Emetofobia ovvero la paura di vomitare o vedere vomitare

Si chiama emetofobia, la fobia specifica legata all’atto di vomitare e/o di vedere altri farlo.

11 MAR 2014 · Tempo di lettura: min.
Emetofobia ovvero la paura di vomitare o vedere vomitare
Gli emetofobici che ho incontrato nella mia pratica clinica (ad oggi oltre duecento),infatti, vomitano raramente. Temono, cioè, qualcosa che nella loro vita non si è verificato che sporadicamente ed in alcuni casi, proprio mai e sembra inoltre che siano altamente ritentivi, cioè in grado di sviluppare una resistenza al vomito rispetto agli altri individui. In sintesi, temono qualcosa che difficilmente accadrà e che è raramente avvenuto nella loro vita. Proprio per questo lo temono: non lo conoscono e l’unica strategia è evitarlo con ogni mezzo.

Il timore è principalmente quello di perdere il controllo con l’atto, non sapendo con certezza quanto durerà l’evento temuto e non prevedendone modalità e propria/altrui reazione. E’ presente, nella maggioranza dei casi anche il timore del giudizio degli altri che molto spesso fa confondere questa problematica con la fobia o ansia sociale. Questo rende molto difficile, per gli operatori non abituati a questo tipo di pazienti, confondere in fase diagnostica la problematica non solo con l’ansia sociale ma anche con altri disturbi, rendendo inadeguato e spesso inutile il tentativo di cura. Giungono spesso alla mia attenzione, paziente precedentemente trattati da colleghi che non hanno tenuto in alcuna considerazione la problematica riferita dal paziente, non condividendo finalita’ della terapia e non collaborando verso un comune obiettivo. L’obiettivo da condividere con questi pazienti non è il rassicurare costantemente sull’impossibilita’ di vomitare, quanto di permettere una vita gestibile come chiunque altro non soffra di questa problematica.

I livelli d’ansia si innalzano molto spesso quando il soggetto emetofobico è in luoghi dove vi è la presenza di più persone o quando la possibilità di recarsi in un luogo appartato per una eventuale crisi di vomito, è in qualche modo ostacolata (teatri, cinema, ristoranti etc). Molto spesso cercano luoghi di cui conoscono bene la planimetria o chiedono immediatamente, se in luoghi non conosciuti, dove siano i bagni per poter valutare strategie di fuga in caso di una crisi di nausea o uno stimolo a vomitare improvvisi. E’ logico che giungeranno in questi luoghi con una dose d’ansia tale che renderà difficile riconoscere dove si trovi l’agitazione e dove il reale pericolo di vomitare, portando la maggior parte delle volte a successivi evitamenti del luogo stesso o di situazioni analoghe.

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Chi ne soffre nella maggior parte dei casi collega direttamente la nausea (che è uno dei segnali dell’ansia) o qualsiasi “messaggio” che parta dallo stomaco (rumori, leggeri dolori o altro) direttamente al vomito.Questo anche se gli episodi in cui il vomito risulti preceduto da tali stimoli sia mai realmente accaduto.

Chi ne soffre penserà ogni volta che “quella” sarà la volta buona e non ce la farà a sopportarlo.Per ovviare a questo inconveniente la strategia molto spesso utilizzata è quella di uscire di casa (luogo ritenuto molto spesso l’unico in grado di proteggere) a digiuno o dopo l’assunzione di antiemetici. Questi ultimi sono gli unici farmaci che l’emetofobico assume in quanto quasi la totalità dei medicinali (e degli psicofarmaci) prospettano, fra gli effetti collaterali, proprio il vomito. Gli antiemetici o i digestivi vengono ingeriti unicamente in modalità preventiva e non quando vi sia un reale bisogno e tale assunzione rende dipendente il paziente che non riuscirebbe ad avere reali esperienze di successo contro le situazioni sociali temute. Un primo passo per il terapeuta, dovrebbe essere quello di permettere al paziente di riconoscere la nausea “reale”, da quella prodotta unicamente dagli stati d’ansia.

Sono presenti rituali tipici oltre a quelli già descritti, quali l’evitare i mezzi pubblici o servirsene coprendosi naso e bocca al fine di evitare l’ eventuale contagio di un virus gastrointestinale. Anche per questo, si riscontra un incremento di richieste d’aiuto nei periodi che precedono l’inverno, in quanto momento in cui maggiormente sono presenti le malattie da raffreddamento che erroneamente, nella strategia dell’emetofobico, portano a vomitare. Tutti i rituali poi, in un modo o nell’altro, sfociano in comportamenti di marcata restrizione alimentare e di patologico evitamento sociale. Pur facendo parte dei disturbi d’ansia, l’emetofobia viene spesso confusa con l’ anoressia nervosa ed altre psicopatologie (ipocondria, ortoressia nervosa, fobia sociale e disturbo ossessivo compulsivo) rendendo molto complesso e spesso fallimentare il percorso di cura.

Al terapeuta più attento non dovrebbe prima di tutto sfuggire che, a differenza di un disturbo alimentare, gli emetofobici non presentano alcun disturbo dell’immagine corporea quanto invece una scarsa consapevolezza enterocettiva, cioè una estrema difficoltà a riconoscere fame e sazietà, oltre agli stati emotivi interni ed esterni.

Fattori scatenanti

Come gran parte delle fobie, anche l'emetofobia pare svilupparsi da paure dell'infanzia, traumi o eventi particolarmente stressanti non affrontati in modo adeguato anche se questo non è sempre la norma. In alcuni casi, la presenza di genitori ansiosi che limitino fortemente le capacità esplorative del bambino fornendo regole precostituite (ad es. “non bere acqua fredda!”, “copriti bene che prendi freddo e poi stai male!” etc) possono predisporre a tale fobia in quanto il bambino farebbe proprie queste regole senza in alcun modo invalidarle, cioè senza cercare di comprendere se siano reali o unicamente frutto dell’apprensione genitoriale. Purtroppo l’emetofobia è un disturbo spesso minimizzato in quanto, da logica, nessuno gradisce vomitare o assistere ad episodi di vomito.

Questo rende ancora più difficile, per chi ne soffre, cercare aiuto o parlarne con la propria famiglia e/o cerchia di amicizie. Sembrerebbe che l’emetofobia sia una fobia rara, mentre invece coinvolge moltissime persone, anche in Italia, con una maggiore incidenza femminile. La ragione del fatto sta probabilmente nella disponibilità delle donne ad ammettere una problematica di questo genere e in base alle più recenti indagini, l’età di una prima richiesta d’aiuto varia dai 16 ai 26 anni per le donne e dai 28 ai 37 per gli uomini. In sintesi Ricapitolando, la compromissione della qualità della vita degli emetofobici è determinata dal meccanismo di evitamento rispetto a:

  • luoghi affollati e/o chiusi o senza facilità d’uscita, quali: cinema, ristoranti, teatri;
  • cibi che contengono carboidrati o grassi, in quanto reputati maggiormente impegnativi nella digestione;
  • viaggi e luoghi/orari collegati (ad esempio mezzi pubblici che impongono di rimanere molto tempo al loro interno).

Benché alcuni emetofobici sembrano non aver alcun problema nel viaggiare, il comportamento comune è quello di evitare spostamenti con i mezzi di trasporto, soprattutto se questi implicano tragitti lunghi: il timore, infatti, è quello di essere colti da improvvisi malori o nausee o di essere testimoni di episodi di vomito tra i passeggeri.Riguardo il comportamento alimentare, con l'aggravarsi del disturbo si giunge ad un'analisi approfondita e meticolosa del cibo ingerito, analisi che sfocia poi in ossessioni verso l'igiene alimentare e compulsioni legate alla pulizia della cucina e dei luoghi in cui si consuma il cibo. Come detto prima, è presente una scarsa consapevolezza di ciò che avviene a livello emotivo, che troverebbe nel controllo verso il corpo e quindi verso qualsiasi sintomo gastrointestinale, una ritualistica strategica per abbassare i livelli d’ansia. Tale strategia, risulta invece un mantenimento del problema in quanto produce comportamenti di monitoraggio continuo della zona addominale portando la persona ad essere tranquilla unicamente quando risulti certa del termine del processo digestivo. Questo porta l’emetofobico ad attendere anche molte ore prima di coricarsi o di muoversi dopo i pasti, non prestando attenzione alle richieste del proprio organismo, ma basandosi unicamente sui segnali gastrointestinali. In età adulta, molte donne, seppur desiderose di diventare madri, rifiutano la gravidanza perché il timore per la nausea/vomito, che insorge normalmente nel primo trimestre, supera la voglia di avere un figlio.

Conclusioni

E’ comunque importante sottolineare che ogni caso è a sé stante: l'emetofobia, a seconda dei soggetti, limita in grado di intensità diverso la qualità della vita quotidiana. Per alcune persone avviene in risposta ad uno stimolo (mangiare, viaggiare, intraprendere discussioni stressanti), per altre anche in assenza di questo. Per i soggetti che si riconoscono in questo articolo è consigliabile un trattamento psicologico  gestito con un approccio multidisciplinare (psicologo/psichiatra insieme al medico nutrizionista e al gastroenterologo). Il trattamento comprende un protocollo ad indirizzo cognitivo comportamentale, mirato e focalizzato a gestire nel breve periodo i sintomi e gli evitamenti, integrando tecniche di rilassamento e gestione delle emozioni permettendo in tal modo al soggetto, con l’esposizione anche alle situazioni temute, di riappropriarsi delle parti importanti della propria vita che la fobia ha via via compromesso. Sono presenti all’interno del protocollo trattamenti mediante desensibilizzazione sistematica e per mezzo di movimenti oculari (EMDR- Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie (CAPS- Computer Aided Psychological Support vedi Mian & Gerbino, 2009).

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Riferimenti bibliografici

Mian, E. “Emetofobia, la “paura del vomito”: verso una diagnosi differenziale ed un modello cognitivo comportamentale” XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva- Milano- 2010

Mian, E. “Is Emetophobia different from Anorexia Nervosa? A preliminary investigation”. Netzwerk Esstoerungen-Austrian Society for Eating Disorders- Alpbach 2008

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Scritto da

Dott. Emanuel Mian

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