Fiabe per crescere: Hansel e Gretel

Le fiabe, nell'ottica psicoanalitica, esprimono in forma simbolica i principali dilemmi della vita, i conflitti e le fatiche che ogni bambino vive durante la crescita. Impariamo a conoscerle

17 GIU 2019 · Tempo di lettura: min.

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Fiabe per crescere: Hansel e Gretel

Che fatica diventare grandi! Fra i tanti strumenti che noi genitori abbiamo a disposizione per accompagnare i nostri piccoli nel cammino della crescita ce n'è uno, forse insospettabile ma alla portata di tutti, che non sempre è riconosciuto nelle sue potenzialità: mi riferisco alla lettura delle fiabe, magari fatta alla sera, in quel momento magico e un po' sospeso che precede il sonno.

Secondo lo psicoanalista Bruno Bettelheim (1), le fiabe tradizionali (quelle in versione integrale raccolte dai fratelli Grimm) esprimono in modo simbolico -quindi molto vivido ed accessibile ad una mente infantile- i principali conflitti, le paure e le difficoltà dell'esistenza che riguardano tutti gli esseri umani, in particolare i piccoli alle prese coi compiti della crescita.

Il lieto fine, d'obbligo in ogni fiaba che si rispetti, incoraggia e rassicura il bambino, perché gli dà la certezza che anche le più grandi sfide della vita possono essere affrontate e vinte, portando ad un migliore equilibrio personale.

Vorrei proporvi una breve analisi della fiaba "Hansel e Gretel", quella della famosa casetta di marzapane, forse non molto nota ai bambini di oggi perché poco rappresentata al cinema e in tv.

Alcuni genitori la evitano, per via della strega "che mangia i bambini", eppure è una fiaba interessante perché mette in luce i dilemmi che un bambino affronta quando inizia a separarsi dai propri genitori e a cercare la propria strada dentro di sé.

Il racconto si apre con la vicenda di due genitori, poverissimi e senza più nulla da mangiare, che confabulano tra loro per abbandonare i figli nel bosco: per la verità è la madre (in alcune versioni definita matrigna) che si mostra più crudele e spietata e obbliga il marito ad assecondarla nel suo terribile piano.

Questo inizio ci presenta il più grande timore di ogni bambino: quello di essere abbandonato dai genitori, cioè da coloro che gli garantiscono la sopravvivenza e dai quali si aspetta di venire accudito per sempre.

La fiaba illustra, con la tipica "esagerazione", che la realtà non è rosea come il bambino vorrebbe: i genitori non possono provvedere per sempre ai suoi bisogni, arriva un momento in cui gli pongono dei limiti, gli negano la gratificazione immediata (simboleggiata dal cibo "che è finito" e che fa pensare al latte materno che non può durare per sempre), insomma lo spingono fuori dal nido.

Hansel, il fratello maggiore che ha sentito i discorsi dei grandi, si ingegna per evitare l'abbandono e raccoglie i famosi sassolini bianchi per segnare la strada: grazie ad essi, l'indomani i bambini ritornano a casa sani e salvi.

E' evidente che la tregua non può durare. Poco tempo dopo, infatti, la vicenda si ripete, ma il portone di casa è sbarrato e Hansel non può procurarsi altri sassi, quindi deve accontentarsi di una soluzione di ripiego: sbriciolerà, lungo la strada, il pezzetto di pane che costituisce il suo povero pranzo. Il rimedio si rivela inefficace perché gli uccelli del bosco si mangiano tutte le briciole, quindi i bambini, senza la guida dei genitori, non riescono a ritrovare la via di casa.

Ma fermiamoci un momento: come mai Hansel non aveva conservato i sassi della prima volta, o non ne aveva raccolti di nuovi in un momento favorevole? E come mai non aveva studiato, insieme alla sorella, altre strategie per proteggersi da un pericolo che conosceva?

Secondo Bettelheim, Hansel -come ogni bambino- si culla nell'illusione di poter tornare indietro, di restare per sempre piccolo, quindi non usa le sue risorse per trovare altre soluzioni: si adagia nella speranza che niente cambi.

Ora, invece, l'abbandono è una realtà: i fratellini sono fuori da soli, di notte, in un bosco pieno di pericoli.

Camminando alla ricerca della strada di casa, i due si imbattono nella casetta di marzapane: una visione paradisiaca per due bambini affamati, infreddoliti, soli e spaventati.

La loro fame (intesa come avidità, desiderio di possedere tutto e di evitare le frustrazioni) può essere finalmente saziata senza tenere conto né di limiti e proibizioni, né degli interessi altrui: così i due fratellini iniziano a sgranocchiare qua e là, incuranti dei richiami che giungono dall'interno della casa (la voce di una donna anziana che dice: "chi mi mangia la casetta...?").

Quando la vecchina esce dalla casa e li invita ad entrare, con la promessa di cibi ancor più ghiotti e di straordinarie comodità, i bambini vedono confermata la loro aspettativa di una mamma buona, gratificante, che non delude mai.

Ma il mattino dopo, al risveglio, la realtà si mostra di nuovo molto amara: la vecchina non è altri che una cattivissima strega che mangia i bambini. Hansel viene chiuso in una gabbia, destinato ad ingrassare come un porcellino per essere, poi, cucinato, mentre Gretel dovrà fare da serva alla strega.

Il tentativo dei fratellini di rimanere piccoli e dipendenti fallisce di nuovo: ormai il pericolo è davvero mortale, il che simboleggia il rischio di "morte" psicologica di una persona che rifiuta di affrontare le tappe della vita.

Questa grave minaccia spinge i bambini ad aguzzare l'ingegno e a cooperare tra loro: devono trovare il modo di sconfiggere la strega, non possono più rimanere passivi ad aspettare.

Il loro piano ha successo: Hansel, nonostante i lauti pasti, fa credere alla strega di rimanere sempre magro facendole tastare, ogni giorno, un osso di pollo anziché il proprio dito; Gretel finge di compiacere la vecchia, ma un giorno la inganna dicendo di non saper accendere il grande forno destinato a cuocere il fratello: la strega ci mette la testa dentro e Gretel, con una spinta, la fa andare arrosto.

Subito dopo aver sconfitto la strega i bambini scoprono, nascosto nella casetta, un tesoro di inestimabile valore che li salverà per sempre dalla povertà, ma non solo da quella materiale: la storia insegna, in modo simbolico, che, una volta sconfitta la paura di crescere, possiamo scoprire gli ulteriori tesori che la vita ci riserva e che prima non riuscivamo a vedere.

Al ritorno a casa, i fratellini ritrovano i genitori che li accolgono con affetto e tutti vivono per sempre felici e contenti: una volta superate le difficoltà psicologiche di una certa fase di sviluppo, il bambino è pronto a continuare il suo cammino nella sicurezza della famiglia, portando con sé qualcosa di buono (i gioielli) che ha trovato per conto suo, senza aspettare che tutto gli venga dato dai genitori.

In alcune versioni della storia solo il padre attende, speranzoso, il ritorno dei figli, mentre la matrigna cattiva muore: questo finale può turbare un po' i lettori perché è difficile credere di poter essere felici senza la mamma.

In realtà, se leggiamo questo evento nell'ottica psicoanalitica, comprendiamo che la morte della matrigna è simbolica: essa rappresenta il superamento della fase in cui le frustrazioni della crescita appaiono insuperabili al bambino, facendolo sentire crudelmente abbandonato.

Ma è proprio questo tipo di frustrazione che gli permette di trovare, dentro di sé, le risorse necessarie a diventare più autonomo e indipendente, come un sano sviluppo prevede.

In ogni fiaba si possono individuare alcuni dilemmi tipici di fasi cruciali della vita, per questo consiglio di trasmettere ai nostri bambini questo straordinario patrimonio culturale e psicologico, che può aiutarli a superare le loro inquietudini e a mantenere viva la fiducia nel futuro.

  1. Bettelheim B. (1975) "Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe" ed. it. Feltrinelli, Milano 1977

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Scritto da

Dott.ssa Roberta Altieri

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