Dobbiamo rinunciare alla nostra libertà per essere felici?

"Ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andandosene", Jacques Prévert.

7 NOV 2017 · Tempo di lettura: min.
Dobbiamo rinunciare alla nostra libertà per essere felici?

Attualmente, fin troppo spesso la felicità è legata ai beni materiali. Tutti aspirano alla felicità e questa è inseparabile dalla libertà, e soprattutto dalla libertà politica che viene definita anche come libertà del cittadino. Per questo, non è possibile essere uno "schiavo felice": lo schiavo è solamente uno strumento animato. E se attualmente non fossimo altro che strumenti animati?

Questa libertà di cui parliamo non solo include la libertà di muoversi e di godere dei propri beni ma anche la libertà politica, che si riferisce alla dignità del cittadino. Non esiste nessuna libertà né nessuna felicità se a muovere le nostre azionie è esclusivamente una logica economica.

La ricetta della felicità: dignità, libertà e riconoscimento

Per essere liberi, felici e degni abbiamo bisogno del riconoscimento degli altri, ovvero dei nostri simili. Il tiranno, dunque, non può essere libero...Per essere felici, si ha bisogno di tre condizioni: essere degni, essere liberi e ottenere il riconoscimento.

Una società di pari diritti politici presuppone anche che si abbia abbastanza tempo per riflettere sulla finitezza della condizione umana, sul nostro rapporto con la morte. Non si è liberi se non si ha del tempo libero per poter pensare filosoficamente al nostro rapporto con l'esistenza umana che implica il riconoscimento della sua finitezza.

Il tempo libero che abbiamo a disposizione è il tempo in cui non stiamo lavorando. Ma questo tempo libero è diventato un tempo occupato da altre attività. Lo occupiamo con attività ricreative che hanno fondamentalmente l'obiettivo di farci dimenticare la finitezza della nostra esistenza. I nostri hobby sono molto spesso configurati esattamente come il nostro lavoro.

Quanto tempo passiamo a non fare realmente niente?

Seguiamo una tabella di marcia e impostiamo le nostre relazioni sociali per soddisfare delle norme (fare l'amore 4 volte a settimana, dormire in una determinata posizione, mangiare 5 porzioni di frutta e verdura al giorno....). Allo stesso modo, soffriamo di un'inflazione delle regole e di una standardizzazione delle abitudini. Le norme sono ora un modo per organizzare le nostre vite, mentre erano state create per marcare dei divieti. Le norme, nel corso del tempo, sono aumentate, nella convinzione che possano proteggerci dagli inconvenienti.

La nostra felicità ha bisogno di norme?

La felicità passa per le norme che ci sono state imposte? La felicità non ha solo una dimensione politica (attraverso la nostra libertà) ma anche una dimensione spirituale. La felicità dipende soprattutto da ognuno di noi in quanto esseri responsabili.

Dobbiamo anche ricordare che il nostro diritto alla felicità è inalienabile, vale a dire che è allo stesso livello del nostro diritto alla vita e del nostro diritto alla libertà. I governi devono quindi trovare la loro legittimità nella loro capacità di instaurare delle condizioni di felicità per i loro cittadini. Un governo che non offre più queste condizioni di felicità può essere messo in discussione e rovesciato. Ciò è implicito ed è un punto importante da ricordare.

Passeremo gradualmente dalla felicità pubblica alla felicità privata. Per la democrazia, la giusta decisione, la verità deriverà da uno scontro tra le ragioni dei cittadini uguali: in questo modo si arriverà a una decisione che tutti condividono.

La società dei consumi porta alla felicità?

Oggi, essere felici significa trovare il modo che mi permetterà di ottenere determinati oggetti. La nostra felicità sembra essere legata alla produzione che, a sua volta produce un determinato tipo di umanità. Viviamo in una sorta di farsa, di realtà astratta che influenza enormemente la maniera in cui intendiamo la nostra felicità.

La necessità di farsi spazio in questo mondo ci ha fatto dimenticare cosa significa "vivere". Attualmente possiamo vivere nel migliore dei mondi possibili pur avendo perso il senso della vita stessa. Un problema che dobbiamo affrontare oggi: in questo motivo strumentale abbiamo messo da parte i valori.

Siamo vittime della società dei consumi?

La felicità, dunque, non è nient'altro che una retorica nel cui nome si esige una sottomissione sociale alla quale abbiamo concesso il nostro consenso. Viene richiesto un modo di comportarsi per poter essere felici, il che comporta una notevole perdita di contenuto spirituale e politico.

"Ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andandosene", Jacques Prévert.

Secondo te, dovresti rinunciare alla tua libertà per essere felice?

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