Dismorfofobia: la preoccupazione ossessiva che condiziona profondamente la vita di chi ne soffre

Guardarsi allo specchio può diventare un momento terribile in cui l'immagine riflette di noi qualcosa di brutto, di inaccettabile e in cui non riusciamo più a riconoscerci.

25 GEN 2022 · Tempo di lettura: min.
Dismorfofobia: la preoccupazione ossessiva che condiziona profondamente la vita di chi ne soffre

A volte sembra davvero difficile andare d'accordo con il proprio aspetto fisico e forse nessuno di noi è capace di guardarsi allo specchio senza trovarsi anche quel piccolo difetto che proprio non va e che vorremmo non ci fosse. Ma quando tutto questo si trasforma in una preoccupazione ossessiva che assorbe il nostro tempo nel tentativo di annientare la sensazione di profonda inadetuatezza che ci perseguita, possono esserci delle serie ripercussioni sul nostro benessere e sul nostro funzionamento.

Rientra in un quadro di normalità non sentirsi talvolta bene con se stessi, non solo nell'adolescenza quando il corpo cambia visibilmente, ma anche da adulti quando capita di vivere quei giorni in cui proprio sembra impossibile riuscire a piacersi. Si tratta però di una patologia quando ci troviamo di fronte a una fissità su questo aspetto della realtà fisica che finisce per condizionare profondamente la nostra vita.

Si può arrivare a non potersi più guardare allo specchio tentando persino di coprire tutti quelli che abbiamo nella nostra casa, si può rischiare di non uscire più per non farci vedere dagli altri, chiudendoci in un isolamento da tutti quelli verso cui proviamo una forte vergogna. Oppure si può tentare disperatamente di fare riscorso ad interventi di chirurgia estetica che però non è mai risolutiva, perché trattandosi di un problema riguardante la realtà interna non cosciente, si può andare a modificare il proprio volto o la parte del nostro aspetto fisico che riteniamo in difetto, ma non ci sarà mai la sensazione di aver compiuto l'azione risolutiva al problema.

Michael Jackson è un caso emblematico, essendosi sottoposto a più di cento interventi di chirurgia estetica, ma non producendo nessuno di loro alcun cambiamento sulla realtà profonda che restava sempre uguale a se stessa, continuava a farne dei nuovi fino ad assumere una fisionomia irriconoscibile rispetto agli inizi della carriera.

Nei casi più estremi, la gravità della dismorfofobia può persino spingere le persone a compiere gesti autolesionistici, se non addirittura anticonservativi: il suicidio. La sensazione è quella di sentirsi dei mostri informi, anche se oggettivamente non lo si è, perché il problema non è affatto fisico, semmai è un qualche cosa che si determina a partire dalla realtà mentale.

La bruttezza fisica di per sé non esiste, ciò che esiste è un'alterazione nel pensiero ed è solo occupandoci di questa che si può davvero risolvere il problema della dismorfofobia, che può iniziare nell'adolescenza e proseguire per l'intera età adulta. Attraverso la psicoterapia è necessario occuparsi di ciò che la persona pensa di sé, perché quando questa va dal terapeuta dicendo ad esempio di avere il naso storto o individua un altro difetto nel proprio corpo che lo ossessiona, non si può intervenire mettendola di fronte ad uno specchio e tentando di convincerla che ciò che vede riflesso di sé è un'irrealtà.

Pensiamo alle persone che soffrono di anoressia: arrivano a definirsi grasse anche quando raggiungono un sottopeso ai limiti della sopravvivenza, e nonostante questo l'immagine che percepiscono di sé è di non essere mai abbastanza magre. Anche in questo caso gli occhi funzionano, la funzione retinica è pienamente conservata, il problema però risiede in un'immagine alterata che si crea nel pensiero non cosciente ed è di quell'immagine che il terapeuta deve iniziare ad occuparsi.

Conoscere e affrontare quali sono state per la persona le reazioni profonde ai rapporti interumani nei primissimi momenti della vita, sarà l'oggetto della prassi terapeutica non attraverso un lavoro razionale e cosciente, poiché non c'è memoria cosciente di quei primi anni di vita, ma occupandoci del mondo non cosciente della persona, attraverso l'interpretazione dei sogni (sogno inteso come pensiero per immagini, secondo l'impostazione teorica di Massimo Fagioli) e della realazione profonda che si stabilisce col terapeuta.

Ogni seduta diventa quel momento delicatissimo in cui è possibile ricreare la nascita e restituire alle immagini gli affetti che hanno perduto.

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Scritto da

Dott.ssa Carla Renieri

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Bibliografia

  • "Dismorfofobia. Quando vedersi brutti è patologia" di L. Giorgini, D. De Lisi, E. Gebhardt, A. Raballo. Asino d'oro edizioni 2017
  • "Teoria della nascita e castrazione umana" di M. Fagioli. Asino d'oro edizioni 2012

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