Cosa fare se un bambino è monello o non vuole studiare?

Ogni bambino o adolescente può attraversare nella sua vita momenti difficili, di sofferenza, o momenti in cui è ribelle, “ingestibile”, svogliato.

19 MAG 2014 · Tempo di lettura: min.
Cosa fare se un bambino è monello o non vuole studiare?
Sovente l’adulto tende a pensare che il bambino le supererà da solo, che la crescita porterà ad un miglioramento. Di solito i ragazzi affrontano con i genitori tali situazioni di disagio. A volte le difficoltà sono gravi o, affrontate con i genitori, non hanno trovato una soluzione, ma vedono il permanere del problema.

Il rischio che si corre è che il problema vissuto nell’infanzia o nell’adolescenza tenda a fissarsi nella mente del soggetto, distorcendo lo sviluppo della personalità.

A volte un disturbo permane nel tempo, causando disagio, sofferenza, somatizzazioni, difficoltà di apprendimento, aggressività, ribellione, emarginazione, vissuti di disvalore, e può danneggiare il bambino, intaccando il suo sviluppo mentale, sociale, affettivo. E’ necessario affrontare adeguatamente il disagio e la sofferenza dei minori per evitare che questi aspetti possano degenerare dando vita a persone orientate ad una insicurezza patologica, oppure ad agire la violenza, ad ammalarsi, a sentirsi fragili e infelici, profondamente diversi dagli altri ...

Lo psicologo può essere utile non solo in presenza di gravi disturbi del comportamento, ma anche di problemi generici quali; bambini o adolescenti "cattivi", agitati, iperattivi, ribelli, troppo solitari.

La psicologia nell'infanzia può essere un valido aiuto in momenti difficili quali una separazione, un divorzio, un lutto, adozione, un trauma, o nel difficile passaggio dall'infanzia all'adolescenza, ma anche per i disturbi del linguaggio, del sonno, dell’enuresi, del comportamento sessuale, dell'alimentazione e per affrontare malattie genetiche o invalidanti.

Cosa si può fare per un bambino cattivo?

 Quando un bambino insulta, urla, minaccia ( violenza verbale) oppure quando tira calci, morde con cattiveria, lancia oggetti ( violenza fisica) cerca in realtà di comunicare all’adulto un suo chiaro malessere. La rabbia è sempre un campanello d’allarme che segnala un disturbo. Non deve quindi essere repressa, incriminata ma certo neanche incoraggiata. I genitori non devono ignorare i sintomi della rabbia ma devono imparare a gestirla e ad aiutare il figlio ha esprime diversamente i suoi bisogni.

Cosa vuol dire gestire la rabbia?

Vuol dire accettarla e capire cosa sta capitando al figlio in quel preciso momento e quale è il suo reale bisogno che non è stato ascoltato e soddisfatto. Quando si parla di bisogni non si intende il capriccio di una sera ( guardare i cartoni animati., giocare ai videogiochi, non fare i compiti) ma al bisogno esistenziale del bambino. Il suo bisogno di essere amato, riconosciuto e stimato per quello che è.

Lo stimolo che scatena la rabbia del bambino è in realtà un pretesto per comunicare un disagio, non è certamente la reale causa della rabbia. I genitori hanno il dovere di aiutare il figlio ma a loro volta dovranno fare i conti con la propria gestione della rabbia. A questo punto sarà fondamentale avere un sostegno esterno che possa indicare le strategie migliore per poter lavorare sulla rabbia in modo costruttivo.

Cosa si puo’ fare per un figlio che non vuole studiare

Innanzi tutto bisogna ascoltarlo ma bisogna farlo con empatia, bisogna mettersi “nelle sua scarpe” e capire perché per lui è così difficile andare a scuola e studiare. Bisogna fargli capire che comunque è amato e accolto nonostante la sua difficoltà con la scuola e che il rimprovero dei genitori dipende da un loro bisogno frustrato. Gli adulti hanno bisogno che il figlio vada a scuola per sapere che è al sicuro mentre loro lavorano e che hanno bisogno di sapere che a scuola si comporti bene perché è dei genitori l’aspirazione di avere un figlio che dimostri i valori che sono stati insegnati a casa.

Il fanciullo non è autonomo nel progettare e nel proiettarsi nel futuro.

Non ha ancora sviluppato (nell’età infantile) la capacità di organizzare il presente in prospettiva del suo avvenire. Il bambino vive unicamente nel presente e ha bisogno di sapere che certe cose vanno fatte perché sono i genitori a volerlo.

Imparerà ad amare lo studio e la cultura nel tempo ma finché sono piccoli dovranno imparare a fare i compiti e ad andare a scuola perché sono i genitori a chiederglielo, perché sono gli adulti ad avere bisogno di conferme attraverso l’uso del voto e del giudizio.

I genitori dovranno comunque capire se il figlio ha problemi a concentrarsi e a studiare ( dislessia, problemi di vista, malessere fisico o psichico, ecc) e poi bisogna sempre confrontarsi con le insegnanti e trascorrere più tempo con lui per parlare, giocare e studiare con lui.
  • Bisogna fargli capire che studiare può essere divertente e dimostrargli in primis che anche gli adulti provano stupore nel leggere e scoprire cose nuove.
  • La meraviglia deve essere presente mentre si studia.
  • Condividere con lui anche la frustrazione di fare qualcosa che a volte non ci piace ma che comunque bisogna farlo ugualmente bene.
  • Niente premi e niente punizioni ma solo ascolto, condivisione e serenità.

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Scritto da

Synergia Centro Trauma

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