Aspetti psicologici del running

La corsa può rivelare alcune caratteristiche dell’essere umano. Le competizioni di lunga durata per esempio, mettono a dura prova le capacità mentali dei runners.

16 MAG 2022 · Tempo di lettura: min.
Aspetti psicologici del running

Aspetti psicologici nella corsa

L'uomo si è evoluto per correre.

Nonostante non sia l'animale più rapido sulla faccia della terra, vi sono testimonianze fossili che dimostrano che l'essere umano sia biologicamente adatto alla corsa.

Secondo uno studio pubblicato su Nature (Bramble e Lieberman, 2004) la corsa non sarebbe altro che il prodotto di un'esigenza evolutiva; per cacciare, l'uomo primitivo, sprovvisto di armi e della velocità necessaria per assalire le prede, le catturava per sfinimento dopo lunghi inseguimenti. Per praticare questa tecnica, denominata "persistence hunting" (caccia persistente), i nostri antenati dovevano spostarsi senza sosta per lunghe distanze. Aspetti specifici della corsa, quali la resistenza e la capacità di sopportare la fatica, risultavano dunque fondamentali per la sopravvivenza. Queste necessità, critiche per l'adattamento, hanno portato allo sviluppo di una serie di caratteristiche morfologiche, strutturali e cerebrali che hanno reso questa attività progressivamente meno dispendiosa. Ad oggi, la corsa non è più necessaria per la sopravvivenza, ma viene praticata come attività sportiva e ricreativa. Nonostante questo cambiamento di scopo, essa può ancora rivelare alcune caratteristiche dell'essere umano. Si prendano in considerazione le competizioni di lunga durata, quale le maratone o le ultramaratone; queste gare mettono a dura prova le capacità dei runners di sopportare la fatica e di sfidare i propri limiti, fisici e mentali.

È stato tradizionalmente assunto che un esercizio aerobico ad alta intensità si interrompe (o diminuisce d'intensità) quando si arriva all'esaurimento. Una volta raggiunto questo limite fisiologico, gli atleti non saranno più in grado di generare la potenza richiesta dal compito, nonostante il loro massimo sforzo volontario. Secondo questa concezione la capacità di resistenza degli atleti sarebbe limitata da un vincolo biologico, che dipende strettamente dalle specifiche caratteristiche fisiche e tecniche del corridore.

Recenti ricerche hanno messo in discussione queste teorie e ipotizzato che la percezione dello sforzo dipenda anche da variabili di natura psicologica e motivazionale. Secondo Marcora (professore e ricercatore dell'Università di Bologna) il raggiungimento del completo esaurimento sarebbe ostacolato dalla percezione della fatica, un meccanismo di autoregolazione che il nostro corpo utilizza per non permetterci di toccare il limite fisiologico.

Le ricerche di Marcora e Staiano (2010) sfidano dunque l'ipotesi che l'affaticamento muscolare (durante l'esercizio aerobico ad alta intensità) causi il completo esaurimento e suggeriscono che la tolleranza all'esercizio sia limitata dalla percezione dello sforzo. Gli autori ritengono dunque che la percezione della fatica possa indurre l'atleta ad accelerare o rallentare, indipendentemente dal raggiungimento dei suoi limiti fisiologici. L'equazione sarebbe molto semplice: se il livello di sforzo percepito è elevato si tende a rallentare (o a fermarsi), se invece è ridotto si può proseguire o accelerare. Secondo tale prospettiva, vi sarebbero delle componenti di natura psicologica in grado di influenzare e alterare la percezione dello sforzo; quali la motivazione, la dedizione, la resilienza e la tenacia.

Un alto livello di motivazione è un presupposto fondamentale per il raggiungimento di una prestazione ottimale in qualsiasi disciplina sportiva. Bisogna però considerare che gli sport di resistenza (compresa la corsa) offrono scarsi incentivi esterni, in quanto non godono di particolare attenzione mediatica, né offrono particolari riconoscimenti a livello economico. La maggior parte dei runners di alto livello è infatti sostenuto da una grande passione e dedizione, a dimostrazione che non è necessaria una spinta esterna per esprimere elevati livelli di impegno.

La motivazione che alimenta questi atleti è dunque di natura intrinseca, proviene dall'interno e si autoalimenta costantemente; essa scaturisce dal praticare l'attività a cui si è appassionati e, per tale motivo, non si esaurisce di fronte agli ostacoli. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che, quando i livelli di motivazione sono elevati, aumenta anche la soglia di percezione del dolore. In termini neurobiologici questa alterazione della percezione del dolore può essere spiegata come un connubio tra una maggior efficienza nel funzionamento dei circuiti cerebrali che mediano gli aspetti cognitivi della motivazione e l'azione di alcuni neurotrasmettitori (come la dopamina) che modulano l'elaborazione somatosensoriale. In parole semplici quando il livello di motivazione è elevato, il dolore percepito può risultare attenuato. In definitiva, una forte motivazione intrinseca e una soglia del dolore più alta aiuterebbero gli atleti a tollerare lo sforzo fisico quando diventa gravoso.

Con resilienza si intende la "capacità dell'individuo di non arrendersi di fronte a eventi negativi o avversi" (Mandolesi, 2017). Questo termine, preso in prestito dalla metallurgia, deriva dal latino "resalio" e indica l'atteggiamento di andare avanti e perseverare nella propria azione nonostante le difficoltà.

L'individuo resiliente è dunque in grado di resistere e perpetrare nel tempo la sua motivazione per raggiungere gli obiettivi prefissati. Chi è resiliente presenta una serie di caratteristiche che derivano dall'interazione tra la propria predisposizione genetica e l'ambiente con cui è entrato in contatto. In particolare un'elevata autostima, l'ottimismo, la capacità di mobilitare le proprie risorse personali e un'alta motivazione intrinseca sarebbero qualità individuali fondamentali per lo sviluppo di questa capacità. Come afferma Trabucchi (1999), vi sono però altri ingredienti che stimolano il consolidamento della resilienza; tra questi l'abitudine all'impegno unita alla possibilità di sperimentare e tollerare disagio e frustrazione. Come altre qualità, anche la resilienza, può essere dunque incrementata e allenata, indipendentemente dalla propria dotazione genetica (Trabucchi, 2017).

Allenare la resilienza non è però facile o immediato, richiede tempo, una grande dedizione e una buona dose di pazienza. Questa caratteristica si rivela però indispensabile per tutti gli atleti che si cimentano in discipline sportive di resistenza.

Anche la tenacia (mental toughness) risulta essere una qualità necessaria per sostenere lo sforzo e la fatica. È stata definita dall'allenatore di rugby Eddie Jones come "la capacità di continuare a fare quello che si sta facendo indipendentemente dalla situazione e dal fatto che tu sia fisicamente o mentalmente affaticato".

La tenacia ti permette di andare oltre la fatica e di sopportare lo sforzo necessario a portare a termine un compito o raggiungere un determinato obiettivo. Essere tenaci comporta un vantaggio in termini prestazionali, perché permette agli atleti di affrontare in maniera funzionale le pressioni e le richieste della competizione. Uno studio di Butt e Weinberg (2017) suggerisce che vi siano diversi fattori associati alla tenacia che gli atleti percepiscono come facilitatori per la loro performance. I risultati di questo studio indicano che l'incrollabile fiducia in se stessi e nelle proprie abilità, un pensiero e un dialogo interno positivi, il desiderio di vincere e la capacità di rimanere concentrati sulla propria prestazione (non essere influenzati dalla performance degli avversari) permettano di mantenere la tenacia o di riconquistarla durante le sue naturali fluttuazioni.

Al contrario la sfiducia e il rimuginio su pensieri disfunzionali sarebbero collegati alla debolezza mentale.

È dunque fondamentale che gli allenatori e gli psicologi dello sport siano a conoscenza delle dimensioni cognitive, affettive e comportamenti che si associano alla tenacia, affinché possano aiutare gli atleti a rafforzare e sviluppare la loro resistenza mentale.

Come si è potuto osservare, nella corsa, la dimensione mentale e quella fisiologica risultano strettamente intrecciate. Per migliorare le proprie prestazioni sarà dunque necessario focalizzarsi sul potenziamento delle competenze psicologiche (oltre a quelle tecniche e fisiche). Nello specifico, il consolidamento di alcune abilità mentali; quali la motivazione, la dedizione, la resilienza e la tenacia risulterebbe fondamentale per il raggiungimento di performance di livello assoluto. È inoltre necessario ricordare agli atleti che ciò che contraddistingue il campione non è l'assenza del dolore e della fatica, ma la capacità di accogliere (e far proprie) queste sensazioni, quali presupposti indispensabili per il proprio processo di crescita.

PUBBLICITÀ

Scritto da

Dott. Massimo Masserini

Dott. Massimo Masserini Psicologo clinico, Psicoterapeuta, Sessuologo Clinico e Pedagogista, Psicologo Giuridico e CTP, Neuroricercatore. Svolge attività di libero professionista a Bergamo presso il centro clinico e ricerca MindFit Clinic. Offre sostegno per depression, ansia, panico, etc.

Bibliografia

  • Bull, S. J., Shambrook, C. J., James, W., & Brooks, J. E. (2005). Towards an understanding of mental toughness in elite English cricketers. Journal of applied sport psychology, 17(3), 209-227.
  • Butt, J. & Weinberg, R. (2017). Mental toughness. International Journal of Sport Psychology, 48.
  • Cei, A. (2019). La mente dei campioni. Sport&Medicina, 2, 36-41.
  • Cei, A. (2021). Fondamenti di psicologia dello sport. Bologna, IT, Mulino.
  • Celenta, A. (2016). La fatica è una questione mentale. Endu channel. https://channel.endu.net/la-fatica-e-una-questione-mentale/
  • Giles-Corti, B., Timperio, A., Bull, F. & Pikora, T. (2005). Understanding physical activity environmental correlates: Increased specificity for ecological models. Exercise and Sport Sciences Reviews, 33(4), 175-181
  • Goldberg, A. S. (1998). Sports slump busting: 10 steps to mental toughness and peak performance. Champaign, IL, Human Kinetics
  • Harmison, R. J. (2011). A social-cognitive framework for understanding and developing mental toughness in sport. Mental toughness in sport: Developments in research and theory. New York: Routledge, 47-68.
  • Hutchinson, A. (2019). ENDURE: mind, body and the curiously elastic limits of human performance. USA, William Morrow.
  • Jones, G. (2002). What is this thing called mental toughness? An investigation of elite sport performers. Journal of applied sport psychology, 14(3), 205-218.
  • Loehr, J. E. (1995). The new toghness training for sports. New York, NY, Plume.
  • L. Tocco (2022). Gestire la crisi e la fatica in gara: cosa fare quando la mente ci dice "non ce la faccio più"?
  • La Gazzetta dello sport. https://www.gazzetta.it/running/06-04-2022/running-gestire-fatica-mentale-gara.shtml
  • Marcora, S. M., & Staiano, W. (2010). The limit to exercise tolerance in humans: mind over muscle?. European journal of applied physiology, 109(4), 763-770.
  • Morris, D. (1983). La scimmia nuda (II edizione). Milano, IT, Bompiani.
  • Thelwell, R., Weston, N., & Greenlees, I. (2005). Defining and understanding mental toughness within soccer. Journal of applied sport psychology, 17(4), 326-332.
  • Trabucchi, P. (1999). Preparazione mentale negli sport di resistenza. Cesena: Elika Editrice.
  • Trabucchi, P. (2012). Perseverare è umano: Come aumentare la motivazione e la resilienza negli individui e nelle organizzazioni. La lezione dello sport. Milano: Corbaccio editore.
  • Weinberg, R., Butt, J., Mellano, K., & Harmison, R. (2017). The stability-of mental toughness across situations: Taking a social-cognitive approach. International Journal of Sport Psychology, 48(3), 280-302.

Lascia un commento

PUBBLICITÀ

ultimi articoli su psicologia dello sport

PUBBLICITÀ