Attacchi di panico: quando la solitudine toglie il fiato

Perché gli attacchi di panico si verificano fra l'adolescenza e i 35 anni? Il significato degli attacchi di panico fra ricerca di autonomia, bisogno di appartenenza e solitudine.

4 OTT 2016 · Tempo di lettura: min.
Attacchi di panico: quando la solitudine toglie il fiato

Da un punto di vista diagnostico, l'attacco di panico è definibile come un periodo preciso di intenta paura o disagio, accompagnato da sintomi somatici o cognitivi [1] che si sviluppano improvvisamente e che raggiungono il picco nel giro di dieci minuti, spesso accompagnati da un senso di pericolo, di catastrofe imminente, di urgenza di allontanarsi.

Gli attacchi di panico possono manifestarsi in varie situazioni ma la diagnosi di Disturbo di Panico viene posta solo quando, almeno in una prima fase del disturbo, si siano verificati degli attacchi di panico inaspettati.

A partire da quel momento, la persona perde i propri punti di riferimento: non sa se fidarsi del proprio corpo ("mi manca l'aria perché fa troppo caldo o perché sto per avere un attacco di panico?"), l'ambiente d'un tratto non sembra più sicuro ("se dovessi sentirmi male, chi mi soccorrerebbe?"), si vede esposta al giudizio degli altri ("le persone intorno a me penseranno che sono pazzo?") e si sente in balia delle crisi che arrivano spesso senza alcun collegamento con il momento in cui si verificano.

Ciò genera nella persona la cosiddetta paura della paura, ovvero un'ansia anticipatoria che determina il successivo evitamento di tutte le situazioni in cui in precedenza si sono verificate le crisi.

L'attacco di panico assume significato in riferimento alla fase del ciclo di vita del paziente. In genere, questo sintomo insorge nel periodo a cavallo tra l'adolescenza e i 35 anni, fase di vita caratterizzata dal progressivo distacco dalla famiglia d'origine e dall'acquisizione di una maggiore indipendenza.

A partire dall'adolescenza del figlio, la famiglia di origine dovrebbe funzionare come un "trampolino di lancio", garantendo cioè una presenza affettiva e allo stesso tempo rendendo i propri confini via via più flessibili, per favorire la crescente autonomia dell'adolescente. È nell'ambiente esterno alla famiglia che la/il ragazza/o deve investire sempre di più, per costruire nuove appartenenze e per differenziarsi dal proprio nucleo di origine.

Questo passaggio non è sempre semplice e, se le cose non vanno come dovrebbero, l'adolescente o la/il giovane adulta/o può trovarsi imbrigliato e sospeso fra appartenenze passate che non sostengono più e appartenenze future che non sostengono ancora.

L'attacco di panico spesso arriva proprio quando l'autonomia del soggetto cresce più del sostegno dato dalle appartenenze.

L'autonomia

L'autonomia è un aspetto chiave in questo tipo di sintomatologia, proprio perché il panico ha come effetto progressiva e significativa diminuzione dell'indipendenza della persona: talvolta, quando il panico si associa ad agorafobia, la persona si sente sicura solo ad uscire accompagnata; in altri casi, smette di fare una serie di cose che prima faceva, come prendere autobus, guidare l'automobile, passeggiare in strada.

L'autonomia si nutre dell'appartenenza, ed è possibile solo quando si sente di avere una base sicura da cui partire per muoversi in modo differenziato ed indipendente. Quando le appartenenze sono troppo soffocanti oppure troppo instabili, ecco che la possibilità di essere autonomi vacilla e si fa spazio dentro la persona un vissuto - più o meno consapevole - di solitudine schiacciante.

Spesso il terrore di morire, che accompagna l'attacco di panico, maschera questo tipo di sentimento.

Ecco perché si può pensare all'attacco di panico come ad un attacco acuto di solitudine.

Il lavoro con le persone che soffrono di attacchi di panico, mira in primo luogo a contestualizzare il sintomo dentro la fase del ciclo vitale, per coglierne i significati, poi a permettere una destrutturazione/rielaborazione delle vecchie appartenenze e parallelamente la costruzione di appartenenze nuove.

Bisogna sempre ricordare che un sintomo è una comunicazione pregna di senso: sopprimerlo (ad esempio ricorrendo solo ad un aiuto farmacologico, che pure in certi casi può essere utile), senza coglierne la funzione e il "sottotitolo", non risolve il problema che prima o poi si esprimerà sotto altre forme.

Note

[1] I sintomi più comuni sono: palpitazioni cardiache o battito cardiaco accelerato, sudorazione eccessiva, tremore o agitazione, mancanza di respiro o sensazioni di soffocamento, dolore toracico, mal di stomaco o nausea, sensazione di sbandamento, di instabilità, stordimento, o svenimento, brividi o vampate di calore, derealizzazione e/o depersonalizzazione, la paura di morire, perdere il controllo o di impazzire, sentimenti di intorpidimento o formicolio (parestesie).

Bibliografia

American Psychiatric Association, 2014, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta editione. DSM-5, Raffaello Cortina ed.

Francesetti et al. (a cura di), 2014, La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dalla psicopatologia all'estetica del contatto, Franco Angeli ed.

Scabini E., Cigoli V., 2000, Il famigliare. Legami, simboli, transizioni, Raffaello Cortina ed.

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