Il ruolo fondamentale della famiglia nella cura della malattia cronica

Cosa succede in un nucleo famigliare quando uno dei suoi componenti si ammala gravemente? Quali sono i fattori di sostegno e di aiuto al malato nella gestione della sua condizione clinica?

12 MAG 2015 · Tempo di lettura: min.
Foto di essentiaforall

Raramente un paziente entra nella malattia in solitudine. Anche se a livello concreto si ammala da solo ed i sintomi fisici colpiscono una singola persona, tutti gli altri membri della famiglia risentono immediatamente delle conseguenze: la malattia, infatti, modifica in misura significativa i ritmi e le abitudini di vita quotidiana di tutto il nucleo, portando un "attacco invisibile" proprio al tessuto familiare che tiene uniti i membri fra loro (De Bernart R., 2004).

L'evento critico della "malattia" costringe diversi sistemi ad incontrarsi. Il sistema sanitario, terapeutico e delle cure spesso istituzionalizzate viene avvicinato dal sistema familiare e il punto di congiunzione è costituito proprio dal paziente; tale rapporto viene mediato dai membri del sistema sanitario, in diretto contatto con i bisogni del malato e della sua famiglia.

In generale il ruolo del coniuge e degli altri familiari presenti nel nucleo, il loro sistema di atteggiamenti e di comportamenti, risultano essenziali nel favorire o nel rendere più difficili l'adesione ai programmi di cura, il raggiungimento degli outcome riabilitativi e il reinserimento sociale e occupazionale del paziente stesso. Già dal primo incontro si viene perciò a creare un triangolo terapeutico di cui il medico deve essere consapevole, così da poterlo utilizzare nel modo migliore e nell'interesse del paziente stesso.

Le prime risorse presenti all'interno del contesto familiare sono quindi costituite dalle forze individuali di ogni componente; non bisogna mai darle per scontate o sottovalutarle, in quanto ogni membro del nucleo può avere dei 'talenti nascosti' in grado di aiutare sia il malato, sia il resto della famiglia.

La famiglia costituisce la prima fonte di supporto

Le persone che compongono tale rete di sostegno possono variare di caso in caso e l'estensione è influenzata anche dai valori presenti all'interno di ciascun nucleo. In certi casi all'interno del contesto familiare verranno inclusi gli amici, i parenti ed i vicini di casa; in altre situazioni, invece, si darà un maggior valore all'autonomia, senza ricercare l'intervento esterno di nessuno.

Il ruolo decisivo della famiglia nell'affrontare la malattia è stato dimostrato in numerosi lavori, come quello di Wineman (1990); egli ha evidenziato quanto la soddisfazione e l'umore dei familiari possano costituire degli indicatori indiretti del benessere emozionale nella persona affetta da una patologia cronica, mentre i sentimenti di incertezza indotti dalla malattia in chi presta assistenza risultano avere effetti negativi sui malati. Alcuni studi indicano invece che le componenti emotive familiari nelle malattie organiche croniche si distribuiscono secondo un andamento caratteristico: l'atteggiamento critico si dimostra l'unico fattore di rischio mentre il calore affettivo è un fattore estremamente protettivo.

Vari autori sottolineano il ruolo centrale che la famiglia riveste specialmente in particolari momenti della storia clinica di un paziente, quale la riabilitazione. Se permane un interesse scarso o superficiale da parte della famiglia, o un interesse eccessivo, si può arrivare ad una cronicizzazione e persino ad un aggravamento delle condizioni del paziente (Dell'Antonio,'92). Altri risultati importanti, sebbene risalenti agli anni'80, mostrano come l'intervento familiare possa essere in grado di migliorare il trattamento della malattia (Morisky et al.,1983).

I timori del malato

Nonostante il nucleo di appartenenza costituisca la forma di supporto più vicina ed immediata, a volte il malato preferisce allontanarsi dalle reti familiari di cui fa parte e rimanere da solo ad affrontare e gestire la malattia. Talvolta la persona teme la reazione dei suoi familiari e preferisce prendere le distanze da loro, isolandosi per proteggere i suoi cari da un evento critico quale la malattia; certe volte invece le motivazioni non sono così chiare nemmeno al malato stesso.

Sono ipotizzabili diverse tipologie di intervento che lo psicologo può utilizzare rispetto alla disfunzionalità familiare ai fini di incrementare sia l'accettazione della malattia, che il livello di sostegno fornito al membro colpito.

Il counseling familiare ha come obiettivo l'empowerment sociale; permette di individuare i pattern relazionali maladattivi alla base dei problemi che molti pazienti presentano, migliorando il funzionamento dell'individuo nell'ambito di relazioni in corso o future attraverso un uso esplicito della relazione psicoterapeutica come mezzo per agevolarne il cambiamento.

Si può fare ricorso anche ai cicli di psicoterapia di coppia e/o familiare, agli interventi educazionali finalizzati al miglioramento dei meccanismi di copingfamiliari nelle fasi terminali della malattia ed alla consulenza sistemica centrata sulle relazioni tra il paziente, la famiglia e l'équipe. L'intervento psicologico aiuta, infatti, ad elaborare il'lutto' (malattia), a supportare nelle fasi critiche della vita del paziente prevenendo le ricadute, ad accettare la malattia e la disabilità.

Le strategie per la gestione dei sintomi fisici e del disagio psicologico, nonché quelle relative all'attivazione delle risorse familiari, devono tuttavia essere sempre riunite all'interno di un unico e articolato processo terapeutico, pur nel rispetto delle specifiche competenze professionali. È quindi auspicabile che anche il personale medico-sanitario affini le proprie sensibilità e capacità verso un'ottica relazionale per meglio entrare in rapporto con il paziente, considerando, al tempo stesso, le relazioni familiari più significative.

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Scritto da

Dott.ssa Ambra Mazzola

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