Abuso, violenza e molestie sessuali: conseguenze e vissuti

Di solito la donna che ha subito un abuso o una violenza reagisce provando un forte senso di vergogna, un senso di colpa per ciò che è accaduto.

8 GEN 2014 · Tempo di lettura: min.
Abuso, violenza e molestie sessuali: conseguenze e vissuti

“Oggi nessuno potrà farti più del male, dovrebbero chiederti scusa, chiederti perdono, e tu saresti libera di decidere se perdonare o meno per quello che ti è stato fatto. Tutti dovrebbero chiederti scusa, genitori, amici, insegnanti perché non ti hanno saputo proteggere, forse neanche loro potevano farlo e nemmeno tu, non prenderti la colpa, non sentirti sporca, perdona te stessa e quella bambina, quella ragazza o quella donna che hanno tanto sofferto e non per causa loro, per causa della brutalità umana, liberale … E' il mondo ad essere sporco e non tu, non il tuo passato. Tu sei pura, tu sei pulita, riprendi a vivere".

Ho voluto iniziare con un messaggio diretto, dedicato a tutte le donne (o gli uomini) che hanno subito violenza sessuale, molestie o “attenzioni particolari". Non rimanete nel vostro silenzio o nel vostro solitario dolore, uscite fuori, non siete sole.

Di solito la donna che ha subito un abuso o una violenza reagisce provando un forte senso di vergogna, un senso di colpa per ciò che è accaduto. Comprensibilmente non ci può spiegare quello che è successo, viviamo in un mondo percepito come sicuro, è difficile immaginare che ci possano accadere cose brutte, questa è una buona difesa dell'Io. La violenza imprevista distrugge l'idea che abbiamo di un mondo buono, è in contraddizione con questa idea. Inoltre, la morale cristiana e la società, ci hanno convinti che se ci accade qualcosa in qualche modo è colpa nostra. La donna abusata ci crede: “E' colpa mia", “Forse l'ho provocati io", “Non ho fatto abbastanza per difendermi" “Ho sbagliato a fidarmi" ecc.

La vittima si sente quasi prescelta, bersaglio di una violenza intenzionale, si convince che è anche colpa sua, che ha detto o non detto, fatto o non fatto qualcosa. Lo stesso non succede per altri fenomeni imprevedibili come i terremoti o gli incidenti. Non ci si fida più delle persone, il mondo diventa di colpo minaccioso e pericoloso, ogni persona o situazione, reale o simbolica, che ricorda anche lontanamente ciò che è successo, viene evitata o rifuggita. Facciamo due esempi, una situazione può essere evitata perché ricorda direttamente il trauma, (una casa, un luogo, un comportamento, un atto sessuale, ecc.) o perché si crea un'associazione simbolica di natura inconscia (una donna violentata che si sente sporca può avere attacchi di panico o sintomi d'ansia quando entra in chiesa o deve farsi la doccia oppure, al contrario, sviluppare un'ossessione per le pulizie personali o domestiche).

Il vissuto della vittima è spesso impregnato da vergogna e da sensi di colpa. Questo genere di vissuti possono fungere da meccanismi di difesa dall'angoscia di essere stata indifesa: meglio sentirsi responsabili, protagonisti delle proprie azioni che vittime totalmente inermi di un mondo di colpo diventato minaccioso e imprevedibile. L'esperienza di essere stata totalmente impotente, nodo cruciale del trauma e della donna vittima di violenza sessuale, manda in pezzi questa illusione di sicurezza.

In effetti, proprio a causa dell'imprevedibilità di un evento del genere, sentirsi responsabili di ciò che è successo, è un modo per controllarlo, anche per evitare nuovi abusi.

Un modo per non sentirsi una barchetta in mezzo al mare.

Molto spesso però sentirsi responsabile serve per difendersi dal fatto che a produrre violenza sia stata una persona di fiducia, un familiare, una persona cara. La vittima non può tollerare l'idea che una figura di cui si fidava può averla tradita, si romperebbe un legame primario, sarebbe difficile da accettare, come ci si potrebbe poi fidare degli altri, creare nuovi legami affettivi se a sbagliare è stato un caro? E allora, per difesa, si prende lei la colpa, la responsabilità.

E' questo che rende insopportabile l'abuso: è un dolore enorme pensare, ammettere ai propri occhi, che chi doveva donare amore, protezione, sicurezza, è invece colui che ha annientato la propria esistenza psicologica.

Se si pensa che l'abuso si verifica molto spesso in età precoce, o nella prima adolescenza, si capisce più facilmente perché è così: la bambina, accusando se stessa e rendendosi cieca sull'altro, riesce a mantenere un legame di attaccamento con una figura dalla quale spesso dipende.

L'attaccamento è un bisogno primario fin dalla nascita, è qualcosa di profondamente radicato, ne abbiamo bisogno, quindi non si può rinunciare ad esso. La persona abusata preferisce punire se stessa, pur di salvare la genuinità della figura che le deve garantire affetto, protezione e sicurezza.Spesso è per questo che, per salvaguardare il proprio equilibrio, la persona abusata deve far scendere il silenzio, non ne parla e non ne vuole parlare, né a se stessa, tantomeno con gli altri.

In realtà questo modo di agire non è per niente terapeutico, è necessario rielaborare il dolore dell'abuso, trovare le parole, le immagini, per esprimere l'indicibile, esprimere le emozioni e i pensieri. La violenza subita agisce a livello inconscio anche dopo anni, in modo silenzioso e soggiacente, senza che noi ce ne accorgiamo nemmeno. Può causare fobie, ansia, attacchi di panico, forme depressive, disturbi sessuali, disturbi del sonno o dell'alimentazione, nervosismo, bassa autostima, tutti fenomeni che ingenuamente vengono attribuiti ad altro.Troppo spesso nessuno associa i maltrattamenti subiti nell'infanzia con i problemi vissuti nell'età adulta. E' importante perciò liberare il trauma, liberare se stessi del peso, del macigno insopportabile, terribile che a volte ci si porta dietro per anni.

Molti dei pazienti vittime di violenza richiedono un trattamento per vari sintomi: fisici, ansia, difficoltà sentimentali o relazionali, e altro. Non riescono a riconoscere il legame che lega il loro malessere al trauma subito.E' importante vedere invece, che c'è una relazione fondamentale tra il senso di vuoto, il pessimismo esistenziale, le difficoltà emotive, la paura dell'intimità o la dipendenza affettiva, con quello che è successo.

Ci si dovrebbe liberare, alleggerire, riscoprire le proprie energie. A livello terapeutico si dovrebbe necessariamente provare a ripartire da dove la propria storia si è interrotta. Un modo per non rimanere spezzati dal peso violento dell'abuso, per riprendere il cammino interrotto della propria unica e irripetibile individualità di donna. Il passato dovrebbe cessare di esistere come fantasia inaccettabile e consentire di vivere un presente sereno.

Si dovrebbe passare dal chiedersi: "Perché questa cosa è successa proprio a me? E' colpa mia allora?"a dirsi:"Cose del genere accadono. E' successo, ora è finita e io sto andando avanti,voglio andare avanti".

Imparando, inoltre, a dirigere la rabbia contro l'assalitore e non verso se stessa.Uscire dal dolore e dalla disperazione si può.Occorre trovare il coraggio di chiedere aiuto. Anche dopo, anche se sono passati molti anni.La vergogna, la paura, le minacce subite, il senso di colpa, la solitudine, il timore di non essere capiti dagli adulti o dai genitori (cosa molto frequente) possono isolare nel silenzio la bambina o la ragazzina (o il bambino e il ragazzino). Da adulti questo non deve succedere, non è mai troppo tardi per riparare, per ristabilire un equilibrio, per mettere ordine nei propri ricordi, per dare un nome ai vissuti, alle esperienze e alle emozioni provate.

Metterci la “classica pietra sopra" è una grande menzogna, non serve a nulla, peggiora la situazione, il ricordo rimosso e messo da parte agisce distruttivamente in maniera silenziosa per tutta la vita. E' necessario raccontare, rivivere in un contesto sicuro e protetto, come quello terapeutico, tutto ciò che è successo. E' fondamentale sciogliere un magma, come un peso sullo stomaco, come un'indigestione che dura da anni, con cui ci si può convivere ma con cui non si vive bene.Bloccare i ricordi costa molta fatica, toglie energia all'organismo, da qui possono nascere patologie, anche fisiche di vario tipo.

Da quanto scritto appare chiaro quindi che il trauma subito devia il naturale sviluppo di una personalità, lo forma negativamente e lo deforma, si acquisiscono dei modelli mentali, degli schemi sul mondo che non sono reali. Questi schemi sono tanto più stabili e rigidi quanto più precoce e duratura è stata la violenza subita, e non parlo per forza di violenza carnale, ma anche già di molestie sessuali. A causa degli schemi interiorizzati, la persona ha sviluppato la convinzione, la credenza rigida inconscia che non conviene fidarsi e che nessuno la può aiutare, gli attaccamenti sono insicuri, gli affetti instabili. Ancora, molto spesso si vive una sorta di appiattimento emotivo, la vittima non riesce più a gestire o riconoscere le proprie emozioni, dice di non provarne o banalizza l'accaduto, lo racconta magari sorridendo o in modo neutro.

Le emozioni sono vissute come qualcosa di estremamente minaccioso, possono sommergerla, viverle o riviverle è rischioso. L'isolamento dall'affetto, il diniego, l'anaffettività, l'alessitimia e i Meccanismi di Difesa dell'Io corrono subito in soccorso, il loro scopo è impedire che un'Io già fragile o devastato, rimanga schiacciato dall'insopportabilità di un evento così drammatico e da un carico di emozioni distruttive tanto intense.

Come può allora la donna violentata raccontare i suoi vissuti, le sue esperienze ad altri, allo psicologo, se non riesce a farlo neanche con se stessa? Se non riesce a guardarsi dentro? Se non si riconosce ne in se stessa né nel mondo esterno?La donna che ha subito violenza, vive la terapia con ansia, lei non vuole ricordare, non vuole rivivere ciò che è successo, vuole solo dimenticare. E' importante opporsi a queste resistenze o esitamenti iniziali, eventualmente utilizzando anche tecniche di rilassamento o blandi ansiolitici, da assumere magari, solo nelle fasi iniziali del trattamento.

La cosa più importante però è che si sviluppi un'elevata sintonia, un forte legame empatico tra lo Psicologo e l'assistita, è indispensabile che si crei questo legame di fiducia, la paziente deve imparare a fidarsi e a lasciarsi andare, pian piano, senza forzature e rispettando i suoi tempi.Il vissuto di una violenza sessuale subita, di una molestia, di un abuso infantile o di attenzioni spinte dura per sempre, per sempre influenzerà l'esistenza della vittima, non si può fingere che non sia successo niente, prima o poi è indispensabile affrontare e rielaborare quello che è accaduto.A volte un caro o il tempo possono mitigare gli effetti del trauma, molto più spesso invece non tutte hanno questa fortuna, rimanendo così per sempre rinchiuse nel proprio silenzio e nella loro solitudine.Così facendo si continua a essere vittime, la violenza continua, nei flash, nei sogni, per sempre in compagnia di un mostro nell'armadio, con una porta da tenere sempre chiusa.Meglio aprirlo quell'armadio, e lasciarsi travolgere da una valanga di emozioni, pensieri e ricordi tenuti nascosti per anni.Potrebbe sembrare irresponsabile o rischioso, non è così!Con gli strumenti adatti, le giuste precauzioni, le tecniche adeguate e con l'aiuto di un bravo professionista, nonostante la valanga, rimarrete ben ancorate al suolo.

Fatevi forza, non abbiate paura, oggi nessuno può farvi più del male, sono rimasti solo i fantasmi, è necessario scacciare anche quelli. Il peggio è passato, potete fare in modo che non vi perseguiti più, non potete dimenticare, non potete perdonare, potete però alleviare il dolore e tornare a risplendere, a vivere.

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Scritto da

Studio Genesis, Dott. Lupo e coll.

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