I familiari nella terapia con i bambini e gli adolescenti
Spesso nel coinvolgere i familiari di un adolescente o di un bambino, questi vivono il timore di essere colpevolizzat, invece possono essere una risorsa fondamentale per la terapia.
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Marta mi contatta per chiedermi un appuntamento per suo figlio, Piero, che soffre di disturbi della condotta da qualche tempo e non sa più come fare, specie perché si trova ad affrontare la situazione da sola, essendo divorziata dal padre del bambino da circa due anni.
Giacomo giunge a studio per via della paura dei genitori che perda l'ultimo anno di liceo, non avendo più voglia di studiare e avendo spesso difficoltà ad andare a scuola a causa di una serie di sintomi fisici che non trovano spiegazione nei molti accertamenti medici fatti.
Cos'hanno in comune Piero e Giacomo? Due sintomi, due difficoltà che possono essere visti come dovuti a qualcosa in loro che non va, che non funziona o che si è rotto, oppure come il segnale di un disagio che non riguarda solamente loro due ma anche i sistemi familiari in cui sono inseriti.Se andiamo ad osservare le molte richieste di terapia per bambini e adolescenti ricevuti a studio, dietro sembra sempre palesarsi un timore da parte della famiglia di farsi coinvolgere, quasi per la paura costante di essere giudicata, accusata e ritenuta responsabile dei "sintomi" dei figli.
Gran parte del lavoro iniziale è necessario basarlo affinché i familiari riescano a non percepirsi come la causa di un problema ma come una risorsa fondamentale per poterlo superare.
Ciascuno di noi è, infatti, inserito all'interno di un contesto di cui sente l'influenza con le sue richieste, aspettative e dinamiche di vario tipo e per comprendere ciò che ci accade e i nostri sintomi è fondamentale considerare quanti più elementi possibili.
Se ad un certo punto della mia vita ho problemi con la pressione alta, dovrò prendere per forza in esame oltre al mio stile di vita anche l'ereditarietà di quella problematica e se chiedo a mia madre se qualcuno in famiglia soffriva di pressione alta oppure se le faccio presente che io, come anche lei, ho quel disturbo, lei risponderà tranquillamente senza pensare che la stia accusando di nulla. Se invece ad un certo punto della mia vita sviluppo dei sintomi depressivi e in seguito ad una richiesta del terapeuta le chiedessi se qualcuno in famiglia ha sofferto di depressione oppure se si ricorda come lei si sentiva quando si trovava ad affrontare il mio stesso periodo di vita, ecco che subito inizierebbe, probabilmente, a sentire un formicolio alla base del cranio e ad assumere un atteggiamento difensivo ed evasivo, quasi come se la stessi accusando di essere responsabile di ciò che mi succede.
In psicologia è essenziale abbandonare però un'ottica lineare e di causalità diretta per accogliere un punto di vista circolare che ci consenta di prendere in esame quanti più fattori possibili, così da avere una visione quanto più completa e complessa di ciò che sta accadendo.
Tempo fa una mia amica mi chiedeva se tutte le persone che subiscono un trauma poi sviluppano dei problemi psicologici, assolutamente no. Se spesso mi trovo a convocare le famiglie dei giovani "pazienti' non è per accusare qualcuno ma semplicemente per ricevere un aiuto dalle persone più competenti che esistono nell'aiutare quel giovane. Spesso però il timore di chi è dall'altra parte è proprio quello di venire o sentirsi accusati e pensare di essere i responsabili del problema.
Una cosa che è importante che tutti dovrebbero avere chiaro è che in terapia non esiste e non è utile pensare alla colpa.
Sono certo che qualunque genitore cerca di fare il meglio per il proprio figlio con le risorse e le competenze che ha. Molto spesso però ognuno di noi si trova a comportarsi e a reagire, senza saperlo, sulla base di vissuti emotivi che sono il risultato della nostra storia e delle relazioni che abbiamo con la nostra famiglia d'origine e allargata. Ecco che allora vedere quante più persone possibili in terapia, diviene essenziale sia per capire cosa il disagio della persona sta cercando di comunicarci (ebbene sì i sintomi sono un mezzo di comunicazione) sia per avere la possibilità di intervenire su alcune situazioni che apparentemente non hanno a che fare con il "sintomo" ma che, invece, sono la chiave di lettura della situazione.
Torniamo all'inizio. Il papà e la mamma di Piero erano ormai vari anni che si trovavano immersi in un conflitto di coppia che coinvolgeva non solo loro ma tutti coloro che avevano intorno. Marta, senza rendersene conto, con il suo comportamento e con le frasi che diceva, tendeva spesso a svalutare l'ex marito che, a sua volta, per una difficoltà nel relazionarsi con lei non riusciva a mantenere una linea genitoriale condivisa e, allo stesso tempo, non era in grado di svolgere la propria funzione paterna e rischiava spesso di divenire eccessivamente amichevole senza poter dare delle regole ferme per il timore che il figlio si allontanasse da lui.
In tutto ciò Piero con i suoi sintomi manifestava qualcosa che non andava ma che non aveva a che vedere solo con sé ma con tutte le persone della sua famiglia coinvolte, richiedeva il contenimento da parte dei suoi genitori, li richiamava ad andare oltre le loro dinamiche come coniugi e ad assumersi il loro ruolo genitoriale. Se i genitori di Piero non avessero accettato di farsi coinvolgere, probabilmente il disagio di Piero sarebbe rimasto più a lungo a segnalare che qualcosa non andava oppure sarebbe scomparso, magari anche grazie all'aiuto di qualche farmaco dato da qualche medico consultato per l'occasione, per poi comparire sotto qualche altra forma più in là, forse quando diventava adolescente o, chissà, magari andando ad influenzare le sue relazioni di coppia.
I genitori di Piero hanno deciso invece di mettersi in gioco e hanno lavorato sulle loro dinamiche riuscendo a svolgere una funzione genitoriale che ha permesso di andare oltre i loro conflitti e le rivendicazioni per contenere le angosce del figlio che manifestava attraverso i suoi sintomi.
Nei colloqui fatti con Giacomo e con la sua famiglia, invece, è emerso come questi con le sue difficoltà stava manifestando una grande difficoltà ad uscire dalla propria famiglia, a immaginare di potersi svincolare. Questi da anni era, infatti, incastrato nel ruolo di custode della famiglia; consulente della madre e sostituto paterno quando questi era via per lavoro. Cosa sarebbe successo a questa famiglia se lui usciva di casa per andare a studiare fuori come era stato previsto da anni? Era questa la domanda che inconsciamente aveva dato origine ai suoi "sintomi"; questi gli permettevano di non uscire di casa e lasciare la situazione invariata apportando così un contributo essenziale all'armonia della famiglia.
Se avessi incontrato solo lui, sarebbe stato più complesso lavorare su tali elementi e favorire che questi abbandonasse la sua funzione familiare per poter così prendere in mano la sua vita senza la paura o il senso di colpa per aver "tradito" gli altri membri del sistema.
Se ho parlato di questi esempi di casi realmente giunti a studio, con nomi inventati, è solo per dare una testimonianza dell'importanza che ha il coinvolgimento dei familiari nelle terapie con bambini e adolescenti e di quanto ciascuna persona coinvolta è riuscita a trovare un vantaggio dal partecipare alle sedute. Nessun genitore è stato ritenuto colpevole della situazione in essere ma tutti hanno dato il loro contributo e sono stati utili per cambiare una situazione di sofferenza.
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