Dottore mi dica lei: cosa devo fare?

Nel rivolgersi ad uno psicologo, spesso si ha l'aspettativa che questi possa fornire immediate soluzioni e consigli; tuttavia è davvero questo ciò che può fornire una consulenza psicologica?

7 GEN 2019 · Tempo di lettura: min.
Photo by Paz Arando on Unsplash

Ovvero: ascoltare, insieme, il grano che germoglia.

È con l'intenzione più o meno consapevole di fare la domanda che fa da titolo a questo articolo che in molti casi ci si rivolge allo psicologo: ossia con la speranza, purtroppo irrealistica, che questi abbia una soluzione pronta da fornire per qualsiasi problema gli raccontino i suoi pazienti. Si spera che un professionista possa indicare la strada da seguire, possa indirizzare il paziente nelle scelte difficili della sua vita. È un desiderio comprensibile del resto: è comodo e rassicurante che sia qualcun altro a caricarsi l'onere di dissipare un dubbio, o di fare una scelta. Eppure non è possibile che a far ciò sia lo psicologo, per vari motivi.

  • 1) Lo psicologo non lo sa

Innanzitutto lo psicologo non possiede affatto la risposta alla domanda su cosa sia giusto per il suo paziente, per quanto esperto possa essere. Inoltre, se anche potesse fornire una risposta, non è per nulla detto che sia quella migliore per l'altro; ed in tal caso, comunque, sarebbe poi la persona a doversi prendere la responsabilità di una scelta che non è neanche sua, così come anche tutte le conseguenze. E questo ci porta a un'altra questione fondamentale.

  • 2) Lo psicologo non può imporre il suo punto di vista

Non solo non è in grado di dire al paziente cosa deve fare, ma soprattutto non deve farlo! L'art.4 del Codice Deontologico che regola la professione, scaricabile qui dal sito dell'Ordine Nazionale degli Psicologi, recita: "lo psicologo rispetta (…) il diritto all'autodeterminazione e all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall'imporre il suo sistema di valori". Questo significa stare bene attenti a non esprimere giudizi e lasciare sempre che sia il paziente a fare le sue scelte. Naturalmente si fa qui riferimento a un individuo nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, quindi in grado di poter effettuare una scelta ponderata e consapevole.

  • 3) Lo psicologo deve rimanere neutrale

Non influenzare le scelte del paziente è una condizione indispensabile per il funzionamento di un lavoro terapeutico. Può succedere però che lo psicologo non riesca a restare neutrale e a mantenere quella distanza ottimale tra i propri valori e le scelte del suo paziente. Cosa deve fare in questo caso? Ci aiuta di nuovo qui il Codice Deontologico, che nell'art.26 dice: "Lo psicologo si astiene dall'intraprendere o proseguire qualsiasi attività professionale ove problemi o conflitti personali, interferendo con l'efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone a cui sono rivolte".

In altre parole, se uno psicologo dovesse dichiarare di non poter seguire il vostro caso (magari segnalandovi anche un suo collega, come alternativa), non è certo un atto di rifiuto nei vostri confronti, ma piuttosto di estrema attenzione e rispetto verso le difficoltà manifestate e anche del vostro tempo e del vostro portafogli!

In conclusione, quello che lo psicologo deve sempre favorire è l'autonomia del proprio paziente, anche quando questi non sembra gradirla e si trova di fronte a scelte difficili. Deve porsi come consulente e non come consigliere.

Cos'è quindi una consulenza psicologica?  

"Il sostantivo counseling deriva dal verbo inglese to counsel, che risale a sua volta dal verbo latino consulo-ĕre, traducibile in "consolare", "confortare", "venire in aiuto". Quest'ultimo si compone della particella cum ("con", "insieme") e solĕre ("alzare", "sollevare"), sia propriamente come atto, che nell'accezione di "aiuto a sollevarsi". Cfr. Giacomo Devoto, Avviamento all'etimologia italiana, Firenze, Le Monnier, 1968

Alcuni etimologisti sostengono anche che il verbo da cui origina il termine consulenza, non sia solĕre, ma silĕre, da cui deriva silenzio, ma che in antichità stava ad indicare il suono che produce il grano quando germoglia. Personalmente, confesso di ignorare che suono faccia il grano quando germoglia, né so se sia un suono talmente particolare da meritare un predicato apposito che lo identifichi, ma mi affascina l'idea che la consulenza psicologica possa essere intesa con l'immagine di "germogliare insieme".

A dirla tutta, questa lettura può apparentemente favorire i detrattori della psicologia quando sostengono, con un'ormai vecchissima battuta, che lo psicologo viene pagato per non dire niente, per starsene in silenzio. La qual cosa, poi, non è neanche così lontana dalla realtà: una seduta in cui lo psicologo non parli molto, ma riesca piuttosto a far sì che, attraverso il suo ascolto empatico, il paziente riesca a ristrutturare autonomamente la propria situazione, soppesando i suoi stessi pensieri in un contesto protetto e non giudicante, lontano dalla sua quotidianità e quindi libero da condizionamenti emotivi e da pressioni decisionali, sarebbe la seduta perfetta! Infatti lo psicologo che ascolti in silenzio, offre al paziente tutta la sua attenzione, in una situazione accudente e riservata, in cui la persona può facilmente mobilitare tutte le risorse di cui già dispone, ma che altrove non gli riesce di ricorrervi.

Inoltre sappiamo quanto buona parte della nostra comunicazione avvenga a livello non verbale; quindi "stare in silenzio insieme", è davvero una possibile strada verso quel germogliare che è l'obiettivo finale della consulenza.

Le parole che nascono dal silenzio

Naturalmente, anche lo psicologo prenderà la parola, ad un certo punto, fornendo interpretazioni e restituzioni al paziente. E saranno parole preziose, quelle che affondano le loro radici nell'ascolto empatico e silenzioso: parole di senso che nascono dalla comprensione profonda dell'altro, fornendogli l'opportunità di rileggere la propria storia con registri diversi e aprendosi a nuove possibilità, laddove prima sembrava esserci solo deserto.

Il privilegio di fare da bussola nella ricerca delle oasi di serenità desiderate dai miei pazienti è ciò di cui ringrazio sempre ciascuno di loro.

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Scritto da

Dott. Riccardo Drago

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