gestiscano la performance diretta della palpebra (Bracha et al., 2009) e che i deficit emergano da un'aspecifica risposta tonica dei circuiti coinvolti nell'eye-blink

Memoria lavoro e monitoraggio

Continuando ad analizzare le funzioni non motorie di competenza cerebellare, risulta interessante approfondire l'influenza esercitata sui processi di working memory (WM) e di monitoraggio. Brissenden e colleghi (2021) hanno studiato un paradigma in fMRI per isolare l'attività cerebellare in un compito di WM visuospaziale. Il campione, composto da soggetti maschi e femmine, è stato sottoposto ad un Visual WM task dove i partecipanti venivano indirizzati retroattivamente a ricordare la direzione del movimento di stimoli digitali (puntini). L'analisi dell'attività cerebrale nel periodo di delay del task ha localizzato il lobulo cerebellare VIIb e VIIIa. In particolare: l'intensità dell'attività delle suddette aree sarebbe stata legata alla quantità di items ritenuta nella working memory visuo-spaziale (VWM) coerente con la decodifica della direzione dello stimolo tenuto in memoria, allo stesso modo delle regioni frontali e parietali.

Significativa è la specificità di attivazione della regione rispetto allo stimolo. Gli autori hanno constatato come l'attività della porzione mediale del lobulo VIIb fosse legata alla codifica dello stimolo ricordato durante il paradigma. Questo esclude l'ipotesi di risposte di natura motoria e rappresenta un'evidenza importante di come si distribuisce il circuito mnestico fino al cervelletto. Non solo, però, WM visuo-spaziale. Anche la WM verbale farebbe parte di questo circuito. Marvel e Desmond (2010) hanno riportato studi di neuroimaging a proposito, che suggerirebbero una distribuzione funzionale all'interno delle sotto-regioni del cervelletto al servizio della WM verbale. Regioni mediali supporterebbero la parola esplicita; regioni laterali supporterebbero la programmazione e la preparazione della parola. Diversamente, regioni inferiori risponderebbero al mantenimento dell'informazione durante un deelay,, possibilmente in relazione a processi di immagazzinamento fonologico.

Analizzando, inoltre, disturbi di memoria a breve termine, sono stati osservati disturbi psichiatrici con implicazioni cerebellari che coinvolgono, appunto, disfunzioni della memoria a breve termine. Parliamo di dipendenze, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo depressione e schizofrenia (Ho et al. 2004; Hoppenbrouwers et al. 2008; Kim et al. 2001). L'interpretazione degli autori riporta ad una disregolazione della inner-speech (es: craving, ruminazioni, ossessioni, deliri) che sfocia in una perdita di controllo. Oltre alle funzioni di WM, il cervelletto sembrerebbe implicato anche nelle funzioni di monitoraggio di performance (vedi Peterburs e Desmond, 2016).

Per monitoraggio di performance si intende un insieme di abilità di natura cognitivo, sensoriale ed affettiva, le quali costituiscono le fondamenta del comportamento adattivo. Studi di neuroimaging hanno rilevato anche l'attivazione cerebellare in situazioni di codifica dell'errore (error processing, EP), reward learning e codifica del feedback (Greening et al., 2015; Remijnse et al., 2005). A tal proposito, abbiamo già parlato precedentemente del coinvolgimento del cervelletto nel modello FF, con attività di natura predittiva sull'impostazione del movimento. Più recentemente Avanzino e collaboratori (2015) hanno ulteriormente messo in evidenza la relazione tra cervelletto e predizione sensoriale. Il gruppo di ricercatori ha portato avanti un disegno sperimentale dove i partecipanti dovevano predire la fine di un movimento di un corpo umano e la fine di un movimento di un oggetto inanimato. Durante il compito, i soggetti erano esposti a un treno di stimolazione transcranica magnetica (TMS) sulla porzione laterale del cervelletto. L'inibizione in TMS era associata ad errori di timing relativi al solo movimento del corpo umano.

Questo testimonierebbe la partecipazione cognitiva cerebellare in processi di apprendimento sensori-motorio. Ulteriori prove del coinvolgimento cerebellare nel monitoraggio di performance arriverebbero dagli studi sull'EP e dall'onda ERN. L'onda ERN (Error-Related Negativity) è un segnale potenziale che si osserva in situazioni di conflitto o nella detezione dell'errore (discrepanza tra aspettative e outcome) (vedi Yeung et al., 2004). Un recente studio EEG con pazienti affetti da una progressiva degenerazione cerebellare sono stati osservati segnali ERN dall'ampiezza ridotta rispetto ad un popolazione sana. A questo si sommava una presenza di errori maggiore. Una successiva analisi morfometrica Voxel-Based ha evidenziato l'associazione tra la carenti capacità di monitoraggio della prestazione dei pazienti e una perdita di volume nella sostanza bianca cerebellare, specificatamente nelle regioni postero-laterali (Peterburs et al., 2015).

Parlando di comportamento adattivo risulta doveroso considerare, oltre la componente cognitiva, anche la componente sensoriale. In situazioni complesse, il feedback esterno è determinante. Analogamente all'onda ERN, anche il feedback processing presenta una deflessione negativa dell'ERP (Evocked Relative Potential): la FRN (feedback related negativity). Studi sull'apprendimento probabilistico (classificazione su base probabilistica dell'associazione cue-stimolo e dal feedback che ne deriva) hanno evidenziato un'attività cerebellare durante l'acquisizione di stimoli con alto valore predittivo (ovvero estremamente salienti nell'acquisizione della regola di classe), ipotizzando una modalità di aggiornamento o formazione di modelli interni (Lam et al., 2016). Coerentemente con questo punto di vista, sono emersi risultati interessanti da studi sull'apprendimento inverso. L'apprendimento inverso è un fenomeno di acquisizione che riguarda la capacità dell'individuo di apprendere regole opposte. Von der Gablentz e colleghi (2015) hanno sottolineato attivazioni cerebellari posteriori coordinate con attività prefrontale nella codifica del feedback di errore in un task di questo tipo. Moreno-Lopez e collaboratori hanno ulteriormente approfondito l'argomento, riscontrando un'attività cerebellare nell'acquisizione e nell'inversione dell'associazione stimolo-ricompensa.

Gli autori hanno anche rilevato una perdita di volume della sostanza grigia nelle regioni cerebellari posterolaterali di pazienti dipendenti dalla cocaina. Il grado di decadimento sarebbe stato collegato alla severità della dipendenza e l'estensione dei danni strutturali sarebbe stata direttamente proporzionale alla frequenza di errore nella capacità di switching tra le prove del paradigma (Moreno-Lopez et al., 2015).

Cerebellar Cognitive Affective Syndrome - CCAS

Alla luce delle evidenze proposte nel corso di quest'approfondimento, possiamo inquadrare il cervelletto sotto un'ottica sicuramente più integrata. Nonostante l'evoluzione esponenziale delle conoscenze al riguardo sia solo di stampo relativamente recente, già nel 1998 Schmahmann and Sherman descrivevano una particolare condizione patologica. In maniera da un certo punto di vista pionieristica, gli autori hanno sottoposto un gruppo di 20 pazienti con problematiche cerebellari ad un'approfondita analisi neurologica strutturale, neuropsicologica e funzionale. La valutazione funzionale al letto dei pazienti ha permesso di definire un parametro semi-quantitativo di comparazione dei deficit presentati. A questo venivano affiancante le analisi strutturali RM e la valutazione qualitativa neuropsicologica attraverso test standardizzati. I risultati di queste osservazioni hanno sottolineato un quadro cognitivo e comportamentale clinicamente significativo, che restituiva un coerente pattern di anomalie. Gli autori hanno così coniato l'espressione "cerebellar cognitive affective syndrome" (o CCAS) per indicare pazienti cerebellari affetti da disabilità esecutive (pianificazione, memoria lavoro, monitoraggio, ragionamento astratto), frequenti perseverazioni, distraibilità, disfunzioni visuo-spaziali, cambi di personalità (da apatia a disinibizione), disartria atassica e leggero agrammatismo (tabella 1). Questi effetti emergevano più netti in fase acuta. In linea generale, una lesione cerebellare sembrerebbe ripercuotersi dunque in maniera diffusa sull'individuo.

Può sorgere però una domanda: è possibile che l'ampio ventaglio sintomatologia descritto possa dipendere da altri fattori o dal coinvolgimento di più aree encefaliche a seguito di lesioni aspecifiche?

Gli autori hanno provveduto ad appiattire il più possibile l'influenza di queste variabili attraverso la selezione del campione. Sono stati infatti esclusi pazienti con lesioni estese al cervello, pazienti di età superiore ai 75 anni, pazienti che presentavano quadri di deterioramento cognitivo (Alzheimer e Parkinson), epilessia o disordini psichiatrici pregressi. Inoltre l'inclusione dei pazienti era indipendente dalla presenza di quadri disfunzionali di ordine cognitivo. Gli autori hanno proposto un processo di diaschisi alla base delle generali disfunzioni osservate, sostenuto da un'ipoperfusione registrata nelle aree fronto-parietali. Nonostante l'analisi sicuramente esaustiva e dal contenuto clinicamente molto importante, c'è da dire che il lavoro di Schmahman e Sherman si presenta più come un punto di partenza piuttosto che di arrivo.

Un limite significativo è la numerosità del campione. L'osservazione effettuata su 20 pazienti non risulta sufficiente a implementare un chiaro riconoscimento clinico della CCAS. La letteratura si è però impegnata al riguardo. Ahmadian e colleghi (2019) si sono posti la seguente domanda: "pazienti con lesione isolata cerebellare performano peggio dei soggetti sani ai test neurospicologici nei domini cognitivi considerati da Schmahman e Sherman?". È stata condotta perciò un'analisi complessiva della letteratura disponibile.

Paragonati ai soggetti di controllo, pazienti con lesioni cerebellari presentavano anomalie riscontrabili nella velocità di processamento, nelle funzioni esecutive, nella memoria, nel linguaggio e nelle competenze visuo-spaziali. Una discrepanza, questa, non solo statisticamente significativa ma anche clinicamente rilevante. Coerentemente con i risultati di questo studio, Hoche e collaboratori (2018) hanno evidenziato una prestazione considerevolmente peggiore di pazienti cerebellari rispetto a soggetti sani nella maggior parte di 36 test neuropsicologici somministrati per i domini cognitivi considerati sopra. Una differenza significativa da tenere a mente relativa a questo studio è l'inclusione anche di pazienti con lesioni non prettamente cerebellari. Le evidenze scientifiche, dunque, sostengono la presenza di una modulazione cerebellare dei domini cognitivi, coerente con l'idea di una diaschisi funzionale dei circuiti cerebro-cerebellari (Van Baarsen et al., 2014, Schmahman & Sherman, 1998). In più, analisi fMRI hanno evidenziato una rappresentazione cerebellare dei network fronto-parietali e default-mode-like, assieme ad attivazioni relative a compiti di natura cognitiva (vedi Stoodley et al., 2009).

Non solo adulti: l'importanza del cervelletto nel neurosviluppo

Nei capitoli precedenti abbiamo preso in considerazione la struttura cerebellare da un punto di vista generale, approfondendo poi gli effetti di una sua disfunzione nella popolazione adulta.

Ma cosa succede nei bambini? Quale grado di importanza ricopre? Che influenze ha nello sviluppo?

La letteratura scientifica a riguardo sembrerebbe indicare perlomeno un interessamento del cervelletto nel sostegno di processi cognitivi. Studi condotti su pazienti con disturbi del neurosviluppo hanno evidenziato la presenza di malformazioni delle strutture cerebellari (vedi Steinlin, 2008). Nello specifico, bambini con sindrome di X fragile presentavano una riduzione intorno al verme posteriore. Questo tipo di anomalia sembrava essere associata con i problemi cognitivi della sindrome in questione (Mostofsky et al., 1998).

Anche bambini con sindrome di Williams hanno presentato anomalie funzionali delle zone cerebellari in studi spettrografici di risonanza magnetica che correlavano con le prestazioni ai test neuropsicologici (Rae et al, 1998; Jones et al., 2002). Osorio e colleghi (2014) hanno recentemente esplorato il volume cerebellare di individui con sindrome di Williams e individui normotipici ed hanno visto come, nonostante dimensioni encefaliche minori, il volume cerebellare (relativamente a quello intracranico) risultava proporzionalmente maggiore nella popolazione di soggetti con sindrome di Williams rispetto alla situazione degli individui normotipici.

Alterazioni strutturali del verme e del lobulo posteriore cerebellare VI-VIII sono state, inoltre, trovate in bambini con ADHD. Queste risultavano significative rispetto a soggetti di controllo sani (Berquin et al., 1998).

Ipoteticamente, nonostante la letteratura indichi ADHD come un disturbo legato ad anomalie frontali, gli autori hanno proposto una disfunzione del circuito cerebello-talamico-prefrontale alla base dei deficit più cognitivi del disturbo. È altresì vero che le evidenze sulle connessioni fronto-cerebellari non possono che alimentare l'ipotesi che disfunzioni frontali e cerebellari possano coesistere. A sostegno di ciò è stata riscontrata un'alterazione dell'attività di base sia fronto-parietale che cerebellare bilaterale in soggetti con ADHD (Zang et al., 2007). Il focus scientifico ha cominciato ad occuparsi dell'eventuale ruolo del cervelletto anche nel disturbo dello spettro autistico (ASD). Becker e Stoodley (2013) hanno puntualizzato le somiglianze sintomatologiche tra pazienti affetti da CCAS e ASD (anomalie linguistiche, spaziali ed esecutive, così come disregoalzioni socio-affettive), rimarcando la fragilità del cervelletto durante il primo anno di vita, nonché il suo eventuale coinvolgimento in disordini evolutivi tra i quali l'autismo (Bolduc e Limperopolous, 2009).

Evidenze strutturali hanno evidenziato una relazione tra la variazione di volume cerebellare e cerebrale. Bolduc e collaboratori hanno analizzato la presenza di malformazioni cerebellari perinatali (2012) portano in primo piano un legame tra le anomalie presenti sul verme e la positività dei medesimi pazienti a test di screening per ASD. Differenze significative tra popolazioni normotipiche e affette da ASD sono state trovate a livello delle strutture cerebellari, congruenti, inoltre, con la sintomatologia motoria tipica delle anomalie a carico del cervelletto (vedi Becker & Stoodley, 2013). Le evidenze riportate nel corso degli anni hanno sicuramente escluso una relazione casuale con questo tipo di disturbo.

La frequenza con cui le alterazioni volumetriche di sostanza bianca cerebellare vengono riscontrate può indicare, con un discreto margine di sicurezza, l'interessamento di questo distretto nell'ASD. Questo sarebbe coerente anche con le ipotesi di frontiera, secondo le quali l'autismo sarebbe sostanzialmente un fallimento delle capacità predittive. Sulla scia dell'ipotesi frontale di ASD, infatti, sono stati approfonditi i processi alla base della sintomatologia triadica core, integrando le prospettive già esistenti al riguardo, come la Theory of Mind e la teoria della coerenza centrale debole (vedi Frith, 2001; 2003).

Sinha e colleghi (2014) hanno dunque riportato le anomalie socio-cognitive dell'autismo alla necessità di ridurre al minimo il grado di imprevedibilità di una situazione. Conseguenza, questa, di una difficoltà di anticipare, prevedere, presagire e agire. Il cervelletto, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, partecipa ai processi cognitivi anche di natura predittiva e presenta modulazioni circuitali fronto-parietali (vedi Stoodley et al 2009). Una corrente recente di studi ha proposto, invece, un'ipotesi immunologica che andrebbe a coinvolgere le cellule cerebellari nell'autismo. Wills e collaboratori (2008) hanno evidenziato una reazione immunitaria identificando autoanticorpi a danno delle cellule neurali del cervelletto. Rout e Dhossche (2008), a sostegno di questi risultati, hanno suggerito che questo processo, il quale coinvolgerebbe antiGAD (anti-glutamate acid decarboxylase), possa essere addirittura all'origine del disturbo dello spettro autistico. Questo non escluderebbe il frame teorico discusso sopra ma ne arricchirebbe il background dal punto di vista neurofisiologico.

Interessamenti cerebellari sono stati riscontrati anche nei disturbi specifici dell'apprendimento (DSA). Nello specifico: dislessia e disortografia presentano un deficit di transcodifica dell'informazione, attribuibile all'apprendimento procedurale, che ben si sposa con un'alterazione dei circuito moto-cerebellari (Nicolson & Fawcett, 2011). A supporto di ciò, studi funzionali hanno suggerito il coinvolgimento del cervelletto in network adibiti alla lettura, ed è stata riscontrata una differenza significativa nel volume della sostanza grigia cerebellare tra individui con dislessia e individui senza disturbi dell'apprendimento (Stoodley & Stein., 2012). Differenze significative sono state trovate anche tra gli individui con dislessia. E' però anche vero che questo non indica una piena responsabilità del cervelletto. Così come pazienti cerebellari non hanno sempre una difficoltà nella lettura, è anche vero che pazienti con dislessia non sempre presentano una comorbidità cerebellare. È indubbio però che, nella complessità del network che favorisce i processi di letto-scrittura, il cervelletto risulti successivamente coinvolto, partenendo primariamente, però, da un problema neuroevolutivo più basale.

Conclusioni

Abbiamo analizzato il cervelletto e l'estrema importanza che ricopre nella coordinazione di processi motori e non motori. Nonostante l'evoluzione scientifica abbia portato solo recentemente a comprendere meglio questa struttura, spesso trascurata, emerge comunque un insieme corposo di evidenze che testimoniano le influenze motorie, cognitive ed affettive del cervelletto. Alla luce delle evidenze presentate è pertanto innegabile come le riserve cerebellari abbiano in mano l'efficienza della coordinazione. Il nodo centrale sembrerebbe quello di levigare le operazioni cognitive in gioco, risultando, nel caso di una lesione, in una perdita di efficacia multidominio. Partendo dall'ambito sensomotorio, il cervelletto, come ampiamente sottolineato, parteciperebbe infatti ai processi di controllo dei movimenti (vedi Manto et al., 2012) e di previsione feed-forward.

Coerentemente, nell'ambito esecutivo, l'attività cerebellare costituirebbe un nodo importante per processi di WM, updating, shifting, processamento dell'errore e del feedback (vedi Seese, 2020; Stick et al., 2009). Questo risulta evidente dall'analisi della popolazione clinica. La sintomatologia della CCAS propone un quadro complesso che supporta il grado di efficienza cerebellare. Nonostante in alcune istanze la posizione del cervelletto non risulta chiara (Stoodley & Stain, 2012), comunque non può e non deve essere pensato solo come comparatore motorio. La letteratura fornisce numerose prove che vanno sicuramente al di là della casualità. Studi futuri potranno, quindi, indirizzarsi verso questa struttura per evolvere una plausibile ottica clinica, vista la crucialità riscontrata anche nell'ambito dei disturbi dello sviluppo.

 

PUBBLICITÀ

Scritto da

Dott. Gianmarco Mellini

Bibliografia

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