Alcune considerazioni sulla tossicodipendenza
È vero che i tossicodipendenti non hanno possibilità di liberarsi dalla loro prigione? Cosa si nasconde dietro l'uso delle sostanze e cos'è possibile fare per poterne uscire?

Non è così semplice e scontato trovarsi ad affrontare il problema della tossicodipendenza all'interno di uno studio psicoterapeutico. Molto spesso le persone che fanno uso e abuso di sostanze si rivolgono ai Ser.D., ovvero ai servizi pubblici per le dipendenze patologiche del Sistema Sanitario Nazionale, in cui viene offerto un intervento di sostegno sia medico che psicologico alla persona, senza però proporre la cura della dipendenza attraverso la psicoterapia.
L'uso delle sostanze serve alla persona per colmare un vuoto di affetti che si traduce in un vuoto di rapporti, andando così a coprire precisi sintomi psichici che potrebbero essere affrontati attraverso il rapporto con lo psicoterapeuta, un rapporto che non sia per il paziente soltanto "consolazione", ma "cura per la guarigione" in cui si affronta la dinamica interna profonda che ha portato all'instaurarsi di un quadro psicopatologico. La prassi terapeutica si costituisce in questi termini come intervento finalizzato a ristabilire l'originario e fisiologico stato di benessere psichico che ogni soggetto umano ha fin dalla nascita.
Potremmo pensare che nel trattamento della tossicodipendenza la terapia si divida in due parti, nella prima alla sostanza "si sostituisce" il terapeuta come persona e non come oggetto inanimato, seppure intesa prettamente come persona fisica che va a soddisfare tutta una serie di bisogni della persona. Nella seconda parte si cercherà di fare un lavoro molto più difficile e complesso, tentando di affrontare la dipendenza affettiva del paziente, facendo in modo che egli recuperi la capacità di vedere di fronte a sé non più solo una persona fisica, ma ne percepisca profondamente le qualità, capacità che la malattia gli ha portato a perdere. Si tenta cioè di (ri)costruire un rapporto tentando di far ritrovare alla persona il proprio desiderio-interesse per l'altro, facendole capire che il rapporto è uno scambio, un cercare le qualità dell'altro per realizzare se stessi e viceversa, e ciò è possibile solo attraverso la frustrazione di tutti quei momenti in cui il paziente non vede, non comprende, non sente la realtà psichica dell'altro.
Una delle caratteristiche delle persone che soffrono di tossicodipendenza è il pensiero onnipotenete che le porta a credere che sono loro a decidere quando e perché non sentire più niente, e nel rapporto con il terapeuta si affronta proprio l'onnipotenza di questo pensiero che spinge pulsionalmente ad annullare l'altro, portando i soggetti ad isolarsi e rifugiarsi nell'uso delle sostanze.
La droga si configura come una sorta di "automedicazione" che maschera le problematiche profonde che il paziente non riesce a tollerare e da cui tenta di proteggersi. L'autoterapia, però, ha un costo molto alto, perché oltre ai danni fisici a cui si va incontro con l'uso delle droghe, c'è da pagare anche un prezzo in termini relazionali: chi ricorre alle droghe ha perduto qualsiasi tipo di fiducia nelle relazioni che potrebbero in qualche modo modificare una condizione di sofferenza interiore e ciò si traduce in un'estrema difficoltà di rapporto iniziale proprio con lo psicoterapeuta, in genere meno presente all'interno di altri pecorsi con pazienti non tossicodipendenti.
In questi termini sarebbe più che lecito domandarsi quanto una cultura che consideri molto spesso la malattia mentale come malattia organica, ereditabile e quindi incurabile, rischi pericolosamente di suggerire alle persone di fare ricorso all'uso delle sostanze a scopo autoterapeutico.
Le informazioni pubblicate da GuidaPsicologi.it non sostituiscono in nessun caso la relazione tra paziente e professionista. GuidaPsicologi.it non fa apologia di nessun trattamento specifico, prodotto commerciale o servizio.
PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ