Autolesionismo: di cosa stiamo parlando?

Autolesionismo: consiste nell'atto di infliggere deliberatamente dolore e a stessi o danno al proprio corpo procurandosi tagli, ustioni, graffi.

29 MAR 2021 · Tempo di lettura: min.
Autolesionismo: di cosa stiamo parlando?

Autolesionismo: cos'è?

L'autolesionismo consiste nell'atto di infliggere deliberatamente dolore e a stessi o danno al proprio corpo procurandosi tagli, ustioni, graffi; tuttavia potrebbe manifestarsi anche attraverso altre forme, come ad esempio esercizio fisico eccessivo, indursi il vomito, consumare quantità eccessive di cibo, alcol, droghe, fare sesso non protetto.

Farsi del male è in totale contrasto con l'istinto di sopravvivenza di noi umani, tuttavia l'autolesionismo è un fenomeno molto diffuso tra gli adolescenti. In genere i danni che vengono causati al proprio corpo sono relativamente meno gravi rispetto a quello che si nasconde dietro questo comportamento disfunzionale.

Nel Dsm 5 si parla di autolesività non suicidaria quando nell'ultimo anno il soggetto ha assunto per almeno 5 giorni condotte autolesive che consistono nell'infliggersi danni sulla superficie del proprio corpo per scopi che non sono socialmente accettabili.

I meccanismi neurobiologici dell'autolesionismo

Si riteneva che l'autolesionismo fosse una sorta di risposta allo stress, ma è emerso dai campioni di saliva che i livelli di cortisolo degli adolescenti che si fanno del male sono addirittura più bassi della media. Inoltre la loro soglia del dolore è significativamente più alta della media.

La ricercatrice Christian Schmahl ha riscontrato che l'attività cerebrale e fisiologica dei teenagers che praticano autolesionismo risulta differente in relazione al dolore e alla vista del sangue. La gran parte degli adolescenti provano profonda agitazione dinanzi al dolore fisico o alla vista di ferite. Il dolore intensifica stati emotivi come la tristezza, la rabbia e la frustrazione.

Ma gli adolescenti che praticano condotte autolesive hanno reazioni diverse: il dolore agisce per loro come un calmante. Il motore principale dell'autolesionismo è la regolazione emotiva.

Molti adolescenti con vissuti emotivi travolgenti tentano le tecniche più bizzarre per gestire le loro emozioni, tuttavia non tutti diventano autolesionisti perché quelle tecniche non hanno un effetto positivo. Coloro che invece perseguiranno in quel tipo di comportamento sono quelli che attraverso dolore e la vista del sangue ricevono una riduzione dell'attività dell'amigdala, la parte del cervello dove risiedono le emozioni più intense.

Perché alcune persone si fanno deliberatamente del male?

  • Per sfuggire a stati emotivi indesiderati: chi pratica autolesionismo potrebbe farlo per cercare "sollievo" nel tentativo di sfuggire a stati emotivi negativi intensi indesiderati come ansia, rabbia, tristezza. La persona potrebbe essere catturata da veri e propri impulsi esplosivi a tagliarsi quando viene travolta da emozioni inaccettabili. Il comportamento potrebbe avere luogo a seguito di flashback vissuti come intrusivi. In luogo di una strategia funzionale per gestire lo stato di sofferenza, queste persone optano per farsi del male perchè è l'unico modo che conoscono per alleviare il forte malessere interno che cerca di venire a galla.
  • Per punirsi: l'autolesionismo potrebbe essere mosso da forti sentimenti di colpa e vergogna e agito con lo scopo di punirsi. La presenza di vissuti significativi come impotenza, bassa autostima alimentati da esperienze passate di bullismo, abbandono, il trauma, possono attivare impulsi intensi a farci del male perché tutto sommato ce lo meritiamo e dobbiamo redimerci dalle nostre colpe. Questi meccanismi mentali disfunzionali di forte autocolpevolizzazione e vergogna sono frequenti in soggetti affetti da disturbi del comportamento alimentare, disturbi da uso di sostanze, nel disturbo borderline di personalità, nella depressione.
  • Per sentire dolore: molti praticano condotte autolesive per sentire il dolore fisico e non sentirsi emotivamente "anestetizzati". Soggetti con vissuti traumatici alle spalle, vivono spesso questa sensazione di intorpidimento sviluppata per bloccare l'accesso a ricordi inaccettabili. Tagliandosi possono rivivere la sensazione di "sentire" di nuovo qualcosa e riempire quel vuoto emotivo insostenibile.
  • Per regolare le emozioni: le condotte autolesive sono un modo per gestire e regolare stati emotivi interni. Farsi del male è un modo per scappare dalla realtà e per esprimere le emozioni. Quando il soggetto si taglia, il suo corpo rilascia endorfine che forniscono un senso di euforia e successivo rilassamento. Purtroppo questo stato transitorio di gratificazione viene poi sostituito da colpa e vergogna, incrementando le emozioni negative, questo alimenta la spinta a rifarlo mantenendo il ciclo disfunzionale dell'autolesionismo.

Chi sono le persone che si fanno del male?

L'autolesionismo è più diffuso nella popolazione negli adolescenti o nei soggetti in giovane età adulta: la percentuale va dal 6 al 14% nei ragazzi, dal 17% al 30% nelle ragazze. Anche gli adulti possono imbattersi nell'autolesionismo, soprattutto nei casi in cui c'è una diagnosi di malattia mentale o un passato di condotte autolesive. Pare che il fenomeno sia più diffuso nelle ragazze. Inoltre pare che mediamente le ragazze comincino ad un età più precoce rispetto ai ragazzi. L'età di esordio è 13 anni.

Nell'autolesionismo c'è un intento suicida?

Sebbene l'autolesionismo sia visto come un passo prima del suicidio, spesso non vi è alcun intento suicida.

Sintomi dell'autolesionismo

L'autolesionismo potrebbe essere difficile da scovare, dal momento che viene spesso fatto di nascosto o in posti non visibili. Alcuni segnali potrebbero essere la presenza di ferite inspiegabili sul corpo o di taglietti sparsi, utilizzo di maglie a maniche lunghe in periodi in cui fa molto caldo, utilizzo di fasce da polso, bende che possono essere tentativi di nascondere l'autolesionismo. Inoltre, le persone con comportamenti autolesivi mostrano segni di forte depressione, difficoltà nella regolazione dell'emozioni, forti stati d'ansia e possono riportare sentimenti di impotenza, bassa autostima.

Come prevenire l'autolesionismo

In uno studio del 2015 venne chiesto ad ex autolesionisti perché avessero smesso di tagliarsi. Quasi il 40 % avrebbe risposto che avevano compreso che quando si sentivano "male" era possibile aspettare che quello stato passasse da sé senza tagliarsi.

Il 24% aveva risposto che aveva smesso con l'inizio di una relazione sentimentale che li faceva sentire amati. Il 27 % aveva risposto che con la crescita aveva abbandonato questa "abitudine".

Ma se queste cose non dovessero accadere, cosa possiamo fare per smettere?

Prima di tutto, dobbiamo associare la soluzione con la ragione per la quale ci tagliamo. Se tagliarsi è un modo per far emergere emozioni nascoste nel profondo, dobbiamo trovare altri modi sicuri per tirarle fuori: ascoltare musica che rispecchia il nostro stato mentale, fare un pianto liberatorio, trascrivere pensieri su un diario. Se ci tagliamo per ridurre uno stato di tensione, possiamo sostituire con esercizio fisico. Se canalizzare il dolore in un' attività diversa non è funzionale, possiamo provare a sostituire con un'attività simile al tagliarsi che risulta tuttavia più sicura. Per esempio, potremmo provare ad utilizzare il ghiaccio e premerlo con le mani fino a che la pelle non arrossisce e ci fanno male le mani.

Come ultimo passaggio, possiamo provare ad aspettare senza agire. Cercare di frenare l'impulso a mettere in atto la compulsione di tagliarsi è veramente difficile, specie all'inizio, ma con il tempo l'impulso passa. Potrebbe essere utile ripromettersi di attendere 10 o 20 minuti o comunque una frazione di tempo stabilita prima tra l'impulso di tagliarsi e l'atto stesso di tagliarsi, magari contando sull'aiuto di qualcuno che ci vuole bene.

Se stiamo combattendo con l'autolesionismo, è fondamentale rivolgerci ad uno specialista. Non è facile smettere di farsi del male, ci vuole tempo, coraggio, fatica, ma con la nostra forza e determinazione interna possiamo abbandonare questo comportamento disfunzionale.

 

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Scritto da

Dott.ssa Maria Teresa Caputo

La dott.ssa è Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo Cognitivo-Comportamentale, iscritta all'ordine degli Psicologi della Regione Campania. Svolge la professione privatamente occupandosi di disturbi d’ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, lutto nell’ età evolutiva e nell’età adulta.

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Bibliografia

  • Incidence, clinical management, and mortality risk following self harm among children and adolescents: cohort study in primary care BMJ 2017; 359 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.j4351 (Published 18 October 2017)
  • Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5). Nonsuicidal Self-Injury, APA. 2013.
  • Schmahl, C. Neurobiology of Self-Harm in Borderline Personality Disorder. ACAMH conference. London November 8, 2019.

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