Il cannibalismo nei serial killer: ipotesi esplicative

Come spiegare l’atto di mangiare alcune parti o tutto il cadavere della vittima?

11 LUG 2016 · Tempo di lettura: min.
Il cannibalismo nei serial killer: ipotesi esplicative

Uno degli aspetti che provoca più orrore nel comportamento di alcuni serial killers, sicuramente, è l'atto di mangiare alcune parti o tutto il cadavere della vittima. Per capire questo tipo di condotta e il perché venga attuata, vedremo prima cosa si intenda per cannibalismo e poi saranno presentate delle ipotesi esplicative del fenomeno.

Secondo Galimberti (1999) tale termine si riferisce alla "pratica reale o rituale di mangiare la carne dei propri simili". L'origine del termine dovrebbe risalire ad una cronaca di Cristoforo Colombo di ritorno dal suo primo viaggio dalle Antille ed in cui riferisce di "mangiatori di uomini chiamati Canibi".

Di cannibalismo ne esistono varie forme, e gli antropologi le hanno classificate in tal modo (Centini, 2001):

  • autocannibalismo: quando la pratica viene svolta sul corpo di chi compie il rito;
  • esocannibalismo: i soggetti mangiati non fanno parte della società;Endocannibalismo: quando si mangiano individui che fanno parte dello stesso gruppo, spesso familiare.

Le scienze sociali, inoltre, distinguono quattro tipologie di cannibalismo a completamento di quelle precedenti:

  • la profana: la carne umana viene considerata come un qualunque prodotto alimentare;
  • la giuridica: la carne umana può essere mangiata perché appartenente ad un individuo allontanato, per varie motivazioni, dal gruppo di appartenenza;
  • la magica: l'assunzione di carne di un individuo consente di assumerne le qualità;
  • la rituale: la carne umana è parte integrante di un rito che la correla alla sfera del sacro.

L'Fbi, nella sua classica distinzione tra serial killer organizzato e disorganizzato, inserisce quelli cannibalici tra i disorganizzati. Gli appartenenti a questa categoria sono tra i più violenti, incontrano quasi sempre la vittima per caso e si accaniscono sul corpo in maniera sadica attraverso smembramenti e mutilazioni. Un ipotetico identikit del serial killer cannibale potrebbe essere: impulsi avidi forti di tipo orale, impulsi di tipo aggressivo (mordere e distruggere), presenza di pensiero concreto (poco capace alla formulazione di pensieri astratti) e capacità di elusione delle regole interne che supervisionano il comportamento morale dell'individuo. Tuttavia, sappiamo come questi profili spesso siano più mediatici che utili alle investigazioni

Freud spiegava questo tipo di comportamento attraverso l'impulso da parte del soggetto di interiorizzare, appropriarsi dell'altra persona. Nella fase orale, infatti, dopo aver succhiato il latte dal seno materno (azione questa che provoca gran piacere nell'area della bocca), subentra l'impulso di mordere il seno materno, azione che simboleggia l'incorporazione ed il possesso di tale oggetto.

Ma la spiegazione psicoanalitica, a mio avviso, non è sufficiente a spiegare tale fenomeno. Adottando una spiegazione Costruttivista-Postrazionalista, che sottolinea una coerenza di comportamento da parte dell'individuo e una coerenza del sintomo in relazione all'Organizzazione di Significato Personale, non si può generalizzare circa la spiegazione della condotta cannibalesca, poiché ciascun serial killer ha una personalità differente derivata da rapporti affettivi differenti ed attribuirà, all'atto cannibalico, significati differenti. Provo a chiarire.

La teoria di riferimento è la teoria dell'Attaccamento di J. Bowlby che sottolinea la qualità del legame (in senso di cura e protezione) che ognuno di noi ha avuto con la persona, generalmente la mamma; oppure persone che si sono prese cura di noi fin da piccoli. Sono stati individuati quattro principali stili affettivi:

Stile Sicuro (B)

Questo è lo stile affettivo dei bambini che sono sicuri che quando sono in difficoltà la mamma verrà a consolarli e li proteggerà da qualsiasi pericolo. Questo tipo di attaccamento fa percepire al bambino di essere una persona amabile e degna di cure. Questa categoria, come vedremo più avanti con la categoria D, secondo la classificazione della P. Crittenden è trasversale alle prossime due, ovvero la A e la C, in quanto si parte dal presupposto che un individuo, nell'arco del suo sviluppo, possa passare da uno stato normale, ad uno un po' più rigido (nevrotico), fino ad arrivare ad uno stato molto rigido e quasi scisso (psicotico)

Stile Evitante (A)

Questo è lo stile affettivo dei bambini che ignorano la mamma ed evitano anche il contatto con lei. Se la mamma tenta di prenderli in braccio non si spostano, ma sono sostanzialmente indifferenti. Ciò è stato causato dal fatto che quando il bambino piangeva o aveva bisogno delle cure della figura di riferimento, questa ha ignorato tali bisogni, non raccogliendo né soddisfando quindi le richieste del bambino

Stile Ambivalente (C)

I bambini con questo stile affettivo sono piuttosto ambivalenti nei confronti della madre, cercano il contatto con lei, ma al contempo vogliono stare da soli. Se vengono lasciati da soli si infuriano e cercano la figura di attaccamento, ma quando questa viene, la ignorano. Ciò è dovuto alle attenzioni incostanti ed ambivalenti della mamma, che non dà punti di riferimento certi al figlio: alcune volte risponde ai suoi bisogni, ma altre volte no

Stile Disorganizzato (D)

Questi bambini sono molto rigidi e disperati, inoltre, sono costantemente attanagliati dalla paura. Ciò è dovuto, la gran parte delle volte, al fatto che il bambino è stato sottoposto ad un qualche tipo di molestia (sia fisica che psicologica) ed è affetto da un paradosso: la figura di attaccamento che gli dovrebbe fornire cure ed amore è la stessa che lo maltratta e gli mostra odio. Come accennato in precedenza, anche questa categoria è trasversale alle altre due precedenti (A e C), secondo sempre la classificazione di P. Crittenden

Ad ognuno di questi stili affettivi corrispondono delle emozioni di base e dei temi di vita che accompagnano il soggetto per tutta la vita. Così il soggetto con attaccamento A ha emozioni di disperazione e rabbia e sperimenta costantemente la paura dell'abbandono e della scarsa amabilità. Se un serial killer ha un attaccamento di questo tipo probabilmente adotterà il cannibalismo con delle persone che ritiene degne di essere amate e introiettando loro, di conseguenza, potrebbe diventare anch'egli amabile, oppure utilizzerà tale condotta con persone che ha percepito come rifiutanti ed abbandoniche, provocando la disperazione e una rabbia molto violenta. Il soggetto con attaccamento C ha, come emozioni di base, la paura e la curiosità con temi di vita di protezione ed autonomia. Un serial killer con questo tipo di stile affettivo è soggetto al controllo della situazione, quindi si potrebbe ipotizzare che mangi le sue vittime per esercitare un controllo sulla loro persona (intesa sia come persona fisica che psicologica).

Altra ipotesi è che le vittime vengano percepite come troppo costrittive, ovvero troppo vicine emotivamente, fornendo un senso di Sé "incastrato", o troppo sprotettive, ovvero, percepite come poco accessibili nei momenti di bisogno, soprattutto se le vittime sono persone molto significative. Il soggetto con attaccamento D è totalmente incoerente sia verbalmente che mentalmente ed ha un comportamento irrazionale ogni volta che si sente minacciato o si parli di abuso o morte, e il serial killer con questo tipo di attaccamento potrebbe cannibalizzare le proprie vittime per una sorta di vendetta simbolica rispetto agli abusi ricevuti nell'infanzia e/o per incapacità di una modulazione ed organizzazione delle proprie emozioni. L'attaccamento sicuro B, naturalmente, non dovrebbe avere esiti devianti, poiché il soggetto è dotato di "anticorpi" emotivi contro gli eventi negativi e stressogeni della vita. Questo, tuttavia, non garantisce che, in presenza di un evento particolarmente significativo e traumatico, anche tale stile affettivo potrebbe essere soggetto a condotte particolarmente devianti.

Naturalmente queste sono solo delle ipotesi che dovranno essere verificate e integrate in questo specifico ambito criminologico, ma credo che delle spiegazioni che tengano conto di tutto un percorso di vita di un soggetto, e di come egli abbia articolato il significato coerente della propria personalità, chiariscano meglio alcune condotte che, anche se particolarmente violente ed efferate, hanno una coerenza con tutti gli altri comportamenti socialmente accettati dello stesso individuo.

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Scritto da

Dott. Massimo Bedetti

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