Come comunicare a un bambino la morte di una persona vicina

Come parlare della morte con i bambini?

29 OTT 2018 · Tempo di lettura: min.
Photo by Becca McHaffie on Unsplash

Il tema della morte è un argomento che spesso i genitori hanno difficoltà ad affrontare con i propri figli, in quanto ritengono che i bambini non possano capire o che, evitando di parlarne, non si pongano troppe domande. 

Ce ne parla il Dott. Michele Facci.  

In realtà i bambini affrontano il lutto e soffrono in modo simile agli adulti anche se lo elaborano in modo diverso. Ad esempio prima dei 6-7 anni concetti come l’irreversibilità o l’obbligatorietà di un evento sono difficili da comprendere perché non hanno ancora sviluppato determinate capacità cognitive. Hanno quindi bisogno di notare l’effettiva mancanza della persona, ad esempio ad un ritrovo di famiglia, per capire che effettivamente non tornerà più e non potranno più vederla.

Il bambino potrebbe anche non piangere o non parlarne, ma ciò non vuol dire che non stia soffrendo. Potrebbe anche capitare che il bambino nasconda la sofferenza per timore di far soffrire i genitori, se notano che fanno fatica ad affrontare l’argomento o la loro stessa sofferenza.

Spesso nella nostra società, e soprattutto in Italia, l’argomento della morte è un tabù e quindi anche i bambini percepiscono che sia qualcosa di cui non si deve parlare, qualcosa che si capirà da grandi (come spesso gli viene detto), un argomento negativo da evitare.  Quando muore una persona vicina spesso non si portano i bambini ai funerali, si mandano da amici per qualche giorno, gli si chiede di non pensarci, tutto per evitare che provino dolore. Il dolore però non va evitato o demonizzato, ma come tutte le emozioni va affrontato per quello che è, va vissuto, va attraversato.

Non parlare della morte o di un lutto per tentare di proteggerli non è una buona soluzione e può rivelarsi una strategia controproducente. Spesso i bambini si fanno un’idea sbagliata e distorta della morte oppure c’è il rischio che la scoprano in modo traumatico. Chiedergli di “non pensarci” non li aiuta ad affrontar una cosa che li spaventa, anzi, proprio il rispondere in modo evasivo può alimentare dubbi e paure, che altrimenti potrebbero risolversi prima.

Certamente un lutto è doloroso e la morte non è un argomento facile da affrontare ma è davvero un bene cercare di far evitare il dolore al bambino in modo che non soffra per la perdita di una persona cara? Ciò che davvero rende la morte paurosa per un bambino non è il sentirne parlare o viverla direttamente, ma evitare l’argomento soprattutto se lui fa delle domande e chiede spiegazioni, passando il messaggio che è una cosa terribile di cui non si può parlare o che parlarne spaventa il genitore e quindi è una cosa brutta quando invece è una cosa “solo” dolorosa. 

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Un altro atteggiamento molto diffuso è quello di aspettarsi che il bambino elabori il lutto seguendo le famose fasi del lutto descritte da molti studiosi. L’attesa che il bambino debba soffrire e sfogarsi in modo visibile con pianti e disperazione per arrivare alla soluzione del lutto può essere altrettanto dannosa quanto cercare di evitargli la sofferenza. Grazie agli studi degli ultimi decenni sappiamo che quello che può ostacolare maggiormente l’accettazione è il fatto di giudicare, delegittimare o colpevolizzare le reazioni e le sensazioni che una persona sta provando. Quindi non è dannoso piangere tutti i giorni per mesi oppure non manifestare un dolore proporzionato al tipo di lutto.

L’ostacolo più grande per il processo di accettazione è quello di sentirsi sbagliati per quello che si sta provando e sentirsi in colpa per non provare emozioni diverse. Quindi qualsiasi sia l’emozione o la reazione di un bambino alla perdita di una persona cara andrà accolta, compresa e legittimata e andrà accompagnato in questo percorso senza respingere o criticare il modo in cui vive quel momento.

Molti si chiedono quale sia il modo migliore per comunicare a un bambino che una persona cara è venuta a mancare o come affrontare in generale il tema della morte. Innanzitutto, bisogna essere chiari e sinceri e quindi spiegare cosa è successo senza essere troppo vaghi. A volte sarebbe più semplice dire “è volato via” o “è partito”, ma si rischia di confondere il bambino, che già fatica a comprendere il concetto di irreversibilità e cioè che la persona morta non tornerà più. Se un bimbo chiede dov’è ora quella persona si può parlare del paradiso, se si è credenti, oppure dire onestamente che non si sa dove vanno le persone quando muoiono, ma che una parte di loro vivrà sempre dentro di noi, dando quindi un senso di continuità e usando metafore, come ad esempio:

“le persone sono come un albero che fa i frutti, che contengono dei semi che caduti a terra diventeranno alberi a loro volta e anche se poi il primo albero muore, qualcosa di lui vive sempre nei nuovi alberelli cresciuti e così via”.

La natura e tutti i suoi processi sono una fonte inesauribile di metafore da cui prendere spunto e che aiutano a comprendere come siamo parte di un tutto in costante mutamento e trasformazione al quale non possiamo opporci. Da evitare quindi frasi come “la morte è la fine di tutto” che potrebbe risultare incomprensibile e spaventare anche i bambini più grandi. Può invece essere utile riflettere sul fatto che ci sono un sacco di cose nella vita che non possiamo controllare e che la morte è una di queste.

Spesso sono di molto aiuto storie, favole e libri illustrati che possono aiutare i bambini, ma anche i genitori, ad avvicinarsi e ad affrontare il tema così delicato e temuto, ma che è inevitabilmente parte della nostra vita.

Bibliografia

  • Perdighe C. (2015). Il linguaggio del cuore. Erickson
  • Steve C. Hayes, Kirk D. Strosahl, Kelly G. Wilson (2013). ACT. Teoria e pratica dell’Acceptance and Commitment Therapy. Raffaello Cortina Editore
  • Thic Naht Hanh (2014). Perché esiste il mondo? Risposte zen alle grandi domande dei bambini. Terra Nuova Edizioni 

Autori: Dott. Michele Facci e  Dott.ssa Michela Dazzi

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Scritto da

Dott. Michele Facci

Il dott. Michele Facci è direttore sanitario del suo studio a Trento e a Milano, dove lavorano diversi psicoterapeuti, psichiatri, logopedisti e psicomotricisti. Si occupa in particolare di psicodiagnostica, psicopatologia dell’età evolutiva, abuso delle nuove tecnologie, nuove dipendenze e cyberbullismo. Perito e Consulente Tecnico del Tribunale di Trento.

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